Punti chiave
Le urne di Campania, Puglia e Veneto hanno consegnato un verdetto che conferma le mappe politiche preesistenti ma offre numerosi spunti di riflessione per entrambi gli schieramenti.
Il centrosinistra ha dominato nelle due grandi regioni meridionali con margini amplissimi, mentre il centrodestra ha mantenuto saldamente la roccaforte veneta grazie al traino di Luca Zaia e all’ascesa del giovane Alberto Stefani.
Il risultato complessivo delle regionali autunnali si chiude quindi in parità: tre regioni al centrodestra (Veneto, Marche e Calabria) e tre al centrosinistra (Campania, Puglia e Toscana).

L’astensionismo è il vero vincitore
Il dato più preoccupante emerso da questa tornata elettorale riguarda l’affluenza alle urne, che ha toccato livelli storicamente bassi.
Complessivamente, solo il 43,6% degli aventi diritto si è recato a votare, un crollo di circa 14 punti percentuali rispetto al 2020. In Puglia l’affluenza si è fermata al 41,8% contro il 56,4% di cinque anni fa, in Campania al 44,1% rispetto al 55,5%, mentre in Veneto, tradizionalmente terra ad alta mobilitazione politica, si è raggiunto appena il 44,6% contro il 61,2% delle precedenti consultazioni.
Meno di un elettore su due ha scelto di esprimere la propria preferenza, un segnale che interroga profondamente l’intera classe politica italiana e che rischia di ridimensionare il valore politico dei risultati finali, rendendo più fragile la legittimazione degli eletti.
Campania: Roberto Fico chiude l’era De Luca

La Campania ha rappresentato il campo di battaglia più atteso di questa tornata elettorale.
Roberto Fico, esponente storico del Movimento 5 Stelle ed ex presidente della Camera dei deputati, ha trionfato con il 60,7% dei consensi, doppiando letteralmente il suo avversario Edmondo Cirielli, candidato del centrodestra, fermo al 35,6%.
La vittoria del pentastellato segna la fine di un’epoca: dopo dieci anni consecutivi alla guida della regione, Vincenzo De Luca non ha potuto ripresentarsi a causa della sentenza della Corte Costituzionale che, lo scorso aprile, ha dichiarato incostituzionale la legge regionale campana che avrebbe permesso il terzo mandato consecutivo.
Fico, napoletano classe 1974, ha costruito la sua carriera politica interamente all’interno del Movimento 5 Stelle. Dai meetup di Beppe Grillo alle aule parlamentari, passando per la presidenza della Commissione di Vigilanza Rai e culminando nei cinque anni alla guida di Montecitorio (2018-2022), l’ex presidente della Camera rappresenta l’ala più moderata e istituzionale del movimento fondato dal comico genovese.
La sua elezione a presidente della Camera nel 2018, quando arrivò al primo giorno a Montecitorio in autobus invece che in auto blu, rimane un’immagine simbolica della stagione politica pentastellata.
Il candidato sconfitto del centrodestra, Edmondo Cirielli, è invece un profilo di lungo corso della destra italiana.
Generale di brigata dei Carabinieri in ausiliaria, laureato con lode in Giurisprudenza, Scienze Politiche e Scienze della Sicurezza, Cirielli vanta una carriera politica iniziata nel 1994 con il MSI-AN e proseguita poi nel Popolo della Libertà e infine in Fratelli d’Italia.
Dal 2022 ricopre l’incarico di viceministro degli Affari Esteri nel governo Meloni, e proprio questa sua vicinanza alla premier era stata presentata come un valore aggiunto durante la campagna elettorale.
L’appoggio convinto di Giorgia Meloni non è però bastato a ribaltare i pronostici: la lista “Giorgia Meloni per Cirielli-FdI” ha ottenuto un deludente 11,8%, mentre Forza Italia si è attestata al 10,9% e la Lega al 5,5%.

Durante la campagna elettorale, i due candidati si sono confrontati su temi cruciali come l’autonomia differenziata, la sanità regionale e la questione del condono edilizio.
Fico ha attaccato duramente la riforma Calderoli, sostenendo che “crea disuguaglianze sul territorio e non aiuta il Sud“, mentre Cirielli ha replicato difendendo la norma costituzionale ma promettendo di non chiedere deleghe aggiuntive considerata la situazione debitoria della regione.
Il confronto televisivo su Sky TG24 ha evidenziato le differenze profonde tra i due candidati, con Fico che ha definito “un insulto all’intelligenza dei campani” la proposta di riapertura dei termini del condono edilizio avanzata dal centrodestra a ridosso del voto.
Puglia: Antonio Decaro conquista la regione con numeri record
In Puglia il risultato è stato ancora più netto.
Antonio Decaro, eurodeputato del Partito Democratico e apprezzatissimo ex sindaco di Bari, ha ottenuto il 64,1% dei consensi, schiacciando l’imprenditore Luigi Lobuono, candidato del centrodestra, fermo al 35%.
Decaro succede a Michele Emiliano, che ha governato la regione per dieci anni e che, pur non potendosi ricandidare, ha lasciato un’eredità politica significativa.

Il nuovo governatore pugliese rappresenta un profilo politico di grande solidità.
Nato a Bari nel 1970, laureato in ingegneria civile al Politecnico del capoluogo pugliese, Decaro ha costruito la sua carriera politica partendo dall’assessorato alla mobilità nel 2004, passando per il Consiglio regionale, la Camera dei deputati, fino a diventare sindaco di Bari per due mandati consecutivi (2014-2024).
Dal 2016 al 2024 ha presieduto l’ANCI, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, diventando uno dei volti più noti dell’amministrazione locale italiana.
Alle europee del 2024 ha ottenuto oltre mezzo milione di preferenze nel Sud Italia, un record che lo ha proiettato alla presidenza della Commissione Ambiente del Parlamento europeo.
Il Partito Democratico si è confermato primo partito in Puglia con il 25,9% dei consensi, guadagnando quasi 55 mila voti rispetto al 2020.
Fratelli d’Italia, pur in crescita di sei punti percentuali rispetto alle precedenti regionali, si è fermato al 18,7%, seguito da Forza Italia al 9,1% e dalla Lega all’8%.
Il Movimento 5 Stelle, che nel 2020 correva da solo, ha ottenuto poco più del 7%, un dato inferiore alle aspettative ma che ha comunque contribuito alla vittoria del campo largo.
Veneto: l’onda lunga di Zaia travolge Fratelli d’Italia

In Veneto la sfida non era sulla vittoria finale, mai in discussione, ma sul rapporto di forze interno al centrodestra.
Alberto Stefani, 33 anni, vicesegretario federale della Lega, ha trionfato con il 64,4% dei consensi, raccogliendo l’eredità di Luca Zaia che ha governato la regione per quindici anni consecutivi.
Lo sfidante del centrosinistra, l’ex sindaco di Treviso Giovanni Manildo, si è fermato al 28,9%, un risultato che però rappresenta quasi il doppio rispetto al 16% ottenuto dalla coalizione progressista nel 2020.
La vera storia di queste elezioni venete riguarda tuttavia le preferenze personali di Luca Zaia.
Il governatore uscente, candidato come capolista della Lega in tutte le sette province venete dopo il mancato via libera alla creazione di una lista con il proprio nome, ha raccolto oltre 200 mila preferenze, un risultato definito “clamoroso” dal presidente del Consiglio regionale Roberto Ciambetti.
Questo plebiscito personale ha permesso alla Lega di superare nettamente Fratelli d’Italia nel derby interno al centrodestra: il Carroccio ha ottenuto il 36,4% contro il 17,5% del partito di Meloni, un ribaltamento completo rispetto alle europee del 2024 quando FdI aveva raccolto il 37% e la Lega si era fermata al 16%.
Stefani rappresenta il volto giovane della Lega veneta. Nato a Camposampiero, in provincia di Padova, il 16 novembre 1992, si è iscritto al Carroccio a soli 15 anni, “fulminato” dall’idea del federalismo.
A 20 anni è stato eletto consigliere comunale, a 25 è diventato il più giovane deputato della storia della Lega, a 26 ha vinto le elezioni a sindaco di Borgoricco.
Laureato con lode in Giurisprudenza con una tesi in diritto canonico dedicata alla nonna Vittoria, sta proseguendo gli studi con un dottorato e pubblicazioni scientifiche. Appassionato di pittura a olio e tempera, ex giocatore di pallavolo, Stefani incarna un profilo di cattolicesimo moderato e radicamento territoriale che piace tanto a Salvini quanto all’ala zaiana del partito.
Il candidato del centrosinistra Giovanni Manildo, 56 anni, avvocato ed ex sindaco di Treviso dal 2013 al 2018, ha condotto una campagna elettorale durata oltre 120 giorni incentrata su sanità pubblica, lavoro, ambiente e opportunità per i giovani.

Nonostante la sconfitta ampiamente prevista, Manildo ha rivendicato il risultato: “Nel 2015 il centrosinistra era sceso al 22%, nel 2020 è crollato al 16%, oggi superiamo il 30%.
È molto più di un numero: è la conferma che in Veneto c’è una parte del Paese che non si rassegna“.
Le reazioni politiche: Schlein esulta, Meloni si congratula
Le prime reazioni dei leader nazionali hanno fotografato lo stato d’animo dei rispettivi schieramenti.
Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, ha celebrato la vittoria con il mantra “Uniti non si vince, si stravince“, sottolineando come la linea “testardamente unitaria” sia stata premiata dagli elettori.
“L’alternativa c’è ed è competitiva, il riscatto parte dal Sud e ci porterà a vincere insieme“, ha dichiarato la leader dem, aggiungendo che “la partita delle prossime politiche è apertissima”.
Giorgia Meloni ha invece scelto la strada della sportività istituzionale, congratulandosi con Stefani per “una vittoria frutto del lavoro, della credibilità e della serietà della nostra coalizione” e rivolgendo poi auguri anche a Decaro e Fico affinché “possano svolgere al meglio il loro mandato, nell’interesse dei cittadini”.
Matteo Salvini ha esultato per il risultato veneto definendolo “oltre ogni previsione” e ha sottolineato come la Lega stia “crescendo con passo da Alpino“.
Dal centrosinistra è arrivata anche la stilettata di Matteo Renzi, che ha commentato: “I risultati di Campania e Puglia, dopo la Toscana, dicono che l’alternativa c’è, da casa riformista fino alla sinistra. E questa alternativa, quando è unita, vince“.
Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha dedicato la vittoria campana a “chi non si è rivoltato dall’altra parte di fronte alle difficoltà di famiglie e imprese“
Il futuro politico tra legge elettorale e politiche 2027
Questi risultati aprono numerosi scenari per il futuro.
Il centrosinistra ha dimostrato che la formula del campo largo, quando applicata con coerenza, produce vittorie schiaccianti, almeno al Sud.
La sfida sarà replicare questo schema a livello nazionale in vista delle politiche del 2027. Per il centrodestra, invece, la lezione viene soprattutto dal Veneto, dove il radicamento territoriale della Lega e il carisma di figure come Zaia si sono rivelati decisivi per contenere l’avanzata di Fratelli d’Italia.
Il dato sull’astensionismo rimane però l’elefante nella stanza.
Con meno della metà degli elettori che si recano alle urne, la legittimazione democratica dei vincitori risulta inevitabilmente indebolita.
Come ha osservato Giovanni Manildo nel suo messaggio post-voto, “l’affluenza in calo ci preoccupa e dovrebbe interrogare tutta la politica“.

La partita per le prossime elezioni politiche è dunque aperta, con un centrosinistra galvanizzato dalla conferma che “il mito dell’imbattibilità di Giorgia Meloni finisce oggi“, come hanno ripetuto le opposizioni, e un centrodestra che dovrà riflettere sulla difficoltà di sfondare nelle regioni meridionali, nonostante l’impegno diretto della premier.
Il vero vincitore di questa tornata elettorale resta però l’astensionismo, sintomo di una disaffezione crescente che nessuno schieramento sembra in grado di invertire.


