23 Dicembre 2025
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Generale russo ucciso in pieno centro a Mosca

Auto Mosca

MOSCA — Il boato che ha squarciato la quiete di Yasenevo, un distretto residenziale nella periferia sud-occidentale della capitale russa, non ha solo distrutto una Kia Sorento bianca. Ha frantumato, per l’ennesima volta, l’illusione di sicurezza che il governo russo ha cercato di mantenere intatta per la sua élite militare.

Erano da poco passate le sette e trenta di lunedì mattina quando il tenente generale Fanil Sarvarov, cinquantaseienne capo del Direttorato per l’addestramento operativo dello Stato Maggiore, è uscito dal suo condominio per recarsi al lavoro. Non ha avuto il tempo di immettersi nel traffico moscovita. Un ordigno improvvisato, piazzato con precisione chirurgica sotto il sedile del guidatore, ha trasformato l’abitacolo in una trappola mortale.

Un parcheggio trasformato in una scena del crimine

La scena descritta dai primi soccorritori e riportata dai canali Telegram vicini alle forze dell’ordine, come Baza e Mash, è quella di una devastazione mirata. L’esplosione è stata contenuta ma letale, progettata per uccidere l’occupante senza causare danni collaterali massicci agli edifici circostanti. Per Sarvarov la morte è sopraggiunta all’istante, segnando il punto più alto di una campagna di eliminazione che sta sistematicamente prendendo di mira i vertici della macchina bellica russa.

Gli investigatori del Comitato Investigativo della Federazione Russa, giunti sul posto in tute blu scuro mentre la neve iniziava a coprire i detriti, hanno immediatamente aperto un fascicolo per omicidio e traffico illegale di esplosivi. Tuttavia, nessuno a Mosca nutre dubbi sulla matrice dell’attacco. Le autorità puntano il dito contro i servizi speciali ucraini, accusati di aver portato ancora una volta il terrore nel cuore pulsante del potere nemico.

L’uccisione del generale russo fa parte di una strategia

Questo omicidio non è un evento isolato, ma rappresenta l’apice di una strategia di logoramento che ha cambiato volto nell’ultimo anno. La guerra non si combatte più solo nelle trincee fangose del Donbass o nelle steppe di Zaporizhzhia. Si è spostata nei parcheggi dei condomini di lusso, nei parchi dove gli ufficiali fanno jogging e nelle strade che percorrono quotidianamente per tornare dalle loro famiglie.

Un generale operativo con responsabilità formativa

Sarvarov non era un burocrate qualsiasi. Veterano decorato delle campagne in Cecenia e figura chiave nell’intervento russo in Siria del 2015, ricopriva un ruolo nevralgico nell’attuale conflitto. Il suo compito era supervisionare la preparazione delle riserve e l’addestramento delle nuove unità destinate al fronte. Colpire lui significa inceppare un ingranaggio fondamentale della catena di montaggio militare che alimenta lo sforzo bellico del Cremlino.

L’attentato in un luogo centrale e significativo

La scelta del luogo dell’attentato aggiunge un ulteriore livello di inquietudine per l’apparato di sicurezza russo. Yasenevo non è un quartiere qualunque. È una zona storicamente legata all’intelligence, nota per ospitare il quartier generale dell’SVR, il servizio di spionaggio estero. Il fatto che un’operazione di sabotaggio così complessa sia stata eseguita proprio sotto il naso delle spie russe evidenzia una falla sistemica nel controspionaggio che il governo fatica a nascondere.

Una rete di collaboratori a Mosca

Fonti di intelligence occidentali suggeriscono che la capacità di Kiev di operare così in profondità nel territorio nemico indichi una rete di collaboratori locali ben radicata o una permeabilità dei confini russi che persiste nonostante i controlli draconiani. Non si tratta solo di piazzare una bomba, ma di sorvegliare per settimane un obiettivo di alto profilo, studiarne le abitudini e colpire nel momento di massima vulnerabilità.

La reazione ufficiale del Cremlino è stata, come da copione, furiosa ma misurata nei toni pubblici. Il portavoce Dmitry Peskov ha condannato l’atto definendolo terrorismo di stato, promettendo che i responsabili saranno identificati e puniti. Dietro le quinte, tuttavia, fonti vicine al Ministero della Difesa descrivono un clima di crescente paranoia. Gli ufficiali di alto rango hanno iniziato a modificare le loro routine, a evitare i veicoli personali e a richiedere scorte più pesanti.

Uno schema che si ripete

L’eliminazione di Sarvarov segue un modello ormai tristemente familiare per i militari russi. Solo pochi mesi fa, un altro alto ufficiale era stato ucciso in circostanze simili nella regione di Mosca, e prima ancora un comandante di sottomarino era stato abbattuto mentre correva in un parco di Krasnodar. Esiste una lista, reale o metaforica, e i nomi vengono cancellati uno dopo l’altro con una regolarità che sfida le misure di protezione statali.

Assassinio durante il delicato momento di negoziati

Questo assassinio giunge in un momento politico estremamente delicato. Con il conflitto che si trascina verso il suo quarto anno e i fronti sostanzialmente congelati, le operazioni asimmetriche assumono un peso politico sproporzionato. Servono a dimostrare che la Russia non può garantire la sicurezza nemmeno ai suoi servitori più fedeli e protetti.

L’attentato dimostra che nessuno è al sicuro, neanche a Mosca

Per la popolazione moscovita, che ha vissuto gran parte della guerra in una bolla di relativa normalità, eventi come questo sono un brusco risveglio. Le immagini dell’auto carbonizzata di Sarvarov, circolate viralmente sui social media russi nonostante i tentativi di censura, portano la realtà del conflitto dentro il Grande Raccordo Anulare di Mosca. La guerra non è più un concetto astratto da guardare in televisione, ma una presenza fisica che fa saltare in aria le macchine nel parcheggio sotto casa.

Una spaccatura tra i militari russi

Gli analisti militari russi, spesso voci critiche tollerate dal regime, hanno espresso sui loro blog la frustrazione per l’incapacità dell’FSB di prevenire questi attacchi. Si chiedono come sia possibile che, dopo quasi quattro anni di guerra, gli agenti nemici possano muoversi così liberamente nella capitale. Queste critiche, seppur velate, riflettono una spaccatura crescente tra l’apparato militare e i servizi di sicurezza, due pilastri del potere putiniano che iniziano a guardarsi con sospetto reciproco.

Nessuna rivendicazione da Kiev

Dal punto di vista ucraino, sebbene manchi una rivendicazione ufficiale esplicita, l’operazione rientra nella dottrina dichiarata dal capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov. La sua filosofia è sempre stata chiara: chiunque partecipi all’aggressione contro l’Ucraina è un obiettivo legittimo, ovunque si trovi. Questa non è vendetta, sostengono a Kiev, ma giustizia differita ed esecuzione di una sentenza emessa dalla storia.

L’uccisione del generale è sintomo di scarsa sicurezza

L’impatto psicologico di tali omicidi è forse più devastante del danno materiale. La morte di un singolo generale, per quanto competente, può essere assorbita da una struttura militare vasta come quella russa. Ma la sensazione di essere braccati, di non avere un luogo sicuro dove rifugiarsi, erode il morale della classe dirigente. Costringe ogni ufficiale a guardarsi alle spalle, a sospettare del meccanico che ripara l’auto o del vicino di casa troppo curioso.

Una lunga giornata per la polizia scientifica russa

Mentre il sole tramonta su Yasenevo e la polizia scientifica rimuove gli ultimi frammenti della Kia Sorento, resta una certezza amara per l’establishment russo. I confini geografici del conflitto sono diventati irrilevanti. La linea del fronte non è più definita dalle trincee, ma dalla portata dell’intelligence avversaria e dalla determinazione di chi ha deciso di portare la guerra direttamente agli architetti dell’invasione.

Nelle prossime settimane assisteremo probabilmente a un giro di vite nella capitale. Ci saranno arresti, forse spettacolari, raid contro presunte cellule dormienti e un ulteriore inasprimento delle misure di sorveglianza digitale. Ma la vulnerabilità esposta oggi è profonda. La morte del generale Sarvarov dimostra che le mura del Cremlino possono essere alte, ma non sono impenetrabili. In questa nuova fase del conflitto, la minaccia è invisibile, silenziosa e paziente, pronta a colpire quando la guardia si abbassa, anche solo per un istante, in un tranquillo lunedì mattina di dicembre.

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