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Battaglia legale sui vitalizi: bocciato il ricorso di 800 ex deputati
La Camera dei Deputati ha chiuso definitivamente la partita sui vitalizi parlamentari, respingendo in via definitiva il ricorso presentato da circa 800 ex deputati che speravano di ottenere il ripristino degli assegni ridotti dalla controversa delibera del 2018. Il Collegio di Appello della Camera, in pratica la “Cassazione” di Montecitorio, ha confermato ieri sera l’impianto complessivo della delibera numero 14 del 2018, meglio conosciuta come “delibera Fico” dal nome dell’allora presidente della Camera Roberto Fico del Movimento 5 Stelle.
La decisione è stata presa all’unanimità dall’organismo composto da cinque deputati: Ylenja Lucaselli di Fratelli d’Italia (presidente del collegio), Ingrid Bisa della Lega, Marco Lacarra del Partito Democratico, Pietro Pittalis di Forza Italia e Vittoria Baldino del Movimento 5 Stelle. Un verdetto che ha fatto esultare Giuseppe Conte, leader del M5S, che ha definito la pronuncia “una vittoria politica e morale” per una battaglia storica del suo movimento.
Le radici della vicenda
La vicenda ha origini complesse e radici profonde nel dibattito sulla riduzione dei cosiddetti “costi della politica”. Nel 2018, sotto la presidenza di Roberto Fico, la Camera aveva infatti approvato una delibera che estendeva retroattivamente il sistema contributivo anche ai trattamenti previdenziali maturati prima del 2012, introducendo un taglio significativo agli assegni vitalizi. Questa riforma aveva comportato riduzioni anche del 90% per gli ex parlamentari più anziani, trasformando assegni da circa 4.000 euro a poco più di 1.000 euro mensili.
La situazione si era complicata ulteriormente quando, nel 2021, alcuni ex deputati più anziani avevano ottenuto una sentenza favorevole che aveva attenuato gli effetti della delibera Fico, basandosi sul principio costituzionale del “legittimo affidamento“. Questo aveva creato una disparità di trattamento, con alcuni ex parlamentari che beneficiavano di misure di mitigazione mentre altri rimanevano penalizzati dal taglio integrale. Il Senato, dal canto suo, aveva preso una strada completamente diversa: nel 2022 aveva “salvato tutti gli ex inquilini di Palazzo Madama“, indipendentemente dall’età, ripristinando integralmente i vitalizi.
Gli 800 ex deputati ricorrenti, rappresentati legalmente dall’avvocato Maurizio Paniz, avevano chiesto un trattamento analogo a quello riservato ai colleghi del Senato, sostenendo che la situazione era “irragionevolmente penalizzante” dato che tutti i risparmi sui vitalizi della Camera ricadevano ora solo su di loro, sui circa 3.300 ex deputati complessivi. Tra i nomi più noti dei ricorrenti figuravano Paolo Guzzanti, Ilona Staller, Claudio Scajola, Antonio Bassolino, Rosa Russo Iervolino, Fabrizio Cicchitto, Claudio Martelli, Italo Bocchino, Mario Landolfi, Gianni Alemanno, Giovanna Melandri e Angelino Alfano.
La battaglia legale
La battaglia legale si era sviluppata attraverso diversi gradi di giudizio interni alla Camera. Il primo ricorso era stato respinto nel luglio 2024 dal Consiglio di Giurisdizione, il “tribunale” di primo grado di Montecitorio. Gli ex deputati non si erano arresi e avevano presentato appello al Collegio di Appello, che rappresenta il secondo e ultimo grado di giudizio interno. Le udienze si erano tenute il 2 e il 10 luglio, con la decisione finale arrivata ieri sera, anticipata di un giorno rispetto alle previsioni.
La sentenza del Collegio di Appello ha confermato integralmente l’impianto della delibera Fico, respingendo tutti i punti sollevati dagli appellanti. Come spiegato dalla presidente Ylenja Lucaselli, la decisione è stata presa “all’unanimità” e le motivazioni sono già state depositate, nella convinzione di aver “reso un servizio ai principi del diritto“. Sono state inoltre confermate le misure di mitigazione già introdotte dall’Ufficio di Presidenza della scorsa legislatura per gli ex parlamentari più anziani, mantenendo quindi invariata la situazione complessiva.
La reazione politica non si è fatta attendere. Giuseppe Conte ha celebrato il risultato attraverso un video sui social media, sottolineando che “1.400 ex deputati volevano rimettersi in tasca i vitalizi” ma che la presenza del M5S nel collegio di appello aveva permesso di respingere questa richiesta. Il leader pentastellato ha colto l’occasione per una stoccata politica più ampia, evidenziando come “quando il M5S non può decidere i privilegi ritornano“, citando l’esempio del Senato dove il movimento non era rappresentato nel collegio decisionale.
Le implicazioni economiche della vicenda sono tutt’altro che trascurabili. Secondo alcune stime, se tutti i ricorrenti avessero ottenuto il ripristino integrale dei vitalizi e avessero fatto richiesta di rimborso per le somme non percepite, la cifra complessiva avrebbe potuto superare i quattro miliardi di euro. Un importo che avrebbe rappresentato un significativo onere per le casse dello Stato, soprattutto in un momento di particolare attenzione ai conti pubblici.
La decisione del collegio
La decisione del Collegio di Appello chiude sostanzialmente tutte le vie di ricorso interne alla Camera. Gli ex deputati sconfitti hanno ora esaurito gli organi giurisdizionali interni e dovranno decidere se rivolgersi in sede politica all’Ufficio di Presidenza della Camera, oggi guidato da Lorenzo Fontana. Tuttavia, questa strada appare in salita, considerando che la decisione è stata presa all’unanimità da un collegio rappresentativo di tutte le forze politiche presenti in Parlamento.
L’avvocato Maurizio Paniz, che ha seguito la difesa degli ex deputati, aveva già anticipato la possibilità di un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in caso di sconfitta. Paniz, che è stato anche beneficiario di vitalizi e si è sempre battuto per la difesa di questo istituto, aveva sostenuto che la delibera violava diversi principi fondamentali, tra cui il divieto di retroattività e la necessità di ragionevolezza nelle riduzioni.
La vicenda dei vitalizi rappresenta un capitolo emblematico del rapporto tra cittadini e istituzioni in Italia. La questione ha infatti alimentato un dibattito culturale profondo sul senso del servizio pubblico, della rappresentanza e del trattamento economico della classe dirigente. La gestione di questa materia è diventata una cartina tornasole della capacità della politica di autoriformarsi e di riconquistare la fiducia dell’opinione pubblica, in un contesto di crescente distanza tra istituzioni e cittadini.
Il caso assume particolare rilevanza anche dal punto di vista giuridico-costituzionale. La Corte Costituzionale si è pronunciata più volte sulla materia, chiarendo che i vitalizi non sono assimilabili tout court a pensioni da lavoro dipendente ma richiamano il disposto dell’articolo 69 della Costituzione, che stabilisce che i membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge. La natura composita del vitalizio, con la sua funzione indennitaria, ha reso complessa l’applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in materia pensionistica.
La differenza di trattamento tra Camera e Senato rimane uno degli aspetti più controversi dell’intera vicenda. Mentre Palazzo Madama ha sostanzialmente ripristinato i vitalizi per tutti i suoi ex membri nel 2022, la Camera ha mantenuto la linea del rigore, creando una disparità di trattamento che ha alimentato le proteste degli ex deputati. Questa asimmetria evidenzia come l’autonomia regolamentare delle due Camere possa portare a soluzioni diverse su questioni identiche, generando inevitabilmente tensioni e ricorsi.
Il verdetto di ieri sera segna probabilmente la parola fine su una delle battaglie più simboliche della XVIII legislatura. Il taglio dei vitalizi, voluto fortemente dal Movimento 5 Stelle quando era al governo, ha resistito a tutti i tentativi di ribaltamento, dimostrando che almeno in questo caso la “rivoluzione dei privilegi” promessa dai pentastellati ha avuto successo. La decisione del Collegio di Appello rappresenta una vittoria per chi vede nel taglio dei vitalizi un simbolo di equità e sobrietà istituzionale, ma anche la conferma che la politica italiana può, quando vuole, rinunciare ai propri privilegi per rispondere alle aspettative dei cittadini.