Punti chiave
Il video integrale del 2 settembre, mostrato ai comitati del Congresso, riapre la frattura morale, già al centro della cronaca, sul programma di uccisioni mirate contro presunti narcotrafficanti. Mentre lo sdegno cresce, l’amministrazione Trump annuncia un altro attacco nel Pacifico. La linea rossa del diritto internazionale sembra ormai superata e non si tratta più solo di Washington e Caracas ma di diritto internazionale e di presa di posizione che potrebbe sconfinare in ripercussioni pericolose.
La scena è meno di un minuto, si vedono due uomini, a torso nudo, aggrappati allo scafo rovesciato di una piccola imbarcazione. Nessun motore funzionante, nessuna arma visibile, nessuna possibilità di manovra o fuga, ma anzi acqua alle ginocchia e fumo sullo sfondo. Secondo una parte dei legislatori che hanno visionato il filmato integrale dell’attacco del 2 settembre, mostrato a porte chiuse dal comando militare, quei due uomini erano hors de combat, cioè incapaci di combattere, e dunque protetti dalle norme più basilari del diritto internazionale applicabile sia in guerra sia in qualsiasi operazione armata extraterritoriale condotta da uno Stato.
Eppure, pochi secondi dopo, il video mostra un altro missile che colpisce ciò che resta dell’imbarcazione e quando il fumo si dirada, non rimane nulla, né i superstiti né il relitto. La visione integrale del filmato, promessa da settimane ma resa disponibile solo ai comitati intelligence e difesa, ha provocato quella che un deputato democratico ha definito “una delle cose più inquietanti mai viste in anni di servizio pubblico”. Mentre cresce lo sdegno assieme al malumore e perplessità generale per la possibilità che siano state violate norme essenziali sul trattamento dei sopravvissuti, il Pentagono ha annunciato un nuovo attacco, questa volta nell’Oceano Pacifico orientale, che ha ucciso altri quattro uomini.
Lo ha fatto il giorno stesso in cui il Congresso cercava di comprendere se il precedente attacco rappresentasse una tragedia o un crimine. L’amministrazione non sembra intenzionata a rallentare.
Un’altra esplosione, un altro video, un altro comunicato militare
Il nuovo attacco, confermato dal comando meridionale, è stato presentato con la stessa formula: la barca colpita sarebbe stata “operata da un’organizzazione terroristica designata” e “caricata di narcotici”. Il video diffuso mostra una piccola imbarcazione in movimento, poi una deflagrazione improvvisa, una colonna di fumo, e infine i resti in fiamme. Con questa operazione, il numero totale delle uccisioni dall’inizio della campagna, iniziata a settembre, sale ad almeno 87 persone, distribuite tra Caraibi e Pacifico.

La dottrina dell’amministrazione è chiara: le reti di narcotraffico sono considerate “forze ostili” e dunque legittimi bersagli militari.La comunità giuridica internazionale, però, non è d’accordo. Molti esperti ricordano che:non esiste alcun armed conflict legalmente riconosciuto tra gli Stati Uniti e i presunti narcotrafficanti,nessuna autorizzazione all’uso della forza è stata approvata dal Congresso, la nozione di “narco-terrorismo” non crea automaticamente uno status di combattente, il principio hors de combat rende illecito colpire chi è ferito, incapace di reagire o naufrago.
E il video del 2 settembre sembra mostrare proprio questo: due naufraghi, non due combattenti.
Il momento di rottura: il video che divide Washington
La rivelazione non sta tanto nell’attacco in sé, già contestato da settembre, ma nella dinamica interna alla capitale americana. Il video è stato mostrato per la prima volta integralmente ai leader e le reazioni sono state immediatamente riprese quasi in tempo reale dalla stampa locale. Un deputato democratico lo ha definito “la prova che gli Stati Uniti hanno attaccato sopravvissuti naufraghi”. Un senatore repubblicano ha invece sostenuto che le immagini mostrerebbero “due uomini che tentano di rovesciare la barca per restare in combattimento”.
Due interpretazioni incompatibili. Due letture politicamente determinanti. Eppure giuristi indipendenti lo hanno chiarito, anche se gli uomini fossero stati combattenti, nel momento in cui sono naufraghi e incapaci di difendersi, diventano automaticamente hors de combat. Colpirli, in tale condizione, “è manifestamente illegale”. Lo hanno detto ex consiglieri legali del Dipartimento di Stato e professori di diritto internazionale. Lo hanno detto anche esperti di operazioni militari: persino nei conflitti più duri, un naufrago non può essere considerato un bersaglio.
Il Pentagono, tuttavia, insiste: “nebbia della guerra”, “assenza di certezza in tempo reale”, “minaccia potenziale di rinforzi ostili”. Ma l’espressione “nebbia della guerra” non cancella la norma; semmai la conferma. Perché la regola nasce proprio per proteggere chi, in quello stato di vulnerabilità, non può più nemmeno essere considerato un combattente.
La spaccatura politica: un’America divisa tra giustificazione e orrore
Le reazioni nel Congresso sono state l’istantanea più nitida della crisi morale in atto.Da una parte, chi sostiene che la campagna sia necessaria per fermare il flusso di droghe verso il territorio americano.Dall’altra, chi vede una deriva verso una militarizzazione extragiudiziale, mai autorizzata, mai deliberata, mai discussa apertamente.
Un deputato ha dichiarato che, dopo aver visto il video, “qualunque cittadino americano riconoscerebbe un attacco contro naufraghi inermi”.Un senatore repubblicano ha invece insistito che i sopravvissuti erano ancora “una minaccia attiva”. Eppure, la stessa amministrazione ha ammesso di non essere certa della presenza di narcotici né dell’effettivo status degli uomini a bordo. Non è stata fornita alcuna prova pubblica che le imbarcazioni fossero collegate a organizzazioni terroristiche.

Né è stato chiarito perché gli Stati Uniti, che per decenni hanno intercettato e arrestato presunti trafficanti in mare, improvvisamente abbiano scelto la dottrina dello strike letale immediato. Questa è la questione centrale per molti analisti perché l’America ha rinunciato a catturare, raccogliere prove, processare? Perché ha scelto la via delle esecuzioni militari extraterritoriali?
L’ombra del Venezuela: una campagna che si espande
Il nuovo attacco arriva in un contesto altamente infiammabile, nelle ultime settimane gli Stati Uniti hanno dispiegato la più grande portaerei del pianeta, posizionato F-35 e migliaia di militari nel Mar dei Caraibi, intensificato le missioni di sorveglianza, minacciato esplicitamente attacchi “sul territorio” venezuelano. Il Presidente venezuelano accusa Washington di voler “fabbricare una giustificazione militare”.Le truppe venezuelane sono state mobilitate lungo la costa.La popolazione è divisa tra paura e speranza di un possibile cambiamento politico. I sondaggi interni mostrano un dato cruciale dove emerge che la maggioranza dei venezuelani non vuole un intervento militare straniero. Ma una minoranza significativa vede l’escalation americana come una possibile via d’uscita dalla stagnazione politica. Questo rende il quadro ancora più pericoloso. Una campagna militare basata su una dottrina contestata si innesta su una regione già saturata di tensione economica, migrazioni, sanzioni, collasso infrastrutturale. L’escalation rischia di diventare autopropulsiva.
La questione centrale: può uno Stato dichiarare guerra al crimine?
Il cuore del dibattito, arrivati a questo punto, non riguarda solo la legalità dei singoli attacchi ma la dottrina complessiva. L’amministrazione sostiene che si tratta di una guerra contro “organizzazioni narcoterroristiche” e che quindi valgono le regole d’ingaggio del diritto bellico. I giuristi replicano che non si può dichiarare guerra a un reato, non si può trasformare un traffico illecito in un conflitto armato, non si può considerare un sospetto trafficante un combattente, non si possono colpire naufraghi, non si può eliminare il requisito del processo e della prova.
Il principio hors de combat è, in questo senso, una litmus test, un confine invalicabile. Un limite morale prima ancora che giuridico, non è propriamente una norma tecnica ma rientra nel principio del diritto internazionale e si tratta del punto in cui l’umanità, anche nel conflitto, decide di non oltrepassare se stessa. E se il filmato mostrato ai legislatori statunitensi immortalasse davvero un attacco contro naufraghi incapaci di reagire, l’intero impianto dell’ amministrazione Trump potrebbe risentire questa volta in maniera seria.
La reazione internazionale: silenzi, preoccupazioni, prime condanne
L’ attenzione su questa vicenda è alta e le opinioni discordanti stanno occupando la stampa di tutto il mondo. Tra le organizzazioni per i diritti umani, i segnali sono chiari e evidenziano un potenziale omicidio extragiudiziale, possibile violazione del diritto umanitario, rischio di precedente operativo pericolosissimo. Perché se uno Stato può annunciare unilateralmente che è “in guerra” contro il traffico di droga, e dunque può eliminare sospetti trafficanti in mare aperto senza arresto né prove, allora cosa impedisce ad altri Stati di fare lo stesso?
Cosa impedisce l’uso della forza contro “criminalità interna”? Cosa impedisce l’eliminazione di sospetti, senza processo, ovunque nel mondo? Gli esperti avvertono: la linea rossa si sta spostando.

L’impasse morale: una democrazia può accettare ciò che ha visto?
Mentre il Pentagono difende la campagna, e mentre la Casa Bianca insiste sulla necessità di “proteggere il popolo americano”, l’effetto maggiore non si misura all’estero, ma dentro gli Stati Uniti. Perché la domanda che ora attraversa Washington è di quelle che una democrazia teme più di tutte: se i cittadini vedessero l’intero video, lo accetterebbero?Uno dei legislatori che lo ha visionato ha detto: “Qualunque americano riconoscerebbe un attacco contro naufraghi.” Questa frase contiene il vero conflitto, non tra Washington e Caracas, non tra legislatori repubblicani e democratici. Non tra giuristi e militari. Il vero conflitto è tra ciò che una democrazia dice di essere e ciò che una democrazia fa fuori dai propri confini.
La conclusione che nessuno può evitare Il principio hors de combat perché non è un tecnicismo da cui ci si può svincolare velocemente ma è la misura minima della nostra umanità condivisa, del peso morale che si dà alla vita altrui e soprattutto un auto stop per non trasformarci in qualcosa che si combatte da sempre. È ciò che separa una operazione militare da una esecuzione. È ciò che distingue un conflitto armato da una caccia all’uomo. Finché gli Stati Uniti non affronteranno apertamente la domanda centrale, abbiamo ucciso naufraghi? Ogni nuovo attacco, ogni nuova esplosione, ogni nuovo video diffuso, sarà solo un tassello in una storia più grande: quella di una potenza che rischia di smarrire i propri limiti proprio mentre cerca di affermare la propria forza. E la storia insegna che nessuna democrazia può permetterselo a lungo.


