Punti chiave
L’architettura della sicurezza europea, consolidatasi dopo la fine della Guerra Fredda, ha subito una trasformazione radicale e violenta a partire dal 2014, culminando nel conflitto su vasta scala iniziato nel febbraio 2022.
Le azioni della Federazione Russa nel territorio ucraino non possono essere interpretate come eventi isolati o impulsivi, bensì come l’espressione di una strategia di lungo periodo volta alla revisione dell’ordine internazionale unipolare e alla restaurazione di una zona di influenza esclusiva nel cosiddetto “vicino estero”.
Un’analisi super partes richiede l’esame della convergenza di fattori storici, ideologici, geostrategici ed economici che hanno spinto il Cremlino a considerare l’uso della forza militare come l’unico strumento efficace per preservare quello che percepisce come il proprio interesse nazionale esistenziale.
Le radici storiche e il mito della continuità Imperiale
Il conflitto contemporaneo affonda le sue radici in una narrazione storica millenaria che la leadership russa ha elevato a pilastro della propria legittimazione politica. Il concetto di unità tra russi, ucraini e bielorussi risale alla formazione della Kyivan Rus’ nel IX secolo, uno stato medievale che Vladimir Putin identifica come il nucleo originario della nazione russa triuna.
In questa prospettiva, l’Ucraina non è vista come un’entità sovrana distinta, ma come una parte inalienabile di uno spazio spirituale e culturale comune. La sacralità della Crimea, in particolare, è legata al battesimo del principe Vladimir a Chersoneso, evento che trasforma la penisola in una “Terra Santa” per l’ortodossia russa, giustificando la sua annessione come un atto di riparazione storica e religiosa.
La storia dell’espansione russa verso sud nel XVIII secolo, sotto Caterina la Grande, ha consolidato la percezione della Crimea e delle coste del Mar Nero come terre “storicamente russe”. Il Trattato di Küçük Kaynarca del 1774 segnò l’emergere della Russia come potenza del Mar Nero, strappando il controllo all’Impero Ottomano e stabilendo le basi per la fondazione di Sebastopoli nel 1783.
Questa eredità imperiale è stata rievocata costantemente nel discorso pubblico russo per delegittimare i confini post-sovietici del 1991, descritti da Putin come il risultato di decisioni amministrative arbitrarie prese durante il periodo sovietico, in particolare da Lenin e Krusciov.
| Periodo Storico | Evento Chiave | Implicazione Geopolitica Moderna |
| IX Secolo | Formazione della Kyivan Rus’ | Fondamento del mito dell’unità triuna slava. |
| 1774 | Trattato di Küçük Kaynarca | Accesso russo al Mar Nero e declino ottomano. |
| 1783 | Annessione della Crimea | Fondazione di Sebastopoli come base navale strategica. |
| 1954 | Trasferimento della Crimea all’Ucraina | Percepito da Mosca come un errore amministrativo illegittimo. |
| 1991 | Dissoluzione dell’URSS | Nascita dell’Ucraina sovrana e perdita del controllo diretto russo. |
| 1997 | Trattato di Amicizia Russia-Ucraina | Divisione della Flotta del Mar Nero e locazione di Sebastopoli. |
La transizione dell’Ucraina da repubblica sovietica a stato indipendente nel 1991 è stata vissuta da gran parte dell’élite russa come una catastrofe geopolitica. Sebbene il Trattato di Amicizia del 1997 avesse formalmente riconosciuto i confini ucraini, esso era vincolato alla permanenza dell’Ucraina in una zona di neutralità o di stretta cooperazione con Mosca. Il progressivo spostamento di Kiev verso le istituzioni occidentali (NATO e UE) ha minato questo equilibrio, portando il Cremlino a considerare nullo il riconoscimento dei confini in nome della sicurezza nazionale e della protezione delle minoranze russofone.
L’imperativo strategico del Mar Nero e il controllo di Sebastopoli
Dal punto di vista della geografia del potere, il Mar Nero rappresenta per la Russia l’unica via di proiezione verso il Mediterraneo, il Medio Oriente e l’Africa. Il controllo della Crimea e, in particolare, del porto di acque profonde di Sebastopoli, è fondamentale per l’efficacia operativa della Flotta del Mar Nero.
Prima del 2014, la presenza russa a Sebastopoli era garantita da un accordo di locazione con l’Ucraina, soggetto a rinnovi periodici e limitazioni operative. Il timore che la rivoluzione dell’Euromaidan potesse portare all’espulsione della flotta russa e alla sua sostituzione con forze NATO è stato un catalizzatore primario per l’occupazione della penisola.
L’annessione della Crimea ha permesso alla Russia di trasformare la penisola in un bastione militare di tipo A2/AD (Anti-Access/Area Denial). Attraverso il dispiegamento di sistemi missilistici S-400, Bastion-P e unità di guerra elettronica, Mosca è ora in grado di interdire l’accesso navale e aereo a gran parte del Mar Nero, sfidando direttamente la libertà di manovra della NATO nella regione.
Questa capacità non è solo difensiva, funge da piattaforma per la proiezione di potenza, come dimostrato dal supporto alle operazioni militari russe in Siria a partire dal 2015.
Oltre alla dimensione militare, la Crimea presenta una criticità logistica e ambientale che ha influenzato l’escalation del 2022. Dopo l’occupazione del 2014, l’Ucraina aveva bloccato il Canale della Crimea Settentrionale, che forniva l’85% dell’acqua dolce necessaria all’agricoltura e alla popolazione della penisola.
Il grave danno economico derivante da questo blocco ha reso la conquista di Kherson e dello sbarramento idrico sul fiume Dnipro un obiettivo strategico prioritario nelle prime fasi dell’invasione su vasta scala, portando alla creazione di un “ponte terrestre” (land bridge) che collega il Donbas alla Crimea.
La percezione dell’accerchiamento NATO e il dilemma della sicurezza
Una delle motivazioni più profonde e costanti addotte dalla Russia riguarda l’espansione della NATO verso est. Dalla fine della Guerra Fredda, Mosca ha percepito l’integrazione di ex alleati del Patto di Varsavia e di ex repubbliche sovietiche nell’Alleanza Atlantica come una minaccia esistenziale e una violazione delle promesse verbali fatte durante i negoziati per l’unificazione tedesca.
Sebbene l’Occidente sostenga che la NATO sia un’alleanza difensiva e che ogni nazione abbia il diritto di scegliere le proprie alleanze, il Cremlino interpreta questo processo come un gioco a somma zero volto a neutralizzare la Russia come potenza globale.
La dottrina militare russa del 2014 e la strategia di sicurezza nazionale del 2021 identificano esplicitamente l’avvicinamento delle infrastrutture NATO ai confini russi come il principale rischio esterno. Per Mosca, l’Ucraina rappresenta la “linea rossa” definitiva; la sua potenziale adesione alla NATO comporterebbe lo schieramento di sistemi missilistici e truppe alleate a pochi minuti di volo da Mosca, annullando la profondità strategica russa.
Questo timore è esacerbato dallo sviluppo del sistema di difesa missilistica statunitense in Europa, che la Russia percepisce come un tentativo di minare la propria capacità di deterrenza nucleare.
| Prospettiva Geopolitica | Visione Russa | Visione Occidentale/Ucraina |
| Allargamento NATO | Accerchiamento e minaccia alla deterrenza. | Espansione della democrazia e difesa collettiva. |
| Sovranità Ucraina | “Sovranità limitata” entro la sfera russa. | Diritto inalienabile alla scelta delle alleanze. |
| Euromaidan (2014) | Colpo di stato orchestrato dall’Occidente. | Rivoluzione popolare per la dignità e l’Europa. |
| Status del Donbas | Protezione delle minoranze dal “genocidio”. | Aggressione russa e supporto al separatismo. |
Il rifiuto della NATO e degli Stati Uniti di accettare le richieste ruse di “garanzie di sicurezza” nel dicembre 2021, che includevano il divieto di ulteriore allargamento e il ritorno alle posizioni militari del 1997, ha convinto il Cremlino che la diplomazia fosse esaurita. In questo contesto, l’invasione del 2022 è stata presentata internamente come un’operazione preventiva per distruggere il potenziale militare di un’Ucraina ormai trasformata in “testa di ponte” occidentale.
Ideologia e soft power: il Russkiy Mir e il progetto Anti-Rossiya
L’azione militare russa è sostenuta da una solida impalcatura ideologica centrata sul concetto di Russkiy Mir (Mondo Russo). Questa dottrina postula l’esistenza di una civiltà russa sovranazionale fondata sulla lingua, la cultura e la religione ortodossa, di cui la Federazione Russa è custode e protettrice.
L’Ucraina occupa un posto centrale in questa visione, essendo considerata la culla della civiltà russa; la sua deriva verso l’Occidente non è vista solo come una perdita geopolitica, ma come un’apostasia culturale e spirituale.
Negli anni precedenti l’invasione del 2022, Putin ha elaborato il concetto di “Anti-Rossiya” (Anti-Russia) per descrivere lo stato ucraino contemporaneo. Secondo questa narrazione, l’Occidente avrebbe deliberatamente coltivato un nazionalismo ucraino radicale e russofobo per trasformare il paese in un’arma contro Mosca.
L’accusa di “denazificazione” rivolta al governo di Kiev, sebbene ampiamente respinta dalla comunità internazionale come pretestuosa, serve a inquadrare il conflitto nella memoria collettiva russa della Grande Guerra Patriottica, mobilitando il supporto interno contro un nemico presentato come ontologicamente malvagio.
Questa visione ideologica relativizza i confini internazionali a favore di una “sovranità civiltà”. La Russia rivendica il diritto di intervenire militarmente per proteggere i “connazionali” e i parlanti russi ovunque si trovino, utilizzando una reinterpretazione della dottrina della “Responsabilità di Proteggere” (R2P) per giustificare la violazione dell’integrità territoriale dei vicini. L’identità ucraina separata è presentata come una costruzione artificiale, e il ritorno all’unità con la Russia è descritto come un destino storico ineluttabile.
Interessi economici e geopolitica dell’energia
La dimensione economica del conflitto è dominata dalla gestione delle risorse naturali e delle infrastrutture energetiche. L’Ucraina possiede una delle reti di gasdotti più estese al mondo, storicamente fondamentale per l’esportazione del gas russo verso l’Europa. Il desiderio di Mosca di controllare questa rete, o di renderla irrilevante attraverso progetti di bypass come Nord Stream e TurkStream, è stato un motivo costante di tensione. Il controllo del transito energetico fornisce alla Russia una leva politica enorme sui governi europei, permettendo di offrire sconti agli alleati o di tagliare le forniture ai dissidenti.
Un fattore meno noto ma decisivo riguarda le riserve di gas naturale offshore nel Mar Nero. Prima del 2014, l’Ucraina aveva iniziato a esplorare i giacimenti della sua Zona Economica Esclusiva (ZEE), con stime che parlavano di circa 2,3 trilioni di metri cubi di gas.
Consorzi internazionali guidati da ExxonMobil e Shell avevano firmato accordi per lo sviluppo di queste risorse, che avrebbero potuto rendere l’Ucraina energeticamente indipendente e persino un esportatore concorrente di Gazprom. L’occupazione della Crimea ha permesso alla Russia di sequestrare illegalmente le piattaforme di perforazione e di bloccare questi progetti, eliminando una minaccia al proprio monopolio energetico in Europa.
| Risorsa/Infrastruttura | Importanza per l’Ucraina | Obiettivo della Russia |
| Rete Gasdotti (GTS) | Introiti da transito e sicurezza energetica. | Controllo del flusso o bypass strategico. |
| Giacimenti Mar Nero | Potenziale export di 70 bcm/anno entro il 2030. | Sequestro e protezione del mercato di Gazprom. |
| Bacino del Donbas | Cuore industriale e minerario (carbone, acciaio). | Destabilizzazione e integrazione economica. |
| Agricoltura/Grano | “Granaio del mondo”, export vitale. | Blocco portuale e leva geopolitica globale. |
Il controllo del Donbas, regione ricca di carbone e sede di complessi industriali pesanti integrati con la filiera russa, risponde a una logica di mantenimento di un’area economica complementare a quella della Federazione Russa. L’invasione del 2022 ha ulteriormente colpito la capacità produttiva dell’Ucraina, mirando a trasformarla in un “troncone di stato” privo di accesso al mare e di basi industriali autonome, rendendo così la sua eventuale integrazione europea un peso economico insostenibile per l’Occidente.
Il passaggio dalle operazioni del 2014 all’invasione del 2022 segna un cambiamento fondamentale nella dottrina russa. Nel 2014, Mosca ha utilizzato la “guerra ibrida”, caratterizzata dall’uso di truppe senza insegne, milizie locali, disinformazione e pressioni economiche per ottenere l’annessione della Crimea e la destabilizzazione del Donbas mantenendo una “negabilità plausibile”. L’obiettivo era forzare Kiev a una federalizzazione che avrebbe dato a Mosca un diritto di veto permanente sulla politica estera ucraina tramite i territori controllati.
Il fallimento di questa strategia, dovuto alla resistenza ucraina e al rafforzamento dello stato nazionale, ha portato alla decisione di lanciare un’offensiva convenzionale su vasta scala nel 2022. La Russia ha trasformato il conflitto in una guerra di attrito, dove la superiorità numerica, l’artiglieria e la capacità di assorbire perdite umane elevate sono diventate gli strumenti per logorare non solo l’esercito ucraino, ma anche la volontà politica dell’Occidente di sostenere Kiev.
In questa nuova fase, la guerra non è più un’eccezione, ma è diventata un “ordinario strumento di governo” e una piattaforma di comunicazione per dimostrare la determinazione russa a sfidare l’ordine mondiale.
Relazioni internazionali a confronto: realismo vs liberalismo
Il dibattito accademico sulle cause della guerra vede contrapposte due grandi scuole di pensiero. I realisti, tra cui spicca John Mearsheimer, sostengono che la crisi sia il risultato di un errore strategico dell’Occidente: l’allargamento della NATO avrebbe provocato una reazione difensiva razionale della Russia, che non poteva tollerare un’alleanza militare ostile al proprio confine. In questa ottica, la Russia agisce come un attore spinto dal dilemma della sicurezza, cercando di massimizzare la propria protezione in un sistema anarchico.
Al contrario, i pensatori liberali e i critici del realismo (come Michael McFaul) attribuiscono la responsabilità alla natura autocratica del regime di Putin. Essi sostengono che il vero timore del Cremlino non fosse l’invasione della NATO, ma il successo di una democrazia liberale in Ucraina, che avrebbe potuto fungere da modello per l’opposizione interna in Russia, minacciando la sopravvivenza del sistema di potere putiniano. Secondo questa visione, la guerra è motivata da fattori interni, ideologici e imperialisti piuttosto che da necessità strutturali di sicurezza esterna.
| Teoria IR | Driver Principale del Conflitto | Implicazione per la Risoluzione |
| Realismo Offensivo | Espansione NATO e bilanciamento di potenza. | Neutralità dell’Ucraina e compromesso territoriale. |
| Liberalismo | Patologia del regime autocratico e ideologia. | Sconfitta militare russa e democratizzazione. |
| Costruttivismo | Identità del “Mondo Russo” e legami storici. | Riconoscimento delle sfere di influenza culturale. |
| Determinismo Economico | Controllo delle risorse e dei mercati energetici. | Sanzioni e indipendenza energetica dell’UE. |
Mentre il realismo offre una spiegazione convincente per le preoccupazioni sistemiche di Mosca, il liberalismo sottolinea come l’evoluzione interna della Russia verso un autoritarismo nazionalista abbia reso il conflitto quasi inevitabile, indipendentemente dalle mosse della NATO.
La verità geopolitica risiede probabilmente nella sintesi di questi due approcci: la Russia ha risposto a pressioni esterne percepite (NATO) attraverso l’impiego di una visione del mondo imperiale e revisionista (Russkiy Mir).
L’invasione dell’Ucraina ha frantumato l’illusione di una pace perpetua in Europa e ha costretto l’Unione Europea a ripensare la propria “autonomia strategica”.31 Gli stati membri hanno aumentato drasticamente la spesa per la difesa, raggiungendo livelli record, e hanno avviato un faticoso processo di diversificazione energetica per eliminare la dipendenza dalla Russia. La NATO, lungi dal ritirarsi, ha rafforzato il proprio fianco orientale e ha accolto nuovi membri, espandendo il confine diretto con la Russia di migliaia di chilometri.
A livello globale, la Russia si è spostata verso un asse eurasiatico, rafforzando la partnership strategica con la Cina e cercando sostegno nel “Sud globale” (Africa, America Latina, Sud-est asiatico).
Mosca si propone come il campione di un ordine multipolare alternativo a quello a guida statunitense, utilizzando il conflitto in Ucraina come una sfida simbolica e materiale all’egemonia dell’Occidente. Questa frammentazione suggerisce che il futuro sarà caratterizzato da una “militarizzazione regionale” e da un confronto prolungato tra blocchi contrapposti, con il rischio persistente di un’escalation nucleare che aleggia sopra ogni manovra diplomatica o militare.
L’azione russa in Ucraina risponde a un insieme stratificato di motivazioni che un esperto super partes può riassumere come segue:
- Restaurazione della Sfera di Influenza: La Russia considera l’Ucraina parte vitale del proprio “spazio vitale” geostrategico e culturale; permetterne l’integrazione nell’Occidente significherebbe accettare il proprio declassamento a potenza di secondo rango.
- Sicurezza e Deterrenza: La percezione dell’espansione NATO come un processo aggressivo ha spinto Mosca a cercare una “zona cuscinetto” fisica per proteggere il proprio cuore politico e militare.
- Controllo delle Risorse: Il dominio sul Mar Nero e il sequestro delle potenziali riserve di gas ucraine servono a mantenere il monopolio energetico russo e a finanziare l’apparato statale.
- Legittimazione Ideologica: La difesa del “Mondo Russo” e la lotta contro un’Ucraina percepita come “Anti-Rossiya” forniscono la base morale e narrativa per il consenso interno e la proiezione di un’identità imperiale rinnovata.
L’Ucraina è dunque diventata il terreno di scontro di una competizione globale per la definizione delle regole del sistema internazionale. Per la Russia, la guerra è un investimento per garantire la propria sopravvivenza come polo di potere autonomo; per l’Occidente, è una difesa necessaria dell’ordine basato sulle regole e della sovranità nazionale.
In questo scontro frontale di visioni e interessi, la stabilità dell’Eurasia rimane sospesa in un conflitto di attrito che ha già ridisegnato i confini e le alleanze del XXI secolo.


