Punti chiave
La sfida tra Nasry “Tito” Asfura e Rixi Moncada diventa il nuovo fronte geopolitico dell’America Centrale, mentre Washington torna a muoversi nella regione con strategie che dividono gli alleati.
Un voto che pesa molto più dei confini honduregni
In Honduras non si sta scegliendo soltanto un presidente si sta proprio ridefinendo il rapporto di un intero Paese con gli Stati Uniti, con il potere delle élite economiche locali e con la storia recente della regione. Il primo dicembre 2025 i cittadini si sono trovati davanti a un’elezione carica di tensione, segnata da accuse di brogli, da un clima polarizzato e dalla presenza incombente di una figura che non è candidata, ma che condiziona il voto come nessun altro: Donald Trump. Nasry “Tito” Asfura, ex sindaco di Tegucigalpa e volto conservatore della politica honduregna, guida lo scrutinio preliminare e si considera già la futura figura di riferimento di Washington in America Centrale.
Il suo vantaggio è minimo, ma pesa come un terremoto politico. Asfura ha ricevuto un sostegno pubblico da Trump che ha trasformato una competizione locale in una battaglia geopolitica. Gli osservatori americani e regionali lo considerano un segnale della volontà del nuovo establishment repubblicano di riprendersi il controllo dell’ordine politico latinoamericano attraverso alleanze ideologiche, promesse mirate e un messaggio semplice: con Trump al potere, chi si allinea verrà premiato.
Il peso della droga e della memoria
Il contesto è tutt’altro che neutro. L’Honduras è ancora segnato dalla condanna negli Stati Uniti dell’ex presidente Juan Orlando Hernández per traffico di cocaina. Trump ha promesso, durante un comizio in Florida, di considerare una grazia in caso di ritorno alla Casa Bianca. Il messaggio è chiaro: chi sta con Washington ottiene protezione, chi devia dalla linea paga un prezzo.
In questa cornice, l’elezione honduregna diventa un referendum sul grado di influenza americana nella regione. Gli osservatori dell’Organizzazione degli Stati Americani hanno già segnalato irregolarità nei seggi di San Pedro Sula e Choluteca. L’opposizione guidata da Rixi Moncada denuncia un “ritorno al passato”, evocando il colpo di Stato del 2009 contro Manuel Zelaya, padre politico della sinistra honduregna.
La nuova geopolitica della povertà
Sul terreno, la posta in gioco è umana prima che ideologica. L’Honduras resta uno dei Paesi più poveri del continente, con il 73% della popolazione sotto la soglia di povertà e una media di 38 omicidi ogni 100.000 abitanti. Le maras, le gang locali, controllano interi quartieri, e l’emigrazione continua a svuotare le campagne.Trump e Asfura puntano a presentare il nuovo patto politico come una soluzione di ordine e prosperità, ma gli analisti temono l’effetto opposto: un irrigidimento autoritario che riduca i diritti civili in nome della stabilità.
Tra Cina, droga e migrazioni il voto honduregno arriva anche mentre Pechino rafforza i legami con i Paesi dell’America Centrale. Dopo aver stabilito relazioni diplomatiche con Tegucigalpa nel 2023, Pechino ha investito in infrastrutture portuali e nel settore energetico. La vittoria di Asfura potrebbe modificare questo equilibrio, spingendo il Paese di nuovo verso l’orbita statunitense e minando la proiezione economica cinese nella regione. Il Dipartimento di Stato americano ha accolto con prudenza i risultati provvisori, mentre il Messico e il Guatemala chiedono “stabilità e trasparenza”. L’Unione Europea ha espresso preoccupazione per la polarizzazione, ma evita toni duri.

Una partita simbolica per il 2026, anno delle elezioni presidenziali statunitensi. Trump presenta il sostegno ad Asfura come la prova che il suo modello politico ha varcato i confini. La Casa Bianca di Biden osserva, preoccupata, ma senza intervenire apertamente: ogni pressione sarebbe letta come ingerenza.
Il risultato finale, ancora in bilico, determinerà non solo il destino di un piccolo Paese dell’America Centrale, ma anche la forma futura dell’influenza americana nel mondo post-globalizzato.In fondo, l’Honduras è oggi ciò che il Cile fu negli anni Settanta: il luogo dove si misura il potere reale degli Stati Uniti sull’emisfero.


