02 Dicembre 2025
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Cosa cambia in West Bank dopo l’assalto dei coloni israeliani ai volontari internazionali

L’aggressione di coloni israeliani contro attivisti italiani e canadesi apre uno squarcio sulla natura della violenza nei territori occupati e sulla crisi diplomatica che rischia di travolgere un equilibrio già fragile.

Un episodio che rivela una crisi strutturale

L’irruzione violenta nella casa di volontari internazionali vicino a Ein al-Duyuk, alle porte di Gerico, non è stata percepita dalle cancellerie europee come un semplice episodio di criminalità locale. A colpire è stata la dinamica, perché un gruppo di coloni armati, entrati nella notte, ha aggredito tre cittadini italiani e un canadese impegnati in attività di supporto alle comunità palestinesi.

I volontari sono stati picchiati e derubati di telefoni, documenti e attrezzature. Uno di loro è stato trasferito a Ramallah con ferite serie. Il governo italiano ha chiesto spiegazioni dirette a Israele e ha sollecitato garanzie immediate per la sicurezza del proprio personale civile, mentre il Canada ha compiuto una mossa analoga.

A livello internazionale la domanda è diventata inevitabile: quanto controllo esercitano davvero le autorità israeliane sulla violenza dei coloni, in un territorio già attraversato da tensioni militari e politiche crescenti?

Il contesto: una West Bank che scivola verso la destabilizzazione

L’aggressione arriva in un momento di particolare fragilità, nelle ultime settimane la regione ha visto un aumento costante di incidenti armati, raid, blocchi stradali e scontri fra coloni e residenti palestinesi. Nel Nord della West Bank due palestinesi sospettati di attacchi contro soldati sono stati uccisi in circostanze controverse. In diverse zone rurali i villaggi denunciano incendi di coltivazioni e danneggiamenti sistematici durante il periodo della raccolta delle olive, fase che storicamente coincide con un picco di violenza.

Il quadro che emerge indica una dinamica stabile, emergono difatti non più singole aggressioni, ma piuttosto una pressione crescente sulle comunità palestinesi e su chiunque operi a loro sostegno. Le organizzazioni umanitarie parlano di una zona grigia di impunità” che permette a gruppi estremisti di colpire senza timore di conseguenze. Il fatto che vittime siano stati cittadini europei modifica però il peso geopolitico della vicenda, costringendo i governi a intervenire in modo diretto.

Perché l’Europa è improvvisamente coinvolta

La violenza contro i palestinesi da parte di gruppi israeliani non è di certo una novità, ma una realtà obbiettivamente vista e rivista negli ultimi mesi, ma questa volta costringe le autorità di Paesi, tra cui l’Italia, restati da parte fino ad ora a prendere parte, inevitabilmente. La presenza di attivisti e volontari occidentali nella West Bank non è nuova.

Nel corso degli anni migliaia di operatori civili hanno documentato demolizioni, espropri e atti intimidatori. La novità è che oggi l’aggressione li colpisce in modo mirato e diretto. L’episodio mette in discussione la capacità di Israele di garantire sicurezza a cittadini stranieri in aree sotto controllo militare. In un momento in cui i rapporti diplomatici tra Tel Aviv e varie capitali europee sono già provati dai combattimenti a Gaza, l’aggressione rischia di trasformarsi in un ulteriore fronte politico.

Le richieste europee non riguardano solo giustizia per le vittime ma anche un’azione concreta per frenare la violenza dei coloni, mentre più governi occidentali temono che la situazione in West Bank stia per superare una soglia critica.

Il ruolo dei coloni e il nodo dell’impunità

I gruppi di coloni coinvolti nelle aggressioni recenti sembrano appartenere alla nuova generazione di insediamenti non autorizzati, spesso situati in aree rurali difficili da controllare. Molti di questi avamposti non sono riconosciuti formalmente, ma ricevono sostegno informale da segmenti politici della destra israeliana.

Studi delle ultime stagioni hanno evidenziato una crescita di attacchi coordinati, l’uso di armi d’assalto e strategie di intimidazione che comprendono irruzioni notturne, incendi di proprietà e assalti a veicoli. L’episodio di Ein al-Duyuk si colloca esattamente in questa dinamica. Gli aggressori avrebbero utilizzato armi normalmente in dotazione all’esercito, elemento che apre interrogativi sulla provenienza, sulla gestione degli arsenali e sul livello di tolleranza istituzionale verso comportamenti sempre più violenti.

Le ricadute politiche e cosa potrebbe accadere ora

Il tema entra immediatamente nell’arena diplomatica. L’Italia e il Canada chiedono garanzie concrete, non più solo condanne formali. Se non ci sarà un’indagine rapida e trasparente, il caso potrebbe trasformarsi in un incidente internazionale capace di rallentare le relazioni bilaterali. In parallelo le organizzazioni internazionali chiedono un monitoraggio indipendente sulla violenza dei coloni e un rafforzamento della protezione per volontari e operatori umanitari. Per Israele questa pressione arriva in un momento di debolezza politica interna, con tensioni nel governo e critiche all’operato delle forze di sicurezza.

La questione più sensibile riguarda però il futuro della West Bank: se la violenza continuerà ad aumentare senza freni, il rischio è che la regione diventi un secondo epicentro di crisi, con conseguenze imprevedibili sul processo diplomatico più ampio e sulle relazioni tra Israele e i suoi partner occidentali.

Cosa rivela davvero questo episodio

L’aggressione ai volontari non è un incidente isolato. È un sintomo di una trasformazione più profonda: una progressiva erosione del controllo istituzionale, un’espansione degli insediamenti più radicali e un deterioramento della sicurezza anche per chi non è parte del conflitto.

Il significato geopolitico è chiaro. La violenza dei coloni non è più un tema interno al conflitto israelo-palestinese, ma un problema internazionale che coinvolge governi, cittadini europei, organismi umanitari e diritti fondamentali. La domanda ora è quanto a lungo questa spirale potrà continuare prima che la comunità internazionale decida di trattarla non come una serie di episodi, ma come una crisi strutturale che richiede interventi politici immediati.

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