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Come Israele ha trasformato la fantascienza in arma operativa. Guida completa al sistema Laser Iron Beam
Cinquanta metri di cielo buio sopra il confine settentrionale di Israele. Una notte di poco più di un anno fa. I soldati della Dragon Battalion, il 946° battaglione di difesa aerea appena ricostituito dopo quasi due decenni di assenza, stavano tracciando una minaccia. Il Shahed 101, il drone iraniano quasi invisibile ai radar, sfrecciava in silenzio nell’aria, il suo motore elettrico completamente silenzioso, la sua struttura in fibra di carbonio praticamente impermeabile alle onde radio. Il piccolo aeromobile portava una bomba di otto chilogrammi verso un obiettivo civile israeliano.
Dentro il rimorchio delle operazioni della batteria, il respiro dei soldati si era fatto irregolare. La mano dell’operatore era ferma sul controllo. Nessun tuono di missile Tamir, nessun urlo caratteristico del lancio di una Arrow. Solo il crepitio lieve dei sistemi di raffreddamento e il ronzio dei computer. Poi è arrivato l’ordine finale.
Quello che accadde nei secondi successivi, il primo intercetto operativo della storia umana mediante arma laser, cambiò tutto. Il drone, colpito da qualcosa che non era una pallottola, non era un missile, non era un proiettile di alcun tipo noto alle dottrine militari classiche, fu colpito da una concentrazione di luce così intensa e focalizzata che l’ala sinistra si staccò violentemente. L’Shahed 101 tentò di stabilizzarsi con la fusoliera danneggiata, girò su se stesso e precipitò. Nel buio della notte di guerra, nacque una nuova era.
“Non era una scena di fantascienza,” racconta uno degli ingegneri che quella sera era in campo, il dottor Y., come lo chiama la stampa per motivi di sicurezza. “Era la realtà. Era il momento in cui tutto quello che avevamo sviluppato per vent’anni finalmente si realizzava sotto fuoco nemico.”
Il 27 maggio 2025, il Ministero della Difesa israeliano fece un annuncio che sorprese anche gli scettici più accaniti: il sistema laser Iron Beam, la cui denominazione ebraica è stata poi cambiata in “Or Eitan” (Luce di Eitan) in memoria del capitano Eitan Oster, caduto nel Libano, non era più una promessa. Era realtà operativa. Era stato già utilizzato in combattimento. E aveva abbattuto quasi quaranta droni.
Un decennio di promesse mancate: la storia del Laser che non voleva diventare realtà

Per capire il significato della notte di quel primo intercetto laser, bisogna tornare indietro di trent’anni, quando il mondo della difesa era ancora affascinato da un’idea: trasformare la luce in un’arma.
Nel 1996, il presidente Bill Clinton e il primo ministro israeliano Shimon Peres firmarono un accordo per lo sviluppo congiunto di un sistema laser per l’intercettazione di razzi. Si chiamava Nautilus, o THEL (Tactical High Energy Laser), ed era finanziato dal colosso della difesa statunitense Northrop Grumman. L’idea era rivoluzionaria: un laser chimico, incredibilmente potente, capace di bruciare i bersagli a distanza. Ma c’era un problema enorme: il sistema era gigantesco, pesante come un palazzo, carico di propellenti chimici pericolosi, e soprattutto, astronomicamente caro.
“Tutti noi che abbiamo lavorato al Nautilus abbiamo imparato lezioni preziose,” spiega il tenente colonnello Y., ingegnere della difesa presso la Directorate of Defense Research and Development israeliana (MAFAT). “Abbiamo scoperto che la potenza pura non è tutto. La complessità, il costo, la manutenzione, tutto questo era insostenibile.”
Il programma Nautilus fallì. Un altro tentativo americano, lo Skyguard, che mirava a sparare raggi laser da aerei da trasporto tipo jumbo jet, incontrò lo stesso destino. Nel 2007, di fronte alla scelta tra continuare a sviluppare laser o investire nel nuovo sistema Iron Dome, i missili intercettori di Rafael, il Ministero della Difesa israeliano fece una scelta pragmatica: abbandonò i laser.
Ma non per molto.
Rafael Advanced Defense Systems, l’azienda aerospaziale e della difesa israeliana che aveva sviluppato Iron Dome, iniziò discretamente a lavorare su una nuova idea. E se, invece di un singolo laser chimico monstruoso, si combinassero insieme decine di laser elettrici più piccoli? E se si potesse sfruttare la tecnologia della fibra ottica, che era già provata nell’industria medica e telecomunicazioni, per creare qualcosa di completamente nuovo?
“La fibra ottica era più debole di un laser chimico a livello individuale,” spiega il dottor D., capo dei sistemi di ottica elettronica del progetto. “Ma potevamo renderla potente aggiungendo più fibre. La sfida era farle lavorare insieme in modo coerente, come se fossero un unico raggio gigante.”
Questo è il punto cruciale: la combinazione coerente di fascio. Non è semplicemente sommando la potenza. È come la differenza tra un’orchestra che suona in disarmonia e un’orchestra che suona in perfetta armonia. Ogni fibra laser dovrebbe essere sincronizzata con le altre, in fase e frequenza, in modo che quando i loro raggi si sovrappongono, creino non una dispersione di energia, ma una concentrazione estrema di potenza su un’area minuscola.
“È come un parcheggio affollato,” illustra il dottor Y., il capo ingegnere di sistema di Iron Beam, con un’analogia che spiega perfettamente il concetto. “Immaginate un’auto che deve guidare attraverso questo parcheggio a 150 chilometri all’ora. Ha bisogno di vedere, di pensare, di una precisione quasi perfetta in ogni movimento. Poi aggiungete il fatto che il parcheggio si muove, che l’aria stessa si distorce come un miraggio su una strada d’asfalto calda. Questo è quello che facciamo: manteniamo il fascio laser preciso sotto turbolenze atmosferiche costanti.”
Per risolvere questo ulteriore problema, il fatto che l’atmosfera distorce continuamente il raggio, Rafael implementò una tecnologia chiamata ottica adattiva. Questo non è nuovo (viene usato negli osservatori astronomici da decenni), ma adattarlo a un’arma di difesa aerea era un salto tecnologico complesso.
“L’ottica adattiva è dove siamo i migliori al mondo, con un ampio margine,” dice il dottor D. “È critica. È quella che rende possibile tutto il resto.”
La struttura semplice di una rivoluzione

Nonostante la complessità tecnologica sottostante, la batteria di Iron Beam, chiamata anche Magen Or (“Scudo di Luce” in ebraico), è strutturata in modo sorprendentemente ordinato.
Immaginate una batteria come quella di Iron Dome, ma con una differenza fondamentale. Invece di centinaia di missiletti sul rimorchio, vedete un sistema che sembra un mix tra un osservatorio e una macchina fotografica gigante. Ecco i componenti:
Il Radar di Difesa Aerea: È lo stesso radar usato da Iron Dome. Scopre il bersaglio, razzo, mortaio, drone, missile e traccia la sua posizione, velocità e traiettoria. Nel giro di pochi secondi dopo il lancio del bersaglio, il radar sa esattamente dove sta andando.
L’Unità di Comando e Controllo (C2): Qui è dove accade la magia tattica. I computer calcolano, in tempo reale, se il bersaglio che si sta avvicinando minaccia effettivamente una zona protetta. Se sì, il C2 deve decidere: vale la pena usare un missile Iron Dome costoso 50.000 dollari? O possiamo usare il laser?
La decisione è quasi sempre logica. Un drone leggero? Laser. Una testata di razzo da mortaio? Laser. Un missile da crociera pesante a bassa quota con protezioni sofisticate? Forse un missile è più appropriato. Ma il punto è che il costo del laser è così minimo, circa 3-10 dollari statunitensi per colpo, che nel 90% dei casi, la risposta è: “Facciamo un laser.”
Due Sistemi HEL (High-Energy Laser): Questi sono i veri e propri cannoni laser. Sono due, non uno, per ridondanza e per poter concentrare maggior potenza. Insieme, generano 100 kilowatt di potenza laser ottica, 100.000 watt di pura energia luminosa concentrata. Per darvi un’idea della scala: un puntatore laser da negozio per giocare col gatto ha meno di un watt. Stavamo parlando di 100.000 volte più potente.
“Come generavamo questa potenza?” continua il dottor Y. “Non con un unico laser chimico mostruoso come il Nautilus. Piuttosto, abbiamo preso otto moduli laser a fibra ottica, ciascuno da circa 12-13 kilowatt, e li abbiamo fatti lavorare insieme. È una soluzione elegante perché è modulare: se abbiamo bisogno di più potenza in futuro, aggiungiamo più fibre.”
Il calore generato da questo processo è sostanziale: circa 28-30 kilowatt di energia termica deve essere smaltita. I sistemi di raffreddamento a bordo usano acqua demineralizzata ricircolante attraverso radiatori ad aria forzata, pompando circa 50-100 litri di fluido refrigerante al minuto attraverso il sistema.
Il Beam Director (Direttore di Raggio): Questo è il “muso del cannone”, la parte che veramente conta per il combattimento. È una struttura ottica sofisticata, che nella versione originale aveva un’apertura di 250 millimetri. La nuova versione, Iron Beam 450, presentata al Salone dell’Aeronautica di Parigi nel giugno 2025, ha un’apertura di 450 millimetri, quasi il doppio. Più grande è l’apertura, meglio il raggio si concentra e meno si disperde nell’atmosfera.
All’interno del direttore di raggio ci sono:
- Un canale ottico visibile con zoom per identificare il bersaglio durante il giorno
- Una telecamera termica a infrarossi ad alta risoluzione che traccia il bersaglio tramite il suo calore
- Un telemetro laser che misura continuamente la distanza
- Un illuminatore laser a bassa potenza per il supporto tattico
- Un sistema di puntamento a gimbal (montatura girevole) che può orientarsi a 360 gradi
“Tutto questo lavora in simultanea,” spiega l’ingegnera T., che gestisce un team di quaranta persone responsabili dello sviluppo del direttore. “Il radar ti dice dove cercare. La telecamera termica vede il calore del bersaglio. Gli algoritmi di tracking seguono il movimento. L’ottica adattiva corregge le distorsioni atmosferiche. E tutto questo accade in tempo reale, mentre il bersaglio si muove.”
L’ingegnera T. è nata in Russia e immigrò da bambina in Israele. Ha 42 anni, tre figli, e da quindici anni lavora a questo progetto. “È bello lavorare su qualcosa che sai in fondo proteggerà la tua casa, i tuoi figli, i soldati,” dice con una semplicità che racchiude il sacrificio di un decennio e mezzo di lavoro.
Come funziona: la sequenza di battaglia

Ipotizziamo uno scenario realistico basato su quello che è effettivamente accaduto sul confine settentrionale di Israele.
Un drone Shahed 101 viene lanciato da una rampa in Libano. È un sabato sera, il cielo è relativamente chiaro. Il drone vola a circa 500 metri di altitudine, silenzioso, invisibile visivamente se non siete molto vicini, una “macchia” sulla schermata radar a causa della sua piccola sezione trasversale.
T+5 secondi dal lancio: Il radar di difesa aerea della batteria Iron Beam, posizionato a una decina di chilometri dal confine, rileva il lancio. Sulla schermata del C2, appare un simbolo nuovo. È classificato come “Shahed UAV” dai database del sistema.
T+15 secondi: Il sistema ha tracciato la traiettoria. Sta venendo verso il territorio israeliano, verso una comunità civile. La decisione è rapida: questo è un bersaglio per il laser.
T+20 secondi: I dati radar vengono trasmessi al beam director dell’Iron Beam, che è montato su una giunto girevole (gimbal). Il gimbal si orienta rapidamente, portando il “muso” del cannone laser verso il volume di spazio stimato dove il drone dovrebbe trovarsi.
T+22 secondi: La telecamera termica “vede” il raggio infrarosso del motore caldo del drone. L’algoritmo di tracking automatico afferra il bersaglio. Non è ancora sparato, il sistema sta solo tracciando. Gli operatori confermano il lock.
T+24 secondi: “LEZIRA!” – l’ordine ebraico per “fuoco!” gli otto moduli laser a fibra ottica si accendono simultaneamente. Inizia il processo di combinazione coerente: gli otto fasci separati, ciascuno uscendo dalle fibre ottiche, vengono sincronizzati in fase e frequenza da circuiti di controllo ultra-veloci.
T+24,1 secondi: I fasci combinati si concentrano nel beam director a 250 millimetri di apertura (o 450 mm nella versione nuova). L’ottica adattiva integrata nel direttore “guarda” il bersaglio attraverso uno specchio di campionamento e calcola in tempo reale come l’atmosfera sta distorcendo il fascio. Piccoli attuatori piezoelettrici regolano minuscoli specchi interni per corregere il fronte d’onda della luce, compensando la turbolenza dell’aria.
T+24,2 secondi: Il fascio combinato, ora coerente e ben focalizzato, esce dal beam director e colpisce l’ala del drone Shahed 101. L’area d’impatto è piccola, dell’ordine di un paio di centimetri di diametro a distanza di 7-10 chilometri, ma la densità di potenza è astronomica: milioni di watt per metro quadrato (megawatt per metro quadrato).
T+24,5–26 secondi: Il calore è così intenso che la fibra di carbonio dell’ala inizia a fondere. Le resine che legano i filamenti cedono. L’ala perde integrità strutturale.
T+27 secondi: L’ala si stacca. Il drone, improvvisamente squilibrato, perde il controllo aerodinamico.
T+28 secondi: Lo Shahed 101, che pochi secondi prima era una minaccia mortale a bassa quota, inizia a girare su se stesso incontrollato. Il suo naso punta verso il basso. Precipita come una pietra.
T+32 secondi: Impatto al suolo. Il drone è distrutto. Nessun collaterale civile perché il laser ha distrutto il bersaglio in aria. I residui cadono in un’area controllata dal punto di vista tattico.
T+35 secondi: Nel rimorchio del C2, gli operatori iniziano già a cercare il prossimo bersaglio. Nessun intervallo di ricaricamento di 15 minuti come con Iron Dome. Nessuna scorta limitata di missili. Il sistema è pronto di nuovo in pochi secondi. L’unico limite è la potenza elettrica disponibile.
Questa è la sequenza di battaglia. È rapidissima. È elegante. Ed è completamente nuova nella storia della guerra.
La rivoluzione economica: quando la difesa costa meno dell’attacco

Nel vecchio paradigma dei sistemi di difesa aerea, c’era sempre stata una diseguaglianza economica semplice e brutale: l’attaccante aveva il vantaggio. Nel caso di attacchi a scarso impatto (droni leggeri, razzi artigianali), il rapporto costo-beneficio per la difesa diventava ridicolo: spendere 50.000 dollari per abbattere un razzo che costa 300 dollari?
Iron Beam inverte questa logica.
Il costo di un singolo colpo laser è calcolato principalmente come il costo dell’energia elettrica necessaria per generare 100 kilowatt di potenza per il tempo di illuminazione (tipicamente 4-5 secondi). Con le tariffe industriali di elettricità di circa $0,25–0,50 per kilowatt-ora, un singolo intercetto laser costa fra i 3 e i 10 dollari statunitensi.
Un intercetto laser, circa 10 dollari. Un intercettore Iron Dome, 50.000-100.000 dollari.
Un razzo Qassam lanciato da Gaza? Circa 300-800 dollari. Per una frazione di quello che costa il razzo, Israele può neutralizzarlo.
“È un cambio di paradigma,” ha dichiarato Yuval Steinitz, presidente di Rafael, in un’intervista sull’importanza strategica del sistema. “Proprio come Iron Dome simboleggiava il passaggio dalla deterrenza tradizionale alla difesa attiva, Iron Beam simboleggia il passaggio da un mondo di munizioni a un mondo di energia. È un cambio concettuale profondo.”
Ma c’è di più. Non solo il costo per colpo è inferiore: il sistema ha, teoricamente, un “caricatore illimitato”.
Un sistema Iron Dome con una batteria completa ha una certa quantità di missili, diciamo, 60 intercettori. Dopo che sono stati usati, deve essere rifornito. Questo richiede logistica, trasporto, manodopera, e soprattutto tempo, potenzialmente ore o giorni. Iron Beam, invece, fintanto che ha una fonte di energia stabile (rete elettrica, generatore, batterie), può continuare a “sparare” indefinitamente. Ogni intercetto consuma solo energia, non munizioni fisiche.
“L’idea che il laser potrebbe essere inefficace perché ‘rimane senza munizioni’ è semplicemente non rilevante per Iron Beam,” spiega il dottor Y. “L’unico limite è la potenza elettrica e il raffreddamento termico. Finché hai quella, puoi continuare a combattere.”
Durante la guerra nel confine settentrionale di Israele nel 2024-2025, questa capacità si è rivelata cruciale. Gli attacchi di droni Hezbollah venivano spesso in ondate, a volte dozzine di UAV nello stesso periodo di tempo. Un sistema Iron Dome potrebbe abbatterne forse 10-15 prima di esaurire i suoi intercettori. Il laser? Continua a sparare finché gli ingegneri non risolvono un problema tecnico o il sistema non ha bisogno di raffreddamento.
Rafael non si è fermato a una singola configurazione di Iron Beam. Consapevole dei diversi scenari di combattimento possibili, ha sviluppato una famiglia di sistemi laser.
Iron Beam (100 kilowatt – Versione Fissa Principale)
Questa è la configurazione principale. Montata su un rimorchio, collegata a generatori dedicati da 150-200 kilowatt, è destinata alla protezione di aree strategiche: comunità civili, infrastrutture critiche, basi militari. Il raggio operativo è 7-10 chilometri. Il tempo di illuminazione per l’intercetto è di 4-5 secondi al raggio massimo, riducendosi a 1-2 secondi se il bersaglio è più vicino o meno resistente (come un drone leggero).
È il cavallo di battaglia del sistema di difesa aerea israeliano.
Iron Beam 450 (100 kilowatt – Versione Potenziata)
Presentata al Salone dell’Aeronautica di Parigi nel giugno 2025, questa versione mantiene la stessa potenza laser di 100 kilowatt, ma migliora drasticamente il beam director passando da 250 millimetri a 450 millimetri di apertura. Cosa significa? Il raggio si concentra meglio, la distanza operativa aumenta leggermente, la resistenza alla turbolenza atmosferica migliora. I tempi di intercetto si riducono.
Operativamente, è la versione “potenziata” che rappresenta il futuro immediato della difesa aerea israeliana.
Iron Beam M (50 kilowatt – Versione Mobile)
Se Iron Beam è l’artiglieria di posizione, Iron Beam M è la fanteria. È installato su un camion (camion X88 o equivalente), con una potenza laser ridotta a 50 kilowatt e un raggio operativo di circa 4-5 chilometri. È destinato a proteggere forze manovranti, convogli, installazioni tattiche temporanee.
Durante una grande operazione di terra, piccoli sistemi Iron Beam M potrebbero essere distribuiti lungo le linee di movimento, proteggendo le unità dagli attacchi di droni e razzi.
Lite Beam (10 kilowatt – Versione Tattica Leggera)
Il sistema di difesa anti-droni “tascabile” di Rafael. Con soli 10 kilowatt di potenza, è installabile su veicoli blindati leggeri, camion, persino punti fissi elevati. Il raggio operativo è di poche centinaia di metri fino a 2 chilometri. È specializzato nel neutralizzare droni commerciali, piccoli UAV e ordigni improvvisati.
Lite Beam è già stato schierato e usato in combattimento durante la guerra al confine settentrionale, rappresentando la versione più “matura” e collaudata della tecnologia laser Israeli.
Le limitazioni: quando il raggio non vede
Nonostante i trionfi tecnici, nessuno strumento di guerra è universale. Iron Beam ha limitazioni definite e ben comprese.
“Il nostro nemico numero uno non è Hezbollah o Hamas,” scherza il dottor D. “È il cielo nuvoloso.”
L’atmosfera è il grande ostacolo. Un raggio laser è assorbito da:
- Nebbia e nuvole basse: Che disperdono la luce in tutte le direzioni
- Polvere e particolati: Tipici delle tempeste di sabbia (khamsin) comuni in Medio Oriente
- Fumo di combattimento: Dai precedenti bombardamenti
- Umidità elevata e pioggia: Che assorbono la radiazione infrarossa
In condizioni meteo avverse, il raggio effettivo cala drasticamente da 10 chilometri a 2-3 chilometri. Il tempo di illuminazione necessario per l’intercetto sale da 4-5 secondi a 10-15 secondi o più.
Il Ministero della Difesa israeliano stima che Iron Beam abbia una disponibilità operativa di circa il 90% su base annuale, calcolato sulle medie storiche delle condizioni atmosferiche a Israele e nel territorio di Gaza. Il che significa che, teoricamente, 35 giorni all’anno il sistema è meno efficace, un compromesso che gli ufficiali israeliani ritengono accettabile.
A differenza di un missile che segue una traiettoria balistico-guidata curva ed è capace di aggirare ostacoli, il laser è rettilineo. Non può colpire attraverso un edificio, una montagna o una collina. Un bersaglio che passa dietro un rilievo è al sicuro, almeno finché rimane coperto.
Questo limita il posizionamento operativo dei sistemi. Devono avere una vista chiara verso il probabile volume di spazio da cui verranno i bersagli.
L’impossibilità dello spazio profondo

Il fantasma che appare nelle discussioni tecniche sulla difesa laser è quello dei missili balistici a medio-lungo raggio (200+ chilometri) e dei bersagli a grande altitudine (60-100 chilometri). Per questi, sarebbero necessari laser di ordine di grandezza superiore (500 kilowatt – 1 megawatt) e sistemi di puntamento collocati nello spazio o su piattaforme aeree ad altitudine elevata.
Questo è precisamente il motivo per cui Arrow 3 e Arrow 4, i sistemi di difesa balistico-strategici Israeli, non verranno mai sostituiti da Iron Beam. Il sistema laser rimane nello strato “interno” della difesa multistrato.
Sapendo della sensibilità dei laser all’atmosfera, Rafael e i partner avevano una scelta: arrendersi al compromesso, o risolvere il problema tecnico.
Hanno scelto di risolverlo.
L’arma principale in questo arsenale tecnico è l’ottica adattiva, tecnologia sviluppata decenni fa per gli osservatori astronomici (come il telescopio dell’ESO in Cile), ma mai prima implementata in un’arma di guerra.
Ecco come funziona, in termini semplici:
Quando il fascio laser lascia il beam director e viaggia attraverso l’atmosfera verso il bersaglio, è costantemente distorto dalle variazioni di temperatura e densità dell’aria. Questo è il “miraggio” che vedete in una strada calda di asfalto.
Il sistema Iron Beam non può prevenire queste distorsioni (sono lì, nel mondo reale), ma può misurarle e correggerle in tempo reale.
Un sensore ottico interno al beam director “guarda” continuamente come il fascio viene deformato. Un computer prende questa informazione e calcola quale deve essere la correzione: un piccolo specchio deve muoversi di un frazione di millimetro in una certa direzione, un altro specchio deve inclinarsi leggermente. Questi movimenti, controllati da attuatori piezoelettrici ultra-veloci, avvengono decine di volte al secondo.
Il risultato è un fascio laser che rimane focalizzato sul bersaglio, anche mentre l’atmosfera lo attacca costantemente.
“Siamo i migliori al mondo in ottica adattiva, con un ampio margine,” dice il dottor D. “È la chiave di tutto.”
L’altra tecnologia cruciale è la sincronizzazione di fase dei moduli laser. Ricordate: Iron Beam ha otto moduli laser separati che devono lavorare insieme come uno solo. Questo non è solo una questione di sommare la potenza. È una questione di sincronizzare le onde luminose cosicché i loro picchi si sommino, piuttosto che cancellarsi a vicenda.
È come un direttore d’orchestra che assicura che tutti i violini suonino lo stesso “la” nello stesso momento. Se uno suona un mezzo tono più alto o più basso, il suono è armonico. Se tutti suonano la stessa nota, è magnifico. Ma se i violini sono fuori tempo, il risultato è caos.
Nel laser, è la stessa cosa. I circuiti di sincronizzazione di fase mantengono i moduli in coerenza con tolleranze dell’ordine di frazioni di microsecondi.
“Questo è dove la nostra competenza tecnica è stata più messa alla prova,” ricorda il dottor Y. “Avevamo bisogno di creare qualcosa che non era stato mai fatto prima in questa scala.”
La struttura logistica: il vero vincolo
Molti si chiedono: se il costo per colpo è così basso e il sistema non ha bisogno di “munizioni” nel senso tradizionale, quale è il vero vincolo operativo?
La risposta è banale: l’energia.
Una batteria Iron Beam a potenza massima assorbe circa 130-140 kilowatt di potenza elettrica continua. Questo deve provenire da qualche parte. Nel campo permanente, può essere la rete elettrica (se il sito è vicino a linee ad alta tensione). In teatro operativo avanzato, significa generatori diesel dedicati.
Un generatore da 150-200 kilowatt, in grado di fornire potenza continua, consuma circa 30-40 litri di carburante diesel all’ora a piena potenza. Se una batteria opera per 8 ore consecutive (scenario di battaglia intensa), significa 240-320 litri di diesel solo per il generatore.
Questo è il vero “vincolo di munizionamento” di Iron Beam: logistica di carburante e disponibilità di potenza elettrica.
Inoltre, il calore generato (28-30 kilowatt di dissipazione termica) deve essere smaltito. Un sistema di raffreddamento ad acqua circolante è essenziale. In climi caldi come il Medio Oriente (le temperature in estate nel Negev raggiungono i 45-50°C), il mantenimento della temperatura di esercizio dei moduli laser (sotto i 50-60°C) è una sfida permanente.
Consapevole di questi vincoli, il Ministero della Difesa israeliano ha costruito la logistica di supporto per Iron Beam intorno a questi concetti: stazioni centrali di potenza generatrice, depositi di carburante tattico, team di mantenimento specializzati.
Il prezzo della rivoluzione: dal laboratorio al campo di battaglia
Dietro ogni grande sistema d’arma c’è la straordinarietà umana. Iron Beam è la risultante di circa vent’anni di dedizione da parte di centinaia di ingegneri, scienziati e soldati israeliani.
“Non è un progetto di una sola persona,” ha sottolineato il dottor Y. in un’intervista. “Non c’è un ‘pazzo geniale’ che lo ha fatto. Sono state tante persone che credevano nel progetto.”
Il costo economico è stato egualmente sostanziale. Il Ministero della Difesa israeliano ha stanziato 2 miliardi di shekel (circa 550-600 milioni di dollari) per il completamento dello sviluppo e la produzione iniziale. Rafael ha investito ulteriormente dal suo budget di ricerca e sviluppo di 1,8 miliardi di dollari all’anno. Elbit Systems, partner nella produzione del modulo laser a fibra, ha contribuito con expertise e capacità di produzione.
“È stato un inverstimento coraggioso,” ammette il dottor Y. “Ci sono stati momenti di dubbio. Nel 2007, quando il Ministero della Difesa scelse di abbandonare i laser a favore di Iron Dome, molti pensavano che questo fosse la fine. Ma continuammo. Non come un grande programma principale, ma come un fuoco lento. E poi il contesto cambiò.”
Il contesto a cui si riferisce è l’irruzione dei droni commerciali modificati nel campo di battaglia. Negli ultimi cinque anni, droni sempre più sofisticati, dall’iraniano Shahed ai droni fatti in casa di Hamas e Hezbollah, sono diventati la “minaccia di livello base” che Iron Dome era sovradimensionato ad affrontare. Spendere 50.000 dollari per abbattere un drone da 5.000 dollari era insostenibile. Ancora una volta, il contesto operativo ha reso il laser rilevante.
Nel maggio 2024, il Ministero della Difesa firmò un contratto rinnovato con Rafael per consegnare i sistemi entro il 2025. Nel giugno 2025, dopo una serie di prove di successo nel deserto del Negev (il Shdema test range) che durarono cinque settimane, il sistema fu dichiarato pronto per la consegna operativa.
La rivoluzione globale: Israele non è sola
Mentre Israele stava sviluppando Iron Beam, il resto del mondo non era inattivo.
Gli Stati Uniti hanno sviluppato il sistema IFPC-HPM (Integrated Fires Protection Capability – High-Powered Microwave), un’arma a microonde ad alta potenza per la difesa contro sciami di droni. Ha inoltre sperimentato laser tattici da 20 kilowatt sulle sue basi, e sta sviluppando versioni da 60 kilowatt per i cacciatorpediniere della Marina Americana. Il rapporto ufficiale dell’Esercito USA nel 2025 ha confermato l’uso di un’arma laser per intercettare un UAV nemico (probabilmente Houthi) nel Medio Oriente.
La Gran Bretagna ha sviluppato il sistema DragonFire, un laser ad alta energia previsto per essere installato sui cacciatorpediniere Type 45 della Marina Reale entro il 2027.
La Germania e l’Italia stanno lavorando a sistemi laser navali.
La Russia e l’Ucraina, accelerate dalla Guerra Russo-Ucraina, stanno sviluppando entrambe prototipi laser per la difesa aerea tattica.
La Cina ha riferito di sviluppare laser e secondo i rapporti di intelligence occidentali ne avrebbe venduti versioni a Arabia Saudita e Iran.
“Conosciamo i sistemi mondiali, dove sono fabbricati, chi li produce,” dice il dottor Y. “Sappiamo che non siamo soli. Ma siamo i primi a portare operativamente un sistema di questa classe. E questo è importante strategicamente.”
Il fatto che Israele sia il primo non significa che rimarrà il solo a lungo. Ma il significato di essere primi è non sottovalutabile: vengono raccolti i dati reali di combattimento, vengono identificati i problemi pratici, vengono sviluppati i contromisure. Tutti gli altri possono imparare da questa esperienza.
La struttura di difesa multistrato: come Iron Beam si inserisce
Affrontare razzi e droni è come un’orchestrazione difensiva multistrato, e iron Beam è il primo strato.
Strato 1 – Il Laser (Iron Beam/Or Eitan): Distanza 7-10 km, costo per intercetto $5-10
Minacce: Razzi a corto raggio, colpi di mortaio, droni, missili da crociera a bassa quota
Strato 2 – Iron Dome: Distanza 10-25 km, costo per intercetto $50,000-100,000
Minacce: Razzi a corto-medio raggio in salita, mortai a traiettoria alta
Strato 3 – David’s Sling: Distanza 25-60 km, costo proporzionale
Minacce: Missili a medio raggio, bersagli più robusti e veloci
Strato 4 – Arrow 2/3/4: Distanza 100+ km, costo milioni di dollari
Minacce: Missili balistici a lungo raggio, bersagli spaziali
Il fatto che Iron Beam costi 1/10.000 di un missile Arrow 3 significa che il sistema di difesa complessivo che una volta costava 1 miliardo di dollari per proteggere una città per un anno ora potrebbe costare significativamente meno, fintanto che gli attacchi sono principalmente con droni e razzi a corto raggio.
“Cambia l’economia della difesa,” spiega il dottor D. “Per decenni, la difesa era sempre stata in svantaggio economico. Adesso, con il laser, abbiamo il vantaggio. Puoi spendere meno per difendere che il nemico spende per attaccare.”
Dove sta andando Iron Beam
Se Iron Beam 100kW rappresenta lo stato dell’arte di oggi, cosa aspettarsi domani?
Rafael ha già iniziato a esplorare:
- Sistemi ancora più potenti: Versioni da 150-200 kilowatt mediante l’aggiunta di più moduli laser a fibra
- Integrazione navale: Una variante maritime di Iron Beam per proteggere le navi della Marina Israeliana
- Sistemi aerei: Mounting di laser ad alta potenza su piattaforme aeree (aerei da trasporto, elicotteri, droni grandi)
- Integrazione satellitare: Teoricamente, laser basati nello spazio potrebbero fornire copertura globale (questo è ancora fantascienza, ma è sulla mappa dei piani futuri)
- Difesa multi-laser coordinata: Dove più batterie Iron Beam in una zona lavorano in coordinamento per creare una rete difensiva senza lacune
“In trent’anni,” profetizza il dottor Y., “potrebbero esserci sistemi laser nello spazio che intercettano missili balistici intercontinentali dal lancio. Potrà sembrare fantascienza, ma lo era anche questo dieci anni fa.”
Iron Beam / Or Eitan rappresenta il primo successo operativo della fantascienza militare. Non è un’arma futura, è qui, adesso, in servizio. Gli ingegneri che l’hanno sviluppato per vent’anni, passando attraverso fallimenti, budget cancellati, scetticismo, dubbi, hanno finalmente visto il loro sogno diventare realtà.
Questo è il futuro della difesa aerea. E non è futuro, è presente.


