Punti chiave
- Gli Stati Uniti hanno avviato colloqui di pace segreti con la Russia ad Abu Dhabi nel tentativo di porre fine alla guerra in Ucraina, mentre sul terreno infuriano ancora i bombardamenti. Il segretario dell’Esercito USA Dan Driscoll, divenuto l’uomo di punta della nuova offensiva diplomatica di Washington, è arrivato di nascosto nella capitale degli Emirati Arabi per incontrare rappresentanti del Cremlino.
Un funzionario americano ha confermato a Reuters lo svolgimento di questi colloqui non annunciati, sebbene i dettagli siano coperti dalla massima discrezione. Non è noto chi sieda nella delegazione russa né se ai negoziati partecipi direttamente anche Kiev; fonti Financial Times indicano però che Driscoll dovrebbe vedere anche l’alto responsabile dell’intelligence militare ucraina Kirilo Budanov durante la permanenza ad Abu Dhabi.
Il formato esatto resta incerto – non è chiaro se le tre parti si riuniranno insieme o separatamente, ma l’obiettivo dichiarato da Washington è esplicito: discutere il processo di pace e “far avanzare rapidamente” i negoziati. Questi incontri segreti arrivano in un momento cruciale, a quasi quattro anni dall’invasione russa dell’Ucraina. Sul campo la guerra continua a mietere vittime ogni giorno e mentre i diplomatici confabulavano negli Emirati, un pesante bombardamento missilistico russo si abbatteva su Kiev, uccidendo almeno sei persone nella notte.
Le sirene antiaeree hanno risuonato nella capitale e migliaia di civili si sono rifugiati sottoterra, avvolti in cappotti pesanti per ripararsi dal gelo degli improvvisati bunker nei tunnel della metropolitana. Scene simili si ripetono ormai regolarmente, sottolineando la posta in gioco di queste trattative: ogni giorno in più senza un accordo di pace significa nuove devastazioni e perdite di vite umane in Ucraina.
E le ripercussioni sconfinano oltre i confini: proprio stamattina la Romania, paese Nato, ha dovuto far decollare caccia militari dopo che alcuni droni sospetti, presumibilmente russi, hanno violato il suo spazio aereo vicino al confine ucraino. L’escalation tecnologica della guerra, tra sciami di droni e piogge di missili, mantiene alta la tensione anche sull’Europa orientale, alimentando l’urgenza di trovare una via d’uscita diplomatica al conflitto.
Il controverso piano di pace americano da 28 punti
Alla base dei colloqui di Abu Dhabi c’è un nuovo piano di pace elaborato dall’amministrazione Trump, una proposta in 28 punti emersa la scorsa settimana che ha colto di sorpresa Kiev, l’Europa e anche parte dello stesso governo statunitense. Washington ha infatti improvvisamente accelerato gli sforzi negoziali, dopo mesi di politiche oscillanti: ad agosto un vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin, organizzato in gran fretta in Alaska, aveva allarmato gli alleati per il timore che gli Stati Uniti accettassero le richieste di Mosca, quell’incontro si concluse invece con una rinnovata pressione americana su Putin e nessun compromesso definitivo. Poche settimane più tardi, però, la Casa Bianca ha presentato un progetto di accordo che sembra recepire molti punti chiave delle domande russe.
Secondo varie fonti, il piano, inizialmente delineato in 28 punti, richiederebbe all’Ucraina di cedere ulteriori porzioni di territorio, accettare limiti alla propria capacità militare e impegnarsi a non entrare mai nella NATO. Condizioni di questo tenore, che Kiev ha sempre respinto in quanto equivalenti a una resa, hanno immediatamente sollevato allarme tra i sostenitori occidentali dell’Ucraina.
Di fatto, la bozza originaria del piano Trump rifletteva ampiamente le posizioni di Mosca: rinuncia all’adesione ucraina all’Alleanza Atlantica, ritiro delle truppe di Kiev dai territori del Donbass ancora sotto il loro controllo e riconoscimento dell’annessione russa de facto di Crimea e altre zone occupate nell’est. Non stupisce che il Cremlino abbia accolto positivamente l’iniziativa: lo stesso presidente Vladimir Putin ha dichiarato che questo schema americano potrebbe rappresentare “la base” per risolvere il conflitto.
Per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, invece, la situazione è delicatissima. Da un lato, l’offensiva diplomatica di Washington rischia di metterlo con le spalle al muro, in un momento in cui la sua posizione interna si è indebolita – di recente uno scandalo di corruzione ha travolto il suo governo portando alle dimissioni di due ministri chiave – e in cui sul fronte militare l’iniziativa è passata in parte alla Russia.
Dall’altro lato, Zelensky non può permettersi di apparire come un ostacolo alla pace: il logoramento della guerra erode il sostegno internazionale e la stessa popolazione ucraina, provata dai sacrifici, vuole intravedere una luce in fondo al tunnel. Il leader di Kiev teme tuttavia di essere forzato ad accettare un accordo scritto in larga misura a misura del Cremlino “calato dall’alto” da Washington, e ha più volte ribadito che non cederà mai alla Russia il futuro democratico e sovrano dell’Ucraina, nemmeno sotto pressione dagli alleati. In questa cornice, Zelensky si trova a dover bilanciare gratitudine e dipendenza verso il supporto occidentale con la necessità di non tradire gli obiettivi per cui il suo popolo sta combattendo.
Driscoll, l’emissario segreto di Trump: diplomazia d’assalto
Al centro di questo intricato sforzo di pace c’è Driscoll ha assunto un ruolo inedito per un alto dirigente del Pentagono, ovvero l’idea di impiegare un esponente militare di primo piano per condurre la missione diplomatica nasce, secondo il Wall Street Journal, dalla convinzione della Casa Bianca che Mosca possa essere più incline a fidarsi di un negoziatore in uniforme rispetto ai soliti canali politici. Trump avrebbe deciso di puntare proprio su Driscoll durante un colloquio privato con il suo vice presidente J.D. Vance, vecchio compagno di università di Driscoll, identificando in lui l’uomo giusto per un compito così delicato.
Prima di giungere ad Abu Dhabi per i colloqui segreti con i russi, Driscoll ha già visitato nelle scorse settimane le capitali direttamente coinvolte per preparare il terreno. La settimana scorsa era a Kiev alla testa di una delegazione del Pentagono, dove ha presentato al governo ucraino la prima bozza del piano di pace USA articolato in 28 punti. In quell’occasione il funzionario statunitense ha incontrato anche ambasciatori europei e funzionari occidentali, cercando di ottenere il loro appoggio a quella che ha definito “l’ora di finirla con questa m…”, parole crude, riferite alla guerra, che il Financial Times descrive come indicative di un atteggiamento impaziente e dal tono “nauseante” tenuto dal rappresentante americano.
Secondo fonti citate dal quotidiano britannico, Driscoll avrebbe insomma messo in chiaro con toni bruschi che Washington non intende mostrarsi troppo flessibile nei negoziati. Questo approccio deciso ha sollevato qualche perplessità tra gli alleati, ma riflette la volontà di Trump di accelerare i tempi: lo stesso Driscoll, durante gli incontri a Kiev, avrebbe annunciato che “è ora di farla finita con questa storia”, lasciando intendere che gli Stati Uniti considerano non più rinviabile una soluzione negoziata al conflitto.
Dopo la tappa in Ucraina, Driscoll ha partecipato lo scorso weekend a una serie di riunioni a Ginevra con rappresentanti di Kiev e dell’Unione Europea, nel tentativo di affinare e rendere più accettabile il piano di pace originario. Sia Washington che il governo ucraino hanno parlato di “progressi” al termine di questi colloqui.
In effetti, il documento iniziale in 28 punti è stato ridotto e parzialmente rimaneggiato: fonti informate riferiscono che, dopo le discussioni di Ginevra, la bozza è passata da 28 a 19 punti totali. Secondo il sito di informazione Politico, sono stati eliminati dal piano i capitoli più esplosivi sulle questioni territoriali, ad esempio la cessione del Donbass alla Russia, che verranno invece affrontati separatamente a livello politico tra i presidenti Trump e Zelensky. In altre parole, le concessioni sul territorio non saranno decise dai negoziatori tecnici, ma rimandate a un eventuale faccia a faccia finale tra i due leader.
La logica è evitare di imporre subito a Kiev rinunce che Zelensky non ha delegato a nessuno il potere di negoziare, specialmente per quanto riguarda sovranità e integrità territoriale. Il presidente ucraino, in un videomessaggio serale alla nazione, ha confermato che nella nuova bozza discussa a Ginevra “molti elementi corretti sono stati incorporati” rispetto alla versione iniziale.
Allo stesso tempo, ha ammesso che “le questioni più delicate” restano sul tavolo e intende affrontarle di persona con Donald Trump. Zelensky prevede un percorso ancora difficile verso un documento finale e ha sottolineato che nulla verrà firmato senza un ampio consenso interno e internazionale. Per ora, però, il processo negoziale USA-Ucraina sembra essere entrato in una fase di dialogo più costruttivo, pur mantenendo aperti i nodi fondamentali.
Le reazioni: cautela europea, attesa russa
Questa frenetica attività diplomatica parallela ha inevitabilmente innescato reazioni in tutte le capitali coinvolte. Il Cremlino, ufficialmente, mantiene il riserbo sui colloqui di Abu Dhabi: “Non abbiamo nulla da dire al momento, seguiamo e analizziamo le notizie dei media”, ha dichiarato il portavoce Dmitry Peskov, rifiutando di commentare le indiscrezioni sulla missione di Driscoll. Allo stesso tempo, Mosca lascia trapelare un cauto ottimismo verso la piega che sta prendendo l’iniziativa statunitense.
“Al momento l’unica cosa sostanziale è il progetto americano, il progetto di Trump” ha affermato Peskov, aggiungendo che potrebbe diventare “una base molto buona per i negoziati”. In altre parole, la leadership russa considera il piano di pace USA un punto di partenza valido – a patto, si intende, che risponda alle sue condizioni di sicurezza. Proprio su questo punto è intervenuto il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, segnalando che Mosca attende ora dagli americani una proposta “intermedia” aggiornata, dopo le modifiche apportate su pressione europea e ucraina. Lavrov ha avvertito che sarà “una situazione completamente diversa” se le revisioni al piano non rispetteranno lo “spirito e la lettera” di quanto Putin e Trump avevano discusso durante il loro incontro in Alaska.
In sostanza, il messaggio russo è chiaro: il Cremlino era favorevole alla versione originaria in 28 punti, mentre eventuali concessioni fatte per compiacere Kiev o l’Europa potrebbero rimettere tutto in discussione.
Sul fronte opposto, gli alleati occidentali dell’Ucraina accolgono con favore ogni spiraglio di pace ma mettono in guardia da accordi al ribasso. Il presidente francese Emmanuel Macron, parlando in un’intervista radiofonica, ha definito l’iniziativa statunitense “un passo nella direzione giusta: la pace. Tuttavia, alcuni aspetti di quel piano meritano di essere discussi, negoziati, migliorati”. “Vogliamo la pace, ma non vogliamo una pace che sia una capitolazione” ha scandito Macron, sottolineando che spetta solo agli ucraini decidere quali concessioni territoriali sono pronti a fare.
Ciò che può sembrare accettabile per la Russia, ha aggiunto, non significa affatto che debba esserlo per l’Ucraina o per l’Europa. Da Parigi e dalle altre capitali UE emerge la linea di una pace giusta, non imposta unilateralmente dalle condizioni dell’aggressore. Anche Londra e Berlino condividono la posizione: l’integrità territoriale ucraina e la libertà di Kiev di determinare il proprio futuro non possono diventare merce di scambio. Su iniziativa di Francia e Regno Unito, è stato convocato un incontro virtuale della cosiddetta “coalizione dei volenterosi” – il gruppo di Paesi che sostiene l’Ucraina, comprendente le principali nazioni europee, proprio per discutere la proposta americana e concordare un approccio comune.
L’Europa insomma vuole essere parte attiva del processo di pace, ma vigila affinché la ricerca di una tregua non si traduca in un sacrificio inaccettabile per la sovranità ucraina. Parallelamente, gli alleati continuano a fornire aiuti militari e finanziari a Kiev per metterla nella posizione negoziale più forte possibile.Intanto, a Kiev, Zelensky cerca di compattare il fronte interno e mantenere la fiducia della popolazione.
Il presidente ucraino ha fatto sapere di aver avuto una conversazione “molto produttiva” con il premier britannico in pectore Sir Keir Starmer, riferendo che “vediamo molte prospettive che possono rendere reale il cammino verso la pace” e riconoscendo “solidi risultati dai colloqui di Ginevra, anche se molto lavoro resta ancora da fare”.

Dichiarazioni che lasciano intendere come Zelensky stia ottenendo sponde importanti in Occidente per migliorare il piano Trump senza farlo naufragare. La prospettiva che si delinea è quella di ulteriori intense consultazioni nei prossimi giorni: non si esclude che lo stesso Zelensky possa presto volare negli Stati Uniti per discutere faccia a faccia con Trump i termini finali dell’accordo, eventualità suggerita da alcune indiscrezioni secondo cui il leader ucraino potrebbe visitare Washington già entro la settimana per “siglare un patto di pace”. Mentre sul terreno si continua a combattere e morire, e missili e droni seminano distruzione da Kiev al Mar Nero, questi febbrili negoziati segreti rappresentano il tentativo più concreto finora di avvicinarsi alla fine della guerra.
Restano da colmare distanze significative: Kiev non intende sacrificare la propria indipendenza, Mosca vuole capitalizzare le conquiste territoriali ottenute, e gli Stati Uniti – dopo aver sostenuto l’Ucraina con massicci aiuti – ora premono per un risultato diplomatico che metta fine a un conflitto sempre più difficile da sostenere sul lungo periodo. La strada verso la pace è irta di ostacoli e compromessi dolorosi, ma la scelta di aprire un canale riservato ad Abu Dhabi indica che nessuna via viene trascurata.
Nelle stanze ovattate di un palazzo sul Golfo Persico, lontano dal fragore delle bombe, si sta decidendo se e come scrivere il capitolo conclusivo di una guerra che ha sconvolto l’Europa. Il mondo osserva con il fiato sospeso, diviso tra speranza e timore: una speranza che da questi colloqui possa scaturire finalmente il silenzio delle armi, e il timore che la pace ottenuta possa chiedere all’Ucraina un prezzo troppo alto.
I prossimi giorni saranno decisivi per capire se dalle parole si potrà davvero passare ai fatti, trasformando un fragile spiraglio in un percorso concreto verso la fine di uno dei conflitti più sanguinosi degli ultimi decenni.


