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L’Iraq pubblica nella sua Gazzetta Ufficiale una decisione destinata a creare fratture nell’Asse della Resistenza e a ricalibrare i rapporti con Stati Uniti, Iran e partner regionali. Una scelta finanziaria, politica, strategica, che arriva mentre Washington intensifica gli allarmi sulle reti di Hezbollah fino al Venezuela.
Un ordine che scuote l’intero scacchiere regionale
La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale irachena dell’ordine di congelamento di tutti i beni, mobili e immobili, riconducibili a Hezbollah e agli Houthi ha avuto l’effetto di una detonazione controllata nel cuore del Medio Oriente.
Il documento, emesso dal Comitato per il Congelamento dei Fondi Terroristici e firmato sotto l’autorità diretta della Banca Centrale Irachena, non è solo un atto tecnico né un gesto simbolico. Rappresenta una presa di posizione che Baghdad aveva evitato per anni, proprio per non incrinare l’equilibrio fragile che la lega a Teheran da un lato e a Washington dall’altro.
L’Iraq si trova in una posizione unica, partner energetico dell’Iran e dipendente, allo stesso tempo, dall’accesso al sistema finanziario internazionale controllato dal dollaro. Il congelamento dei fondi è il punto d’impatto tra queste due forze contrapposte.

La ragione ufficiale: sopravvivere nel sistema finanziario globale
Il linguaggio dell’ordine pubblicato da Baghdad è chiaro, diretto, giuridicamente inattaccabile. Le autorità invocano la legislazione nazionale sul contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo e si richiamano alle misure di conformità richieste dagli organismi internazionali.
L’Iraq negli ultimi mesi ha intensificato la collaborazione con le strutture di vigilanza internazionali e teme un rischio crescente di isolamento. Essere percepito come un punto debole nella lotta ai flussi illeciti metterebbe a rischio la stabilità delle sue banche e l’accesso ai circuiti di compensazione in dollari, dai quali dipende la quasi totalità delle importazioni.
La pressione degli Stati Uniti, soprattutto attraverso il dipartimento del Tesoro, è costante da almeno un anno. Le ispezioni sui trasferimenti in dollari hanno già portato alla sospensione di alcune banche irachene per violazioni formali. La decisione di congelare i fondi di Hezbollah e degli Houthi è, dunque, la risposta di Baghdad alla necessità di evitare misure ancora più drastiche che potrebbero compromettere l’intera economia nazionale.
La ragione reale: dissociarsi dai fronti più pericolosi dell’Asse della Resistenza
Oltre alla motivazione tecnica, c’è una dinamica politica che emerge con chiarezza. Il governo iracheno ha bisogno di dimostrare, soprattutto agli Stati Uniti e ai Paesi europei, che non intende essere percepito come un semplice prolungamento dei fronti sostenuti dall’Iran. Hezbollah e gli Houthi sono i due attori più aggressivi dell’Asse e i più esposti al rischio di operazioni ritorsive internazionali.
Proprio nelle ultime settimane, i servizi statunitensi hanno rinnovato l’allarme sulla presenza di reti di Hezbollah e Hamas in America Latina, in particolare in Venezuela, dove secondo le intelligence USA operano cellule logistiche e canali finanziari collegati all’Asse. Queste dichiarazioni hanno aumentato la pressione anche su Baghdad.

Non essere trascinata nel cono d’ombra di un asse Iran–Venezuela percepito come ostile a Washington diventa un obiettivo strategico di sopravvivenza. L’ordine iracheno assume così un valore doppio: segnale verso gli Stati Uniti e tentativo di preservare il minimo vantaggio economico necessario per evitare ritorsioni sul piano finanziario internazionale.
La frattura interna: Baghdad tra fedeltà, paura e sopravvivenza
La reazione politica interna è stata immediata e una parte del Parlamento iracheno, in particolare alcuni rappresentanti vicini alle milizie, ha definito la decisione una violazione dell’identità politica del Paese. In privato, figure influenti delle Forze di Mobilitazione Popolare hanno parlato di “atto ostile”, sottolineando che Baghdad starebbe cedendo alle pressioni americane a scapito della propria sovranità. Il governo del primo ministro Mohammed Shia al-Sudani, tuttavia, è consapevole che la stabilità del Paese dipende in modo diretto dall’equilibrio con gli Stati Uniti.
L’Iraq deve finanziare ricostruzioni, infrastrutture, energia, salari pubblici e importazioni vitali. Senza un rapporto stabile con Washington e con il sistema finanziario globale, l’intero meccanismo collasserebbe. La scelta quindi non è ideologica ma perfettamente pragmatica: sacrificare un tassello simbolico per salvare il quadro generale.

Hezbollah e gli Houthi: cosa cambia davvero sul terreno
La portata pratica dell’ordine è complessa. Molti flussi finanziari legati a Hezbollah e agli Houthi non transitano attraverso canali bancari tradizionali. Le reti che fanno uso di intermediari, sistemi informali di trasferimento e circuiti paralleli sono difficili da intercettare anche per gli Stati più attrezzati. Tuttavia il peso dell’ordine di Baghdad non dipende solo dalla quantità di fondi effettivamente congelati.
L’impatto vero è politico e reputazionale. Per la prima volta un Paese considerato vicino a Teheran agisce in modo esplicito contro due suoi principali alleati regionali. La notizia ha suscitato forti reazioni in Libano, dove analisti vicini a Hezbollah hanno definito il gesto come “un precedente pericoloso” perché legittima l’idea che anche Stati amici dell’Iran possano allinearsi alle pressioni occidentali.Per gli Houthi, la decisione irachena si inserisce nel clima di crescente isolamento, alla luce dei ripetuti episodi che hanno interessato il Mar Rosso.
Colpire i canali di finanziamento significa colpire la capacità del gruppo di sostenere la propria rete logistica e il proprio controllo territoriale.
L’Iran osserva, valuta e tace
La reazione di Teheran è stata sorprendentemente contenuta, nessuna condanna ufficiale, nessuna critica aperta. In molti leggono questo silenzio come una valutazione tattica.
L’Iran non può permettersi una rottura con Baghdad proprio nel momento in cui le sue stesse finanze sono sotto pressione. L’Iraq rappresenta una delle valvole economiche più importanti per Teheran e l’eventuale collasso del sistema bancario iracheno sarebbe un danno enorme anche per l’economia iraniana. Il gelo attuale è, dunque, palesemente un silenzio calcolato.
Gli Stati Uniti raccolgono un risultato strategico senza toccare un dito
Per Washington, la decisione irachena è una vittoria diplomatica ottenuta senza un atto formale. Gli Stati Uniti da mesi cercavano segnali che dimostrassero una maggiore autonomia irachena rispetto alle milizie e alle reti iraniane. Baghdad ora offre esattamente questo: una decisione che ridimensiona i gruppi più problematici dell’Asse proprio nella fase in cui gli USA stanno mappando, con crescente allarme, l’espansione esterna di Hezbollah.

Il riferimento alle presunte infiltrazioni in Venezuela non è marginale e, nella visione americana, Hezbollah non è più soltanto un attore libanese o regionale ma un network con ramificazioni fino all’America Latina e con potenziale impatto sulla sicurezza nazionale degli Usa. La decisione irachena assume quindi un valore strategico che va oltre la regione.
Baghdad non sceglie un campo: evita il collasso
Anche diversi Paesi arabi stanno osservando con attenzione. Il congelamento dei fondi è stato interpretato da alcune cancellerie del Golfo come un segnale di pragmatismo e di allineamento alla necessità di contenere le reti iraniane più spregiudicate.
Molti governi della regione, pur mantenendo canali con Teheran, vogliono evitare che il proprio territorio o le proprie banche vengano coinvolti in trasferimenti rischiosi. Il gesto iracheno potrebbe aprire la strada a iniziative simili in altri Paesi che fino ad oggi hanno mantenuto un profilo ambiguo.
Alla fine, la logica dietro questa decisione è molto semplice, il governo iracheno non sta scegliendo tra Iran e Stati Uniti, sta semplicemente scegliendo di evitare il collasso finanziario. Sta puntando a mostrarsi come uno Stato capace di agire secondo norme internazionali. Sta scegliendo di mandare un messaggio chiaro agli attori che operano nell’ombra: l’Iraq non può più permettersi di essere un punto cieco del sistema globale. Il congelamento dei fondi di Hezbollah e degli Houthi non è un gesto simbolico.
È il segnale più forte degli ultimi anni che il governo di Baghdad sta cercando un nuovo equilibrio. Un equilibrio che gli permetta di sopravvivere in un Medio Oriente in cui i confini della politica, dell’economia e della sicurezza sono diventati più fluidi che mai.


