Gaza. Israele inizia l’operazione di terra I carri di Gedeone

Nelle prime ore di sabato 17 maggio 2025, i residenti di Deir al Balah, città nel cuore della Striscia di Gaza, hanno udito raffiche di armi automatiche risuonare tra le strade. Il fragore degli spari è arrivato poche ore dopo l’annuncio ufficiale dell’esercito israeliano: le truppe si stanno preparando per un’avanzata su larga scala nel territorio, con l’obiettivo di espandere il controllo militare, acquisire nuove aree e spostare ulteriormente la popolazione civile. Un’ondata di tensione ha attraversato la regione, mentre i mediatori internazionali, tra cui rappresentanti dell’amministrazione Trump, tentavano invano di negoziare una tregua temporanea.

Il contesto di un conflitto

Il conflitto tra Israele e Hamas, iniziato il 7 ottobre 2023 con l’assalto di militanti palestinesi nel sud di Israele, che causò circa 1.200 morti e 250 ostaggi, prosegue ormai da oltre 18 mesi. Nonostante le operazioni militari israeliane abbiano provocato, secondo le autorità sanitarie di Gaza, più di 50.000 vittime (senza distinzione tra civili e combattenti), Hamas non è stato sconfitto e almeno 58 ostaggi rimangono ancora nelle mani del gruppo. La strategia israeliana, basata su bombardamenti aerei, incursioni terrestri e un blocco totale degli aiuti umanitari imposto da marzo, non ha prodotto i risultati attesi. Anzi, ha aggravato la crisi umanitaria: due milioni di palestinesi affrontano carestie, mancanza di medicinali e condizioni igieniche disperate, come sottolineato dal presidente Trump in una dichiarazione recente.

La mobilitazione e le incognite strategiche

L’annuncio della mobilitazione delle truppe israeliane arriva dopo mesi di stallo. Sebbene l’esercito abbia già occupato porzioni significative di Gaza, la nuova fase sembra puntare a un’espansione territoriale senza precedenti. Fonti militari israeliane parlano di “preparativi per un’operazione decisiva”, ma i dettagli rimangono vaghi. Non è chiaro, ad esempio, se gli scontri a Deir al Balah siano parte di un’offensiva organizzata o di azioni localizzate. Quel che è certo è che il premier Benjamin Netanyahu intende aumentare la pressione su Hamas, costringendolo a cedere sulle richieste di liberazione degli ostaggi e smilitarizzazione.

L’operazione, denominata “Carri di Gedeone”, trae ispirazione dall’episodio biblico in cui il condottiero ebraico sconfisse i Midianiti con mezzi limitati. L’espressione «i carri di Gedeone», non compare nel testo ebraico. Bibbia alla mano, Gedeone non schierò affatto carri da guerra, simbolo di potenza militare: al contrario, la narrazione insiste sull’assenza di mezzi bellici sofisticati proprio per sottolineare l’intervento miracoloso di Dio, oggi la locuzione riemerge ogni tanto nel linguaggio giornalistico o militare per indicare un contingente ristretto ma decisivo.

Secondo i piani dell’IDF, decine di carri armati e migliaia di riservisti – molti già provati da 18 mesi di combattimenti – verranno schierati per conquistare interi quartieri strategici, spostando forzatamente i civili verso il sud della Striscia. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, esponente dell’estrema destra, ha dichiarato senza mezzi termini: «Dobbiamo entrare a Gaza con tutte le nostre forze, finire l’opera: occupare, conquistare il territorio e schiacciare il nemico».

La crisi umanitaria e il blocco degli aiuti

Mentre i carri armati si riposizionano, la popolazione civile paga il prezzo più alto. Il blocco imposto da Israele ha ridotto al minimo gli approvvigionamenti di cibo, acqua e medicine, creando una situazione definita “strumento di sterminio” da Human Rights Watch. Decine di migliaia di famiglie vivono tra le macerie delle abitazioni distrutte, senza accesso a servizi essenziali. Il venerdì precedente alla mobilitazione, almeno 115 persone sono morte in raid aerei, aggiungendosi a un bilancio già insostenibile. L’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Volker Turk, ha accusato Israele di perseguire una “pulizia etnica” attraverso lo sfollamento forzato e la negazione degli aiuti.

Nonostante gli appelli delle Nazioni Unite, che hanno ribadito di essere pronte a gestire gli aiuti con «imparzialità e neutralità», il governo israeliano insiste nel limitare l’accesso agli operatori umanitari. Tom Fletcher, sottosegretario ONU, ha denunciato: «Abbiamo un piano pronto, ma non ci permettono di agire». Intanto l’amministrazione Trump sta valutando un controverso piano per trasferire fino a un milione di palestinesi dalla Striscia di Gaza alla Libia, sebbene i dettagli rimangano nebulosi.

Mediazioni fallite e prospettive future

I tentativi di mediazione, guidati dagli Stati Uniti, non hanno finora prodotto accordi. Hamas insiste che non rilascerà gli ostaggi senza un cessate il fuoco permanente e il ritiro completo delle truppe israeliane da Gaza. Israele, dal canto suo, rifiuta qualsiasi trattativa fino alla resa incondizionata del gruppo. I colloqui di Doha sono naufragati nell’amarezza.

Negli ultimi giorni un attacco aereo israeliano ha preso di mira Khan Younis, nel sud di Gaza, nel tentativo di eliminare Muhammad Sinwar, uno dei leader più influenti di Hamas ancora in libertà. Pare ormai accertata la morte del leader di Hamas.

La mobilitazione delle truppe israeliane segna una nuova, pericolosa fase in un conflitto che sembra destinato a prolungarsi. Con migliaia di riservisti richiamati e un’offensiva terrestre imminente, la comunità internazionale teme un’escalation senza ritorno. Tuttavia, senza una strategia politica che affronti le cause profonde dello scontro, dall’occupazione israeliana alla divisione tra fazioni palestinesi, qualsiasi vittoria militare rischia di essere effimera.

Il Washington Institute, think tank vicino alla lobby israeliana negli USA, ha avvertito che un’occupazione prolungata di Gaza potrebbe innescare una guerriglia infinita, rafforzando paradossalmente la resistenza palestinese. Come ha osservato un diplomatico europeo: «Le armi possono conquistare territorio, ma non costruire la pace». Intanto, a Gaza, il rumore delle armi continua.