Punti chiave
Dopo cinque ore al Cremlino, la delegazione Usa lascia Mosca senza intesa. Territorio e garanzie di sicurezza restano tabù per la Russia. Ucraina ed Europa reagiscono con scetticismo.
Nessuna intesa: Mosca rivendica la posizione
Il pomeriggio del 2 dicembre 2025 si è concluso con un bilancio chiaro: nessun accordo sul tavolo. I colloqui al Cremlino tra Putin, Witkoff e Kushner si sono protratti per quasi cinque ore, con partecipazione dei più alti vertici russi. L’ecosistema diplomatico attendeva un segnale di distensione, ma al termine l’unico risultato è stato un nulla di fatto.
Il consigliere del Cremlino ha definito l’incontro “costruttivo e sostanzioso”, pur evidenziando che le divergenze con la proposta statunitense restano profonde.

La ragione principale del mancato accordo è la questione territoriale. La bozza americana, rivista in questi giorni, prevedeva una forma di pace condizionata a cambiamenti sostanziali nella situazione sul campo: garanzie di sicurezza, congelamento delle linee di combattimento, forse concessioni sul futuro status di alcune regioni.
Secondo Mosca certe proposte risultano “inaccettabili”: in particolare la rinuncia a porzioni di Donetsk, Lugansk, Crimea e altre aree attualmente sotto il controllo russo. Per i negoziatori russi non c’è margine, il controllo del territorio acquisito è considerato non negoziabile. In queste condizioni, una pace “sotto dettatura” non può essere mai la base di un accordo durevole.
Minacce e retorica: la diplomazia diventa intimidazione
All’uscita dal vertice, Putin ha lanciato un messaggio forte all’Europa: “Se l’Europa vuole guerra, la Russia è pronta”. Non parole di compromesso, ma di sfida. Per Mosca, la trattativa non può prescindere da un riconoscimento della sua posizione strategica. L’effetto diplomatico è immediato. L’incontro doveva segnare un passo in avanti, ma si è trasformato in un banco di prova: chi detiene il potere reale, la Russia, sul terreno, oggi detta l’agenda. La diplomazia resta subordinata alle armi.

Da Kiev filtra prudenza e diffidenza. Il presidente ucraino, secondo fonti, ha ribadito che nessuna decisione sul futuro del Paese potrà essere presa senza il suo consenso e senza garanzie reali sulla sovranità nazionale. L’invio di negoziatori Usa a Mosca non potrà mai sostituire la partecipazione diretta di Kiev. In Europa cresce lo scetticismo. Alcuni leader europei interpretano il piano negoziale Usa come una concessione a Mosca mascherata da mediazione.
Si teme che il prossimo passo possa essere una “pace imposta” che legittima l’occupazione. Per molti il vertice si risolve come una mossa a somma zero: più pressione su Ucraina ed Europa, nessuna effettiva apertura da parte russa, ma un tentativo di ridefinire le regole del conflitto a suo favore.
Cosa resta e cosa cambia
L’incontro di Mosca ha dimostrato che non basta sedersi a un tavolo per fermare una guerra: servono condizioni reali di equilibrio fra forze. Oggi quelle condizioni non ci sono.Da parte americana, l’idea che si possa mediare una soluzione sulla base di un piano cala vittorie formali rischia di infrangersi contro la realtà dei fatti: la Russia reclama quanto già conquistato, e non intende restituire nulla.
Per l’Ucraina e i suoi alleati occidentali, la sfida diventa più complessa: la difesa della sovranità si trasforma in una lotta contro la normalizzazione dell’occupazione. Se la pace è invocata da Washington, la credibilità delle sue proposte si gioca sulla capacità di garantire un reale equilibrio, non un compromesso al ribasso. In questo scenario, l’unica alternativa reale, secondo molti analisti, resta il rafforzamento della coalizione internazionale intorno a Kiev e il mantenimento della pressione militare e diplomatica su Mosca.
Il vertice di Mosca conferma quell’antico adagio che evidenzia che chi tiene il fucile detta la pace. Ma per quanta diplomazia ci sia, senza volontà di restituzione non ci può essere tregua.


