06 Agosto 2025
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Ponte sullo Stretto sotto assedio: la battaglia legale che può riscrivere tutto

Il ponte sullo Stretto di Messina è una delle opere più controverse mai proposte in Italia e, nell’estate del 2025, la sua realizzazione si trova al centro di una tempesta giudiziaria e politica senza precedenti. Da un lato il governo, sospinto dal desiderio di lasciare un segno tangibile della propria stagione di riforme, promette un futuro di modernità e collegamenti veloci tra Sicilia e continente. Dall’altro, un fronte compatto di associazioni ambientaliste, amministratori locali, tecnici e cittadini punta il dito contro le possibili falle legislative e giuridiche che potrebbero ingabbiare la realizzazione dell’opera o costare carissimo allo Stato e ai territori coinvolti.

I rischi legali che pesano sul ponte sono molteplici e complessi. Le associazioni ambientaliste più autorevoli come WWF, Legambiente, Greenpeace e Lipu, insieme a comitati territoriali, hanno già avviato una pioggia di ricorsi amministrativi contro il via libera ambientale rilasciato dal Ministero. Il cuore di questi ricorsi risiede nella contestazione delle 62 prescrizioni imposte dalla Commissione Via-Vas: secondo i ricorrenti, tali condizioni sarebbero insufficienti a scongiurare danni rilevanti a fauna e habitat protetti, soprattutto quelli tutelati dalle direttive europee Habitat e Uccelli. Se il TAR dovesse accogliere anche in parte queste istanze, la Valutazione di Impatto Ambientale verrebbe annullata e l’intera macchina del cantiere sarebbe costretta a fermarsi, aprendo uno scenario di stop dai contorni imprevedibili.

Ma il braccio di ferro non si gioca solo sulla giustizia amministrativa nazionale. Negli stessi giorni, a Bruxelles sono giunti reclami formali indirizzati alla Commissione Europea, in cui si chiede un intervento diretto dei vertici UE nei confronti dell’Italia. L’accusa è chiara: le deroghe legislative approvate per il ponte violano la normativa comunitaria, consentendo di aggirare i vincoli ambientali e saltare tappe indispensabili di partecipazione e approfondimento tecnico. Se l’Europa dovesse dar corso a una procedura di infrazione, il governo si troverebbe esposto a nuove sanzioni economiche e, soprattutto, a una pesante delegittimazione politica in sede internazionale. Questa minaccia assume rilievo particolare poiché le deroghe, introdotte con provvedimenti come il Decreto Legge 39/2024, permettono di accelerare l’iter progettuale e restringere il perimetro del controllo democratico e giurisdizionale, riducendo al minimo la possibilità per i cittadini di partecipare alle scelte che cambieranno il volto del loro territorio.

Il rischio è che la procedura speciale “autorizzativa” adottata per il ponte si scontri con l’obbligo di dimostrare, secondo la legislazione europea, l’assenza di alternative praticabili, l’effettività dei motivi di interesse pubblico e un piano compensativo realmente adeguato. Molte organizzazioni sostengono che nessuno di questi requisiti sia rispettato, puntando il dito sulla carenza strutturale delle valutazioni cumulative, sulla scarsa trasparenza dei documenti progettuali e sull’assenza di un serio confronto sulle alternative possibili. In questa cornice si muovono anche i dubbi sollevati dagli enti tecnici italiani, come ISPRA e il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che ricordano le incertezze sulle criticità sismiche, idrogeologiche e paesaggistiche dello Stretto.

Ad aggravare la situazione, vi sono anche questioni di natura economico-giuridica di dimensioni non trascurabili. Le convenzioni tra lo Stato e i General Contractor, nello specifico Eurolink e Parson, prevedono penali milionarie in caso di mancata realizzazione dell’opera. I legali delle imprese coinvolte hanno più volte ricordato come eventuali interruzioni unilaterali dei lavori obbligherebbero lo Stato a pagare fino a 1,5 miliardi di euro, drenando risorse dai bilanci pubblici già in difficoltà. Inoltre, sono ancora aperti alcuni contenziosi legali legati alle concessioni precedenti, provocate dagli annullamenti dei progetti degli anni passati: queste cause, se concluse in senso sfavorevole per lo Stato, potrebbero comportare nuovi esborsi e ulteriori strascichi sulla credibilità dell’Italia verso gli investitori internazionali.

Nel frattempo, sullo sfondo si muovono tentativi di class action da parte dei cittadini e dei comitati contrari al ponte, che intendono fare leva sul sistema giudiziario per far valere i propri diritti. Seppur dichiarate inammissibili al primo grado, queste azioni collettive hanno comunque avviato iter di appello e contribuito a fissare nell’immaginario l’idea di una battaglia ancora tutta aperta. Il fenomeno non va sottovalutato: una mobilitazione legale diffusa può rappresentare un “fronte caldo” di opposizione destinato ad accompagnare ciascuna tappa futura dell’opera.

Intrecciati ai rischi legali emergono quelli normativi e legislativi, forse ancora più delicati e insidiosi. Le deroghe e le semplificazioni legislative introdotte dai recenti provvedimenti del governo sono state duramente criticate da giuristi e costituzionalisti. Questi ultimi vedono nell’uso disinvolto di procedure accelerate e ordinanze speciali la minaccia di una riduzione degli spazi democratici, la compressione dei diritti delle assemblee elettive locali e la deregolamentazione di settori cruciali quali l’ambiente, la sicurezza dei lavoratori e l’accesso alle informazioni. Il problema è aggravato dal fatto che tali deroghe hanno reso più tenue la rete di controlli antimafia sugli appalti, spalancando potenzialmente le porte a infiltrazioni criminali in un contesto storico noto per la presenza strutturata della criminalità organizzata.

L’Autorità Nazionale Anticorruzione e associazioni come Libera hanno lanciato ripetuti allarmi: allentare maglie su verifica degli assetti proprietari, subappalti e tracciabilità dei finanziamenti significa, di fatto, abbassare le difese contro il rischio di corruzione e illegalità. In una regione dove il rischio di “colonizzazione” dei grandi cantieri da parte della mafia è tutt’altro che teorico, questi segnali non possono essere ignorati. Si rischia di vanificare l’obiettivo stesso di trasparenza e legalità che dovrebbe accompagnare un investimento così significativo.

Sul piano strettamente amministrativo, la rapidità nell’adozione dei decreti e il ricorso a iter straordinari hanno generato un senso diffuso di esclusione tra cittadini, sindaci e consigli comunali. Questa dinamica ha reso più difficile il dialogo tra istituzioni e territorio, incrementando il tasso di conflittualità sociale e facendo apparire le istituzioni centrali come distanti e impermeabili alle esigenze locali. Non a caso molte delle contestazioni giuridiche fanno leva proprio sull’insufficienza dei momenti di consultazione e sulla ridotta possibilità di accesso agli atti.

Sul progetto pende anche una sorta di “spada di Damocle” fatta di tempistiche instabili e incertezza permanente. Ogni passaggio giudiziario, ogni richiesta di sospensiva, ogni nuovo ricorso può tradursi in mesi (se non anni) di ritardi sull’apertura dei cantieri, mentre si accumulano tensioni tra i promotori dell’opera e la società civile. Il vero rischio, quindi, è che la complessità dei nodi legali e normativi finisca per impantanare l’opera, impedendo che si realizzi con i tempi, la sicurezza e la trasparenza necessari. Allo stesso tempo, un’accelerazione forzata per esigenze di calendario politico potrebbe minare i principi del diritto e i valori della partecipazione, compromettendo la legittimità e la sostenibilità sociale dell’intervento.

Questo scenario rende evidente come il ponte sullo Stretto non sia solo una questione di ingegneria o di grandi numeri economici, ma soprattutto una cartina di tornasole della tenuta del sistema istituzionale italiano di fronte alle sfide delle grandi opere. Ogni snodo giuridico, ogni scelta legislativa, ogni sentenza pronunciata nei tribunali amministrativi o nelle aule europee avrà ricadute non solo sull’opera in sé, ma più in generale sulla capacità dell’Italia di coniugare sviluppo, legalità e coesione sociale in uno dei suoi territori più emblematici. Mentre avvocati e magistrati scrutano documenti e leggi alla ricerca di falle o irregolarità, il Paese assiste a quello che, ora più che mai, appare un autentico banco di prova per il rapporto tra Stato, territorio e cittadini.


Carlo Feder
Carlo Federhttps://www.alground.com
Consulente per la sicurezza dei sistemi per aziende ed istituti pubblici, Carlo è specializzato in gestione dati, crittografia e piattaforme web-based. E' in Alground dal 2011.
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