23 Dicembre 2025
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Netanyahu difende la commissione sul 7 Ottobre

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha pubblicamente difeso lunedì il piano del suo governo di istituire una commissione d’inchiesta politica per indagare sui fallimenti che hanno preceduto e seguito il massacro del 7 ottobre 2023, respingendo le accuse secondo cui si tratterebbe di un tentativo di insabbiare le proprie responsabilità.​

Un videomessaggio a sostegno della commissione

In un videomessaggio diffuso dopo l’approvazione della proposta da parte del comitato ministeriale, Netanyahu ha affermato che la commissione proposta sarà “indipendente” e “equilibrata”, con un numero uguale di membri scelti dalla coalizione e dall’opposizione. Il premier ha sottolineato che nessun politico in carica farà parte del panel, che includerà invece esperti in sicurezza, diritto e mondo accademico, oltre a osservatori rappresentanti delle famiglie in lutto.​

Parole dure che fanno gridare allo scandalo l’opposizione

“Questa sarà una commissione con pieni poteri, esattamente come richiede la legge”, ha dichiarato Netanyahu, citando come modello la commissione bipartisan creata negli Stati Uniti dopo gli attacchi dell’11 settembre. Il primo ministro ha ribadito che il governo avrebbe potuto nominare autonomamente una commissione d’inchiesta governativa, ma ha ritenuto che tale opzione avrebbe ottenuto solo una fiducia limitata da parte del pubblico.​

Una proposta che divide il paese

La commissione proposta dal deputato del Likud Ariel Kallner prevede un panel di sei membri nominati dalla Knesset. Il disegno di legge richiede inizialmente un voto di almeno 80 parlamentari per approvare i membri per consenso. In mancanza di accordo, coalizione e opposizione nomineranno tre membri ciascuno. Ma è proprio qui che si annida la controversia principale: se l’opposizione dovesse rifiutarsi di partecipare, come ha promesso di fare, lo speaker della Knesset Amir Ohana, un fedelissimo di Netanyahu, nominerebbe tutti e sei i membri.​

Critiche anche dalla maggioranza

Questa clausola ha suscitato forti critiche persino all’interno della maggioranza. Il ministro Ze’ev Elkin è stato l’unico membro del gabinetto a votare contro la proposta durante la riunione del comitato ministeriale, esprimendo preoccupazione per il fatto che permettere a Ohana di nominare tutti i membri trasformerebbe di fatto la commissione in un’indagine completamente controllata dalla coalizione.​

L’opposizione ha reagito con durezza all’annuncio. Il leader dei Democratici Yair Golan ha scritto su X che “l’uomo responsabile del più grande disastro della nostra storia non sta cercando risposte, sta cercando un alibi”. Yair Lapid, leader di Yesh Atid e principale figura dell’opposizione, ha definito la proposta “controllata politicamente” e ha ribadito la richiesta di una commissione statale d’inchiesta secondo la legge vigente.​

Il contesto storico e giuridico

In Israele, le commissioni statali d’inchiesta sono regolate da una legge del 1968 che prevede l’indipendenza totale dell’organo investigativo dal potere politico. Secondo questa normativa, è il presidente della Corte Suprema a nominare i membri della commissione, che deve essere presieduta da un giudice. Queste commissioni hanno poteri di citazione e sono considerate tra le istituzioni più affidabili della democrazia israeliana.​

Nel corso della storia di Israele sono state istituite più di venti commissioni statali d’inchiesta per eventi di rilevanza nazionale, tra cui quella dopo la guerra dello Yom Kippur del 1973, quella sul massacro di Sabra e Shatila nel 1982 e quella sull’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin nel 1995. Più recentemente, è stata istituita una commissione statale per indagare sulla tragica calca del Monte Meron nel 2021, che causò 45 morti.​

L’opposizione e le famiglie delle vittime chiedono proprio questo tipo di indagine indipendente per il 7 ottobre. Un sondaggio dell’Institute for National Security Studies di ottobre ha rilevato che circa il 75% degli israeliani è favorevole all’istituzione di una commissione statale d’inchiesta, con solo il 17% contrario. Il sostegno è trasversale: anche tra gli elettori della coalizione, il 52% supporta una commissione statale, percentuale che sale al 92% tra gli elettori dell’opposizione.​

Le famiglie dei caduti in rivolta

Le famiglie delle vittime del 7 ottobre hanno lanciato quella che hanno definito una “settimana di rabbia” contro il piano governativo. Il Consiglio di Ottobre, un forum che riunisce familiari dei caduti e degli ostaggi, ha promesso manifestazioni davanti alla Knesset e all’ufficio del primo ministro, oltre a una massiccia campagna sui social media e via messaggi.​

Domenica, 22 ex ostaggi e decine di familiari di 49 ostaggi hanno firmato una lettera aperta a Netanyahu chiedendo al governo di istituire una commissione statale d’inchiesta o di dimettersi. “Chiediamo allo Stato di Israele di smettere di procrastinare e istituire immediatamente una piena commissione statale d’inchiesta”, si legge nella lettera.​

Rafi Ben Shitrit, ex sindaco di Beit She’an il cui figlio sergente maggiore Alroy è stato ucciso a Nahal Oz, ha stracciato pubblicamente una copia del disegno di legge, affermando che è inteso a “silenziare le critiche, cancellare le prove, evitare la responsabilità e manipolare il pubblico”.​

Netanyahu e il controllo del mandato

Un elemento ancora più controverso è emerso la settimana scorsa: Netanyahu stesso presiederà il comitato ministeriale che determinerà l’ambito e il mandato della commissione d’inchiesta. Questo gli conferisce un’influenza determinante sulla direzione dell’indagine proposta dal suo governo, invece della commissione statale indipendente richiesta dalla maggioranza dell’opinione pubblica.​

Durante la prima riunione del comitato ministeriale lunedì, Netanyahu ha dichiarato che l’indagine sugli eventi del 7 ottobre deve risalire indietro di decenni, “da Oslo, attraverso il Disimpegno [da Gaza], fino al rifiuto [di servire nelle riserve]”. Il riferimento agli Accordi di Oslo del 1993, al ritiro da Gaza del 2005 e alle proteste contro la riforma giudiziaria del 2023 suggerisce un tentativo di allargare la responsabilità ben oltre il suo governo.​

Questa mossa ha provocato ulteriori accuse di conflitto d’interessi. Il leader dell’opposizione Lapid ha ironizzato suggerendo che Netanyahu potrebbe “scrivere il verdetto subito”. L’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e l’ex capo di stato maggiore Herzi Halevi hanno entrambi chiesto pubblicamente e ripetutamente l’istituzione di una commissione statale d’inchiesta.​

Il peso del processo per corruzione

La resistenza di Netanyahu a una commissione indipendente nominata dalla magistratura va contestualizzata nel quadro del suo difficile rapporto con il sistema giudiziario israeliano. Il primo ministro è sotto processo dal 2020 per accuse di corruzione, frode e abuso d’ufficio in tre casi separati. La sua testimonianza, iniziata nel dicembre 2024, prosegue con sessioni tre volte a settimana.​

Nel 2023, il governo Netanyahu ha tentato una controversa riforma del sistema giudiziario che ha scatenato le più grandi manifestazioni di piazza della storia israeliana, con centinaia di migliaia di persone in strada per mesi. Le proteste si sono intensificate quando migliaia di riservisti di unità d’élite hanno minacciato di sospendere il servizio se la riforma fosse passata. La Corte Suprema ha successivamente bocciato la legge che limitava il potere della magistratura di annullare decisioni governative ritenute “irragionevoli”.​

Netanyahu ha ripetutamente affermato che una commissione statale i cui membri sarebbero scelti dalla magistratura non sarebbe imparziale nei confronti del suo governo. Ha evitato di chiamare per titolo il presidente della Corte Suprema Yitzhak Amit, riferendosi a lui solo come “Giustizia Amit”. I critici sottolineano come fino al 2022 lo stesso Netanyahu sostenesse le commissioni statali d’inchiesta per indagare sulla condotta del governo precedente.​

Il paragone con l’11 settembre

Nel suo videomessaggio, Netanyahu ha tracciato un parallelo tra gli attacchi del 7 ottobre e quelli dell’11 settembre 2001, sostenendo che un evento di tale portata richiede una “commissione speciale” come quella bipartisan creata negli Stati Uniti. “Nessuno si lamentò allora di faziosità politica, e devo dire che le sue conclusioni hanno ricevuto ampia legittimazione proprio per questa ragione”, ha affermato il premier.​

Il paragone è stato ampiamente utilizzato nei circoli diplomatici israeliani fin dall’indomani dell’attacco. Molti osservatori hanno definito il 7 ottobre “l’11 settembre di Israele”, riferendosi al trauma collettivo subito dalla nazione. L’attacco di Hamas ha causato la morte di 1.219 persone, tra cui almeno 810 civili e 379 membri delle forze di sicurezza, ed è stato il giorno più letale nella storia di Israele.​

Tuttavia, alcuni esperti mettono in guardia contro un’eccessiva semplificazione del parallelo. La Commissione sull’11 settembre era composta da dieci membri nominati dal presidente e dai leader congressuali di entrambi i partiti, ma non includeva membri del governo in carica. Nel caso israeliano, invece, il mandato della commissione sarà determinato da un comitato ministeriale presieduto dallo stesso Netanyahu, sollevando questioni fondamentali sulla sua reale indipendenza.

Cosa accade ora

Il disegno di legge di Kallner dovrebbe essere sottoposto a una lettura preliminare alla Knesset mercoledì. Se approvato, la commissione avrebbe sei membri con pieni poteri investigativi, inclusa la capacità di citare testimoni e accedere a documenti riservati. Il governo sottolinea che tutte le discussioni saranno trasmesse in diretta.​

Le forze di sicurezza israeliane hanno già condotto indagini interne. A febbraio, un’inchiesta militare ha riconosciuto un “completo fallimento”, ammettendo di aver gravemente sottovalutato le capacità di Hamas. L’ex capo di stato maggiore Halevi si è dimesso prima della conclusione dell’indagine, ammettendo i “terribili” fallimenti di sicurezza e intelligence. Anche lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno, ha riconosciuto numerosi errori nella valutazione della minaccia rappresentata da Hamas.​

Ma per le famiglie delle vittime e per gran parte dell’opinione pubblica israeliana, solo una commissione statale indipendente può fornire risposte complete e garantire responsabilità politica. “Non sostengo l’istituzione di una commissione statale d’inchiesta per punire qualcuno, e non perché riporterà indietro mio figlio”, ha dichiarato Jon Polin, padre di Hersh Goldberg-Polin, rapito il 7 ottobre e ucciso in cattività. “Sostengo una commissione statale d’inchiesta affinché ciò che è accaduto a mio figlio non possa mai più accadere al figlio di qualcun altro”.​

Mentre Netanyahu insiste sul fatto che la sua proposta rappresenta “il modo giusto per accertare la verità”, l’opposizione promette battaglia. Yair Lapid ha dichiarato che “una commissione statale d’inchiesta sarà istituita, se non ora, allora nella prima settimana del nostro governo”. La procuratrice generale Gali Baharav-Miara ha criticato duramente la proposta governativa, definendola “politica” e inadeguata.​

La battaglia sulla commissione d’inchiesta del 7 ottobre riflette divisioni più profonde nella società israeliana: tra governo e magistratura, tra coalizione e opposizione, tra chi chiede responsabilità immediate e chi preferisce rimandare i conti fino alla fine della guerra. In gioco non c’è solo la verità su cosa è andato storto quel tragico giorno, ma la natura stessa della democrazia israeliana e della sua capacità di fare i conti con i propri fallimenti.


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