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Israele, nuova ondata di proteste contro Netanyahu dopo la richiesta di grazia: piazza in rivolta tra guerra, ostaggi e crisi dello Stato di diritto
Una piazza che torna a riempirsi
Tel Aviv è tornata a essere l’epicentro del dissenso politico israeliano. Migliaia di persone sono scese in strada dopo che Benjamin Netanyahu ha formalmente chiesto al presidente della Repubblica un perdono che gli permetterebbe di evitare la conclusione dei processi per frode e abuso di fiducia.
La manifestazione, documentata da Al Jazeera e da diversi media internazionali, si è trasformata rapidamente in un atto d’accusa contro il premier. I cittadini temono che la richiesta di grazia rappresenti un precedente pericoloso per l’indipendenza della magistratura. Molti manifestanti mostrano cartelli con messaggi netti: “Nessuno è al di sopra della legge”, “No all’impunità”, “La giustizia non si cancella”.
La guerra a Gaza e il nodo irrisolto degli ostaggi
La protesta non nasce soltanto dalla richiesta di perdono di Netanyahu ma anche dalla guerra nella Striscia di Gaza e il fallimento delle trattative sul rilascio degli ostaggi continuano a pesare sul governo, alimentando un malcontento profondo. Secondo Reuters, l’assenza di un accordo credibile ha generato frustrazione nelle famiglie dei sequestrati, che da mesi chiedono un negoziato reale.

Una parte consistente dei manifestanti considera la leadership di Netanyahu responsabile della mancanza di risultati, denunciando una gestione considerata caotica e priva di una strategia politica per arrivare alla liberazione. Nelle piazze si intrecciano due richieste: una soluzione diplomatica per gli ostaggi e un cambio di leadership che fermi l’escalation e ripristini la fiducia interna.
La richiesta di grazia come detonatore politico e la reazione del governo
Il 30 novembre 2025 Netanyahu ha presentato una lettera formale al presidente israeliano per ottenere il perdono nei processi in corso. La richiesta, confermata da Al Jazeera e Politico, è stata percepita come un punto di rottura.
I leader dell’opposizione parlano apertamente di un “attacco alla giustizia”. Giuristi e movimenti civici avvertono che concedere la grazia in piena fase di conflitto, e a un primo ministro imputato, aprirebbe una crisi istituzionale gravissima. La protesta è stata immediata, migliaia di persone hanno chiesto che il presidente respinga la richiesta e garantisca che la magistratura completi il suo lavoro senza interferenze politiche.
Il premier ha accusato i manifestanti di minare la sicurezza nazionale in un momento di massima vulnerabilità. Il governo sostiene che le proteste indeboliscono Israele nelle trattative e alimentano la percezione di instabilità interna.
Secondo The Guardian, la polizia ha aumentato la presenza nelle strade e sono stati registrati episodi di tensione durante i cortei. Alcuni gruppi sono stati dispersi vicino alla residenza del premier, mentre altre manifestazioni si sono protratte fino a notte fonda. La risposta dura dell’esecutivo ha contribuito ad amplificare la percezione di una frattura interna che non riguarda più soltanto la guerra ma la stessa struttura democratica dello Stato.
Una società polarizzata come non accadeva da anni
Da un lato ci sono i sostenitori del premier, che considerano Netanyahu essenziale per la sicurezza del paese e ritengono che la guerra richieda stabilità e continuità politica. Dall’altro ci sono i movimenti civici, i giovani delle grandi città, le famiglie degli ostaggi e una parte crescente dei moderati che vedono nelle scelte del governo un rischio per le istituzioni democratiche.

La polarizzazione non è più solo ideologica. È diventata emotiva, identitaria, legata alla percezione del futuro del paese. Ogni nuovo episodio della guerra, ogni dichiarazione politica, ogni stallo nelle trattative sugli ostaggi alimenta la sensazione di trovarsi in un punto critico.
La protesta porta in superficie tre crisi intrecciate. La prima è militare: la guerra prosegue senza una strategia chiara di uscita. La seconda è umanitaria: il destino degli ostaggi resta sospeso, alimentando dolore e rabbia. La terza è istituzionale: la richiesta di grazia del premier riapre la ferita, mai rimarginata, sulla credibilità della magistratura e sulla separazione dei poteri.
Molti manifestanti parlano apertamente di una “crisi morale”: lo Stato appare incapace di offrire risposte credibili mentre chiede sacrifici enormi ai suoi cittadini.
Possibili sviluppi e scenari futuri
Gli analisti prevedono tre possibili direzioni. La prima è una fase di ulteriore irrigidimento, con più controlli e un governo ostile alle mobilitazioni. La seconda è un’apertura negoziale sul fronte degli ostaggi e un tentativo di ricucire con la società. La terza, la più temuta, è una stagnazione lunga, in cui guerra e proteste si alimentano a vicenda, erodendo progressivamente la fiducia pubblica.
La crisi mostrata dalle piazze non è superficiale. Israele si trova in un momento in cui le sfide esterne e interne si sovrappongono, e ogni scelta politica rischia di avere conseguenze sulla stabilità istituzionale del Paese.


