Nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2025, l’Ucraina ha vissuto uno dei momenti più cupi dall’inizio dell’invasione russa. In sole nove ore, il Paese è stato bersagliato da 273 droni, un numero che segna un nuovo record dall’inizio della guerra. L’attacco, diretto principalmente contro le regioni di Kyiv, Dnipropetrovsk e Donetsk, ha causato la morte di una giovane donna nel distretto di Obukhiv, il ferimento di almeno tre civili – tra cui un bambino di quattro anni – e la distruzione di infrastrutture civili. Non è solo il bilancio umano a far riflettere, ma il significato politico e militare di quest’azione, arrivata a meno di 48 ore dal fallimento dei primi colloqui di pace diretti tra Russia e Ucraina dopo tre anni di guerra.
I negoziati, tenutisi a Istanbul il 16 maggio, si sono rivelati un tentativo fragile e probabilmente prematuro di avvicinare due posizioni ancora inconciliabili. Durati appena 100 minuti, gli incontri si sono conclusi con un accordo sullo scambio di prigionieri – 1.000 per parte – ma nessun passo avanti su un cessate il fuoco. Le richieste russe, tra cui l’abbandono da parte di Kyiv delle ambizioni NATO e la cessione dei territori occupati, sono state bollate come «inaccettabili» dal governo ucraino. Una risposta netta, che ha chiarito quanto la distanza tra le due parti resti siderale.
Il giorno successivo ai colloqui, un drone russo ha colpito un minibus nella regione di Sumy, uccidendo nove civili. L’attacco, che il presidente Zelensky ha definito «deliberato», è stato il preludio a un’escalation ancora più brutale. Poche ore dopo, centinaia di droni si sono alzati in volo contro l’Ucraina, in quella che molti osservatori internazionali interpretano come una mossa ritorsiva da parte del Cremlino, decisa a rafforzare la propria posizione negoziale sul campo prima del previsto scambio di prigionieri.
L’offensiva ha impegnato i sistemi di difesa aerea ucraini per tutta la notte. Gli allarmi antiaerei hanno suonato ininterrottamente fino alle 9 del mattino del 18 maggio, testimoniando l’intensità e la durata dell’attacco. Dei 273 droni, 88 sono stati abbattuti e altri 128 sono andati fuori rotta. Ma quelli che hanno raggiunto l’obiettivo hanno lasciato un segno profondo. A Obukhiv, a sud della capitale, esplosioni e frammenti hanno raso al suolo edifici residenziali e colpito anche strutture civili nel centro di Kyiv.
Il governatore della regione, Mykola Kalashnik, ha confermato il decesso di una donna colpita dai detriti. Il Centro ucraino per la lotta alla disinformazione, per bocca di Andriy Kovalenko, ha denunciato l’utilizzo sistematico della guerra da parte russa come strumento di pressione durante i negoziati, sottolineando come l’attacco sia parte di una strategia ben precisa: intimidire, fiaccare, forzare concessioni con la violenza.
L’uso massiccio di droni, molti dei quali kamikaze e a basso costo, riflette una tattica russa studiata per logorare lentamente ma inesorabilmente la capacità difensiva ucraina. I sistemi di difesa forniti dall’Occidente sono efficaci ma costosi, e non possono essere ovunque. Saturare i cieli con ondate di droni significa mettere sotto stress le batterie anti-aeree e aprire varchi nelle difese. È una guerra d’attrito tecnologica e psicologica che sta cambiando il volto del conflitto.
Zelensky ha reagito chiedendo un inasprimento delle sanzioni internazionali contro la Russia. Ha ribadito che la pressione economica è uno degli ultimi strumenti rimasti alla comunità internazionale per fermare le uccisioni. Mentre le immagini delle macerie a Kyiv e delle vittime a Sumy fanno il giro del mondo, la Casa Bianca ha annunciato un’iniziativa diplomatica: l’ex presidente Donald Trump parlerà separatamente con Zelensky e Putin lunedì 19 maggio, nel tentativo di riattivare un dialogo tra le parti.
Il tempismo dell’attacco non è casuale. I droni sono stati lanciati subito dopo i colloqui falliti, in una sorta di messaggio armato che cancella ogni spazio per illusioni. La Russia non sembra interessata a negoziare da una posizione di parità. Vuole trattare solo quando l’Ucraina sarà stremata, militarmente o economicamente. Kyiv, al contrario, continua a insistere sulla necessità di un dialogo fondato sul diritto internazionale e sul rispetto dell’integrità territoriale. Nessuna concessione sui territori occupati, nessun passo indietro sulle alleanze occidentali. È una linea dura, ma coerente con l’idea di sovranità che il popolo ucraino sta difendendo con le armi.
Il quadro che si delinea è quello di una guerra entrata in una fase di pericoloso stallo, in cui ogni azione militare rischia di far deragliare definitivamente i pochi margini di trattativa rimasti. Con oltre il 20% del territorio ucraino ancora sotto occupazione russa e milioni di cittadini sfollati, le prospettive di pace sembrano ancora lontane. Gli esperti militari vedono due scenari possibili all’orizzonte: un’escalation ulteriore, con attacchi su larga scala per influenzare lo scambio di prigionieri e guadagnare vantaggi strategici, oppure un consolidamento difensivo da parte ucraina, in attesa di nuovi rifornimenti militari da parte della NATO.
In entrambi i casi, la richiesta di Kyiv rimane la stessa: garanzie di sicurezza vincolanti da parte della comunità internazionale. Senza questo elemento, ogni trattativa rischia di trasformarsi in una tregua apparente, preludio a nuove ostilità. La sfida non è solo militare, ma politica. È la definizione stessa dell’ordine europeo e del concetto di sovranità a essere in gioco.
L’attacco del 18 maggio non è solo un episodio bellico. È il simbolo di un conflitto che ha ormai assunto una dimensione totale, in cui le battaglie si combattono sul campo, nei cieli, nei palazzi del potere e nei media internazionali. Una guerra che non può essere congelata con un compromesso qualsiasi, ma solo risolta attraverso un equilibrio che riconosca i diritti di chi è stato aggredito e punisca chi ha violato le regole fondamentali della convivenza tra Stati.
Finché questo equilibrio non verrà raggiunto, gli attacchi continueranno. I droni voleranno ancora sopra le città ucraine. E il mondo resterà con il fiato sospeso, in attesa di capire quale sarà la prossima mossa.