Punti chiave
Il raid statunitense contro una barca venezuelana riapre un fronte che tocca diritto internazionale, percezione dell’uso della forza e memoria dei conflitti più recenti. L’America difende la propria operazione, ma molti Paesi la considerano una linea rossa superata.
La ricostruzione dell’attacco e il ruolo di Hegseth
Il 2 settembre, durante un’operazione navale contro presunti trafficanti di droga nel Mar dei Caraibi, un missile lanciato dagli Stati Uniti distrusse un’imbarcazione venezuelana individuata come obiettivo in un’area utilizzata da reti criminali transnazionali. La dinamica avrebbe potuto rientrare nella consueta strategia statunitense contro il narcotraffico, se non fosse stato per ciò che accadde dopo l’esplosione iniziale.
Un secondo attacco fu autorizzato dal segretario alla Difesa Pete Hegseth e condotto dall’ammiraglio Frank M. Bradley, colpendo le persone che si trovavano in acqua dopo il primo impatto.

La sequenza temporale è oggi al centro di un’indagine che non riguarda soltanto l’azione militare, ma l’idea stessa di legalità bellica. Secondo le immagini termiche e le ricostruzioni radar, il secondo missile venne lanciato quando la minaccia apparente risultava già neutralizzata.
La distinzione tra continuità operativa e azione autonoma altera completamente il giudizio giuridico: se l’offensiva è considerata una singola operazione, la norma sulla “neutralizzazione della minaccia” giustifica la decisione; se si riconosce un intervallo operativo sufficiente, la seconda detonazione diventa un attacco contro persone non più in grado di combattere.
La posizione di Washington e la fragile difesa dell’operazione
Fonti governative statunitensi hanno sostenuto che l’azione rientrava pienamente nelle autorizzazioni conferite al Pentagono per contrastare il narcotraffico. Il concetto impiegato è quello di “minaccia residua”, espressione che da anni sostiene la dottrina dell’anticipatory self-defense applicata fuori dai conflitti dichiarati.
Il linguaggio utilizzato negli ultimi briefing identifica l’equipaggio come “narco-terrorist personnel”, definizione che consente a Washington di applicare logiche tipiche delle operazioni antiterrorismo. La difesa ufficiale, tuttavia, è stata accolta con crescente scetticismo dalle organizzazioni internazionali. Diversi esperti di diritto umanitario hanno ricordato che la Convenzione di Ginevra non consente di considerare un naufrago come combattente valido.
Questo principio è applicato da decenni nei tribunali internazionali, dove la distinzione tra combattente attivo e persona fuori combattimento rappresenta la base della tutela umanitaria contemporanea.

Il giudizio degli esperti e il confronto con i precedenti
Il concetto di “double-tap strike” viene generalmente associato alle violazioni più controverse avvenute in Medio Oriente durante le operazioni aeree contro milizie e gruppi irregolari. Giuristi specializzati ricordano che la pratica venne già condannata quando utilizzata dalla Russia durante le operazioni contro centri abitati in Ucraina, con particolare riferimento agli strike su obiettivi doppi. L’analogia solleva un nervo scoperto: gli Stati Uniti rischiano di essere associati alla stessa logica repressa nelle sedi diplomatiche occidentali, proprio mentre Washington chiede a Mosca di rispondere di attacchi condotti in territori dove erano presenti civili e operatori di soccorso.
Secondo fonti latinoamericane, l’evento si inserisce in un ciclo di tensione crescente legato alla presenza statunitense nel Mar dei Caraibi. Diversi governi sudamericani hanno segnalato che le operazioni militari contro il narcotraffico rischiano di assumere una dimensione unilaterale difficilmente compatibile con il principio di sovranità. In Venezuela, il caso è diventato immediatamente un argomento politico interno, poiché Caracas sostiene che parte delle vittime fossero pescatori locali e non membri di reti criminali.
Organizzazioni giuridiche, analisti e accademici internazionali insistono su un punto che oggi appare centrale: l’assenza di conflitto armato dichiarato. Ciò significa che l’uso della forza letale dovrebbe essere regolato dal diritto dei diritti umani, non dal diritto bellico. In questo scenario, la responsabilità dello Stato aumenta, poiché ogni ricorso al fuoco apre la possibilità di esecuzioni extragiudiziali.
Una tempesta politica a Washington
Negli Stati Uniti, la vicenda ha prodotto un effetto immediato: una spaccatura interna tra chi considera l’operazione parte di una strategia necessaria per contenere il traffico di droga e chi ritiene essenziale un’indagine completa sulla catena di comando.
I comitati parlamentari per i servizi armati e per gli affari esteri hanno chiesto accesso ai filmati integrali dell’operazione, mentre alcuni senatori hanno affermato che un secondo missile contro persone in acqua mina l’autorità morale degli Stati Uniti in ogni forum internazionale.
La Casa Bianca si trova così a fronteggiare una crisi duplice. Da un lato deve difendere la legittimità di un’azione condotta sotto una dottrina antinarcotici che espone il governo alla critica dei suoi stessi alleati. Dall’altro lato deve evitare che la vicenda diventi un precedente in grado di indebolire la posizione americana nelle dispute internazionali in cui Washington denuncia condotte ostili di altri attori.
Geopolitica di un caso destinato a durare
L’episodio arriva in un momento di grande fluidità geopolitica. La Russia utilizza ogni accusa contro gli Stati Uniti per ridurre il peso morale occidentale nelle discussioni sull’Ucraina. La Cina osserva la vicenda con attenzione, consapevole che l’erosione del consenso internazionale verso Washington facilita la propria narrativa sulla necessità di un nuovo ordine globale.

In America Latina, l’incidente alimenta la tesi secondo cui l’intervento militare statunitense genera più instabilità che sicurezza.Secondo alcuni analisti, il caso “double-tap” rischia di diventare il punto di svolta in cui la credibilità dello strumento militare statunitense viene discussa non per l’efficacia operativa, ma per la capacità di rispettare gli standard giuridici che lo stesso Occidente promuove da decenni.
In un mondo in cui la distinzione tra lotta al narcotraffico, operazioni militari e obiettivi geopolitici appare sempre più sottile, la seconda esplosione nel Mar dei Caraibi è diventata un simbolo di un cambiamento profondo. Il rischio più grande riguarda la possibile normalizzazione di pratiche che, secondo numerosi esperti, appartengono al terreno dell’eccezione e non della regola.
Una scelta interpretativa sbagliata oggi potrebbe costruire il precedente operativo su cui altri attori potrebbero appoggiarsi domani. Gli Stati Uniti non stanno difendendo soltanto un’azione militare, ma l’intero impianto giuridico che sostiene la loro leadership internazionale.


