30 Giugno 2025
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Gaza: il terzo hub non regge l’assalto della popolazione

Il gruppo privato Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuto dagli Stati Uniti e con il benestare di Israele, ha inaugurato giovedì un terzo centro di distribuzione nella Striscia e promette di aprirne altri nelle prossime settimane. L’afflusso di migliaia di palestinesi in cerca di viveri ha però messo subito a dura prova il nuovo sistema, il cui debutto, martedì, era precipitato in scene di panico: le recinzioni sono state abbattute, le guardie private costrette alla fuga e tutto ciò che poteva essere portato via – tubi, lamiere, persino il filo spinato – è sparito fra la folla.

Da allora la fondazione dichiara di aver servito poco più di 1,8 milioni di pasti, ma le critiche non si placano. Le Nazioni Unite e diverse ONG bollano l’iniziativa come insufficiente e mal concepita, incapace di colmare il vuoto lasciato dalle undici settimane di blocco imposto da Israele sugli aiuti diretti a Gaza.

Tra chi si è fatto largo fino agli hub c’è Wessam Khader, 25 anni, padre di un bimbo di tre: «La fame mi ha costretto ad andarci; da settimane non avevamo farina né altro», racconta da Rafah. Da martedì è in fila ogni giorno, ma solo il primo è riuscito a ottenere un pacchetto da 3 kg con farina, sardine in scatola, sale, noodles, biscotti e marmellata.

Al suo arrivo, le promesse israeliane di identificare e tenere lontani i sospetti affiliati a Hamas sembravano già crollate sotto la pressione della massa. «Nessuno mi ha chiesto documenti, non c’erano varchi elettronici: tutto era finito schiacciato», dice.

GHF sostiene di aspettarsi reazioni simili da una «popolazione in stato di angoscia». L’ONU replica che il volume di aiuti resta distante anni luce dai fabbisogni: prima della guerra servivano 500-600 camion al giorno, mentre ora l’afflusso è «equivalente a una scialuppa dopo il naufragio», usando le parole dell’inviata Onu per il Medio Oriente Sigrid Kaag.

Per i residenti del Nord di Gaza, isolati dai punti di distribuzione del sud, anche queste briciole restano un miraggio. «Vediamo i video della gente che riceve qualcosa, ma a noi dicono che nessun camion può passare», spiega Ghada Zaki, 52 anni, madre di sette figli a Gaza City.

Mentre migliaia di persone cercano cibo, i raid aerei israeliani proseguono. Giovedì, secondo i medici locali, almeno 45 palestinesi sono morti, 23 dei quali colpiti nel campo di Bureij, nel centro della Striscia. L’esercito israeliano rivendica «decine di obiettivi» neutralizzati – depositi d’armi, postazioni di cecchini, tunnel. Il ministero dell’Interno guidato da Hamas riferisce che diversi agenti di polizia sono rimasti uccisi durante un’operazione contro saccheggiatori a Gaza City.

Diplomazia in stallo

Nel frattempo crescono le speculazioni su un possibile cessate il fuoco: l’inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff, ha rivelato che la Casa Bianca sta lavorando a una bozza di accordo che Hamas afferma di “esaminare”. Restano però gli stessi scogli che hanno fatto naufragare i negoziati di marzo: Israele pretende il disarmo e lo smantellamento totale di Hamas, oltre alla liberazione dei 58 ostaggi tuttora prigionieri; Hamas rifiuta di consegnare le armi e chiede il ritiro delle truppe israeliane.

La pressione internazionale su Tel Aviv aumenta: persino Paesi europei finora prudenti chiedono la fine del conflitto e un massiccio piano di soccorso.

Una guerra che devasta

Israele ha lanciato l’offensiva dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, costato la vita a circa 1.200 israeliani e culminato nel rapimento di 251 persone portate a Gaza. Da allora, secondo il ministero della Sanità locale, l’operazione militare ha ucciso oltre 54.000 palestinesi e ridotto la Striscia in macerie.

Mentre il terzo hub di GHF si apre fra le macerie e il frastuono delle bombe, resta intatta la domanda centrale: basteranno nuovi punti di distribuzione a placare la fame di oltre due milioni di persone o servirà, prima di tutto, far tacere le armi?

Poltrone ballerine in Regione: Bucci agita il centrodestra

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L’idea, per ora, è poco più di un sussurro nato nelle ore della sconfitta a Palazzo Tursi, ma basta a far tremare gli equilibri della coalizione che governa la Liguria. Nei corridoi del centrodestra circola la tentazione di rimettere mano all’accordo siglato dopo le regionali: quando la giunta passerà da sette a nove componenti — ipotesi al momento appesa a un provvedimento del governo — i due nuovi assessorati non finirebbero più uno alla Lega e uno a Forza Italia. Il governatore Marco Bucci starebbe infatti valutando di dirottare la casella “azzurra” su un nome che azzurro non è: Pietro Piciocchi, ex sindaco reggente e candidato sconfitto da Silvia Salis.

Stoccate e veleni

Bucci, raccontano fonti interne, non avrebbe risparmiato frecciate a Fratelli d’Italia e a Forza Italia per il tiepido sostegno offerto a Piciocchi in campagna elettorale. La replica dei meloniani è arrivata per bocca del coordinatore regionale Matteo Rosso: «Meglio evitare lo scaricabarile, altrimenti rischiamo ripercussioni in Regione». Lega e Fratelli d’Italia, insomma, alzano le barricate.

Il Carroccio, forte di 1.443 voti in più rispetto alle regionali 2024, rivendica di aver «fatto il proprio dovere», come ha sottolineato il viceministro Edoardo Rixi: ringraziamenti a Piciocchi, auguri a Salis e un avvertimento implicito al resto della coalizione. Non a caso la casella leghista (destinata ad Alessio Piana) resta al sicuro.

Forza Italia sotto accusa

Diversa la situazione per Forza Italia, ferma al 3,78 % alle comunali: troppo poco per convincere Bucci a mantenere la promessa fatta ad Angelo Vaccarezza, designato a entrare in giunta regionale. Il rischio, ora, è di vedere il posto consegnato proprio a Piciocchi, da otto anni braccio destro del governatore a Palazzo Tursi.

Resta l’incognita: il diretto interessato, reduce da anni di lavoro senza tregua e da una campagna elettorale logorante, non ha ancora deciso se restare in consiglio comunale, tornare alla professione o accettare l’eventuale offerta di Bucci.

Intanto, nei gruppi WhatsApp di partito gira un foglio excel che scarica la colpa del tracollo sul “civismo” targato Bucci-Piciocchi: i partiti tradizionali sono saliti dal 22,26 % del 2022 al 25,32 % di oggi (+3,06 %), mentre le due civiche e l’ex Lista Toti sono crollate dal 32,93 % al 18,51 % (-14,42 %). Dati che Bucci contesta, rivendicando su Facebook la solidità di Orgoglio Genova e celebrando i tre eletti Ilaria Cavo, Vincenzo Falcone e Lorenzo Pellerano.

Una cosa è certa: nel centrodestra ligure il dopo-Tursi è solo all’inizio, e il vero duello — più che con l’opposizione — si gioca dentro la stessa maggioranza.

Salis. Quote rosa a Genova stavolta servono a salvare gli uomini

Secondo la legge Delrio (art. 1, l. 56/2014) — che fissa al 40 % la soglia minima per ciascun sesso nelle giunte dei Comuni sopra i 3.000 abitanti — la neo-sindaca dovrà nominare almeno cinque uomini. Il paradosso, a Genova, è che la norma nata per favorire la presenza femminile finirebbe per “salvare” quella maschile.

Il rebus AVS

L’altro nodo riguarda Alleanza Verdi Sinistra, forte del 7% dei voti: avrebbe puntato a tre assessorati ma ne otterrà due. In lizza l’architetta del paesaggio Francesca Coppola (terza con 700 preferenze, ideale per l’Urbanistica) e Francesca Ghio, la più votata di lista (oltre 1.500) ma senza delega definita. Portarle entrambe è complicato: entrano in competizione con Emilio Robotti, avvocato vicino a Sinistra Italiana e in pole per la Sicurezza, utile anche a bilanciare le quote di genere. Sullo sfondo Lorenzo Garzarelli, secondo per preferenze, reclama spazio.

Le caselle quasi certe

Fra i nomi dati per sicuri compaiono:

  1. Tiziana Beghin (M5S)
  2. Cristina Lodi (Italia Viva)
  3. la segretaria regionale di Azione
  4. Arianna Viscogliosi e Filippo Bruzzone (Linea Condivisa)

In bilico la regista Laura Sicignano, candidata non eletta ma sponsorizzata per la Cultura.

Il capitolo Pd

Con il 30 % dei consensi e 14 seggi, il Partito Democratico rivendica almeno sei incarichi.

  • Claudio Villa destinato alla presidenza del Consiglio comunale
  • Alessandro Terrile vicesindaco in pectore
  • assessorati probabili per Rita Bruzzone e Massimo Ferrante

Restano due poltrone, almeno una femminile. In ballo Vittoria Canessa e Monica Russo; ma per salvare l’equilibrio di genere il Pd potrebbe virare su un altro profilo maschile. Tra le opzioni:

  • un ripensamento di Davide Patrone, primatista di preferenze
  • un tecnico esterno, il docente Maurizio Conti
  • la suggestione Federico Romeo, ex presidente di municipio e consigliere regionale

Un Pd quasi tutto al maschile riaprirebbe lo spiraglio per includere sia Coppola sia Ghio (e sacrificare Robotti). Più remota l’ipotesi di escludere Filippo Bruzzone a favore di Sicignano.

Autonomia energetica Ue a portata di mano, così rafforziamo il mercato unico

L’Unione Europea può affrancarsi del tutto dalle forniture energetiche russe e consolidare il proprio mercato interno. Ne è convinto il vicepresidente esecutivo della Commissione, Raffaele Fitto, intervenuto ieri a un incontro all’Università Cattolica.

«Prima della guerra importavamo dalla Russia circa la metà del carbone e una quota rilevante di petrolio e gas; oggi quelle percentuali si sono drasticamente ridotte e dobbiamo spingerci oltre», ha dichiarato il commissario, indicando nell’“autonomia strategica energetica” la condizione essenziale per «rafforzare il mercato unico e dargli una prospettiva di lungo periodo».

Fitto ha poi toccato il tema dei dazi, definendo «vicino» un accordo politico sull’azzeramento progressivo delle tariffe: «Siamo partiti dal 100 per cento, poi è arrivata una proroga, quindi il taglio al 50 per cento e un’ulteriore proroga. Ora ci sono tutte le condizioni per chiudere».

Il vicepresidente ha rivendicato l’«attivismo europeo» sul fronte commerciale, citando il recente via libera all’intesa con il Mercosur e i negoziati avviati in Asia centrale e Sudafrica. «La Commissione sta lavorando per dare maggiore forza al mercato unico e, per la prima volta, dispone di un commissario alla semplificazione: un segnale forte alle imprese», ha concluso.

Violazione di TeleMessage. Rubati dati sensibili del governo Usa

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Un grave episodio di cybersecurity ha scosso gli Stati Uniti, rivelando come un hacker sia riuscito a violare i sistemi di TeleMessage, un’applicazione di messaggistica utilizzata da funzionari governativi, tra cui l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, Mike Waltz. Secondo un’indagine esclusiva di Reuters, l’intrusione ha compromesso le comunicazioni di decine di rappresentanti delle istituzioni, sollevando interrogativi sulla protezione dei dati sensibili all’interno dell’amministrazione Trump. L’attacco, avvenuto tra marzo e aprile 2025, ha permesso al criminale informatico di accedere a messaggi, documenti riservati e persino coordinate operative di agenzie federali, esponendo potenziali vulnerabilità nei protocolli di sicurezza adottati da enti pubblici.

La raccolta di dati trapelati, analizzata da Reuters in collaborazione con Distributed Dial (un’organizzazione senza scopo di lucro che archivia documenti hackerati), ha identificato oltre 60 account governativi collegati a TeleMessage. Tra le vittime figurano team di soccorso della FEMA (Federal Emergency Management Agency), agenti della dogana, diplomatici, un membro dello staff della Casa Bianca e persino personale del Secret Service. I messaggi intercettati includono discussioni su operazioni antiterrorismo, dettagli logistici per missioni all’estero e scambi confidenziali tra funzionari durante crisi internazionali. Fonti del Dipartimento della Sicurezza Interna hanno confermato che almeno 12 conversazioni compromesse contenevano informazioni classificate come “Segreto” o “Top Secret”.

L’hacker, identificato con lo pseudonimo “ShadowGlitch”, ha sfruttato una falla nel sistema di autenticazione a due fattori di TeleMessage, riuscendo a replicare i codici di verifica inviati via SMS. Questa tecnica, nota come “SIM swapping”, gli ha permesso di bypassare i controlli di sicurezza e accedere agli account senza lasciare tracce immediate. Secondo analisti di cybersecurity intervistati da Reuters, l’attacco è stato particolarmente sofisticato: l’intruso ha utilizzato server proxy situati in Bulgaria e Kazakhstan per mascherare la propria ubicazione, rendendo difficile il tracciamento da parte delle autorità statunitensi.

Le implicazioni della violazione sono amplificate dal ruolo centrale di TeleMessage nelle comunicazioni dell’amministrazione Trump. Durante il mandato presidenziale, l’app era stata adottata da diversi collaboratori della Casa Bianca per evitare i controlli sui dispositivi ufficiali, una pratica già criticata da esperti di sicurezza. Mike Waltz, ora membro del Congresso, aveva continuato a utilizzare il servizio per coordinarsi con ex colleghi, ignorando gli avvertimenti della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA) sulle app di messaggistica non certificate.

La reazione delle istituzioni non si è fatta attendere. Il Dipartimento di Giustizia ha avviato un’indagine federale, mentre la CISA ha emesso un’allerta nazionale invitando tutte le agenzie governative a verificare l’integrità dei propri sistemi. TeleMessage, da parte sua, ha rilasciato una dichiarazione in cui assicura di aver “patched” la vulnerabilità e di collaborare con le autorità. Tuttavia, fonti interne all’FBI hanno rivelato a Reuters che l’azienda non aveva aggiornato i propri protocolli di encryption dal 2022, nonostante ripetute sollecitazioni.

Il caso riaccende il dibattito sulla regolamentazione delle tecnologie utilizzate dal governo. Come sottolineato da un rapporto del Government Accountability Office del 2024, almeno il 40% delle app adottate da funzionari federali non supera gli standard di sicurezza minimi richiesti. L’episodio di TeleMessage potrebbe spingere il Congresso a legiferare per imporre verifiche obbligatorie, ma nel frattempo, la fuoriuscita di dati rischia di avere conseguenze geopolitiche. Alcuni messaggi compromessi, infatti, riguardavano negoziati segreti con alleati NATO sulla crisi ucraina, informazioni che potrebbero essere finite in mano a potenze straniere.

Mentre le autorità lavorano per contenere i danni, rimangono aperte domande cruciali: quanti altri strumenti di comunicazione usati dal governo presentano falle simili? E quali garanzie possono offrire le istituzioni per prevenire futuri attacchi? Quel che è certo è che questa violazione segna un punto di svolta nella consapevolezza dei rischi legati alla cybersecurity, costringendo gli Stati Uniti a fare i conti con una realtà sempre più esposta alle minacce del mondo digitale.

Gaza. Israele inizia l’operazione di terra I carri di Gedeone

Nelle prime ore di sabato 17 maggio 2025, i residenti di Deir al Balah, città nel cuore della Striscia di Gaza, hanno udito raffiche di armi automatiche risuonare tra le strade. Il fragore degli spari è arrivato poche ore dopo l’annuncio ufficiale dell’esercito israeliano: le truppe si stanno preparando per un’avanzata su larga scala nel territorio, con l’obiettivo di espandere il controllo militare, acquisire nuove aree e spostare ulteriormente la popolazione civile. Un’ondata di tensione ha attraversato la regione, mentre i mediatori internazionali, tra cui rappresentanti dell’amministrazione Trump, tentavano invano di negoziare una tregua temporanea.

Il contesto di un conflitto

Il conflitto tra Israele e Hamas, iniziato il 7 ottobre 2023 con l’assalto di militanti palestinesi nel sud di Israele, che causò circa 1.200 morti e 250 ostaggi, prosegue ormai da oltre 18 mesi. Nonostante le operazioni militari israeliane abbiano provocato, secondo le autorità sanitarie di Gaza, più di 50.000 vittime (senza distinzione tra civili e combattenti), Hamas non è stato sconfitto e almeno 58 ostaggi rimangono ancora nelle mani del gruppo. La strategia israeliana, basata su bombardamenti aerei, incursioni terrestri e un blocco totale degli aiuti umanitari imposto da marzo, non ha prodotto i risultati attesi. Anzi, ha aggravato la crisi umanitaria: due milioni di palestinesi affrontano carestie, mancanza di medicinali e condizioni igieniche disperate, come sottolineato dal presidente Trump in una dichiarazione recente.

La mobilitazione e le incognite strategiche

L’annuncio della mobilitazione delle truppe israeliane arriva dopo mesi di stallo. Sebbene l’esercito abbia già occupato porzioni significative di Gaza, la nuova fase sembra puntare a un’espansione territoriale senza precedenti. Fonti militari israeliane parlano di “preparativi per un’operazione decisiva”, ma i dettagli rimangono vaghi. Non è chiaro, ad esempio, se gli scontri a Deir al Balah siano parte di un’offensiva organizzata o di azioni localizzate. Quel che è certo è che il premier Benjamin Netanyahu intende aumentare la pressione su Hamas, costringendolo a cedere sulle richieste di liberazione degli ostaggi e smilitarizzazione.

L’operazione, denominata “Carri di Gedeone”, trae ispirazione dall’episodio biblico in cui il condottiero ebraico sconfisse i Midianiti con mezzi limitati. L’espressione «i carri di Gedeone», non compare nel testo ebraico. Bibbia alla mano, Gedeone non schierò affatto carri da guerra, simbolo di potenza militare: al contrario, la narrazione insiste sull’assenza di mezzi bellici sofisticati proprio per sottolineare l’intervento miracoloso di Dio, oggi la locuzione riemerge ogni tanto nel linguaggio giornalistico o militare per indicare un contingente ristretto ma decisivo.

Secondo i piani dell’IDF, decine di carri armati e migliaia di riservisti – molti già provati da 18 mesi di combattimenti – verranno schierati per conquistare interi quartieri strategici, spostando forzatamente i civili verso il sud della Striscia. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, esponente dell’estrema destra, ha dichiarato senza mezzi termini: «Dobbiamo entrare a Gaza con tutte le nostre forze, finire l’opera: occupare, conquistare il territorio e schiacciare il nemico».

La crisi umanitaria e il blocco degli aiuti

Mentre i carri armati si riposizionano, la popolazione civile paga il prezzo più alto. Il blocco imposto da Israele ha ridotto al minimo gli approvvigionamenti di cibo, acqua e medicine, creando una situazione definita “strumento di sterminio” da Human Rights Watch. Decine di migliaia di famiglie vivono tra le macerie delle abitazioni distrutte, senza accesso a servizi essenziali. Il venerdì precedente alla mobilitazione, almeno 115 persone sono morte in raid aerei, aggiungendosi a un bilancio già insostenibile. L’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Volker Turk, ha accusato Israele di perseguire una “pulizia etnica” attraverso lo sfollamento forzato e la negazione degli aiuti.

Nonostante gli appelli delle Nazioni Unite, che hanno ribadito di essere pronte a gestire gli aiuti con «imparzialità e neutralità», il governo israeliano insiste nel limitare l’accesso agli operatori umanitari. Tom Fletcher, sottosegretario ONU, ha denunciato: «Abbiamo un piano pronto, ma non ci permettono di agire». Intanto l’amministrazione Trump sta valutando un controverso piano per trasferire fino a un milione di palestinesi dalla Striscia di Gaza alla Libia, sebbene i dettagli rimangano nebulosi.

Mediazioni fallite e prospettive future

I tentativi di mediazione, guidati dagli Stati Uniti, non hanno finora prodotto accordi. Hamas insiste che non rilascerà gli ostaggi senza un cessate il fuoco permanente e il ritiro completo delle truppe israeliane da Gaza. Israele, dal canto suo, rifiuta qualsiasi trattativa fino alla resa incondizionata del gruppo. I colloqui di Doha sono naufragati nell’amarezza.

Negli ultimi giorni un attacco aereo israeliano ha preso di mira Khan Younis, nel sud di Gaza, nel tentativo di eliminare Muhammad Sinwar, uno dei leader più influenti di Hamas ancora in libertà. Pare ormai accertata la morte del leader di Hamas.

La mobilitazione delle truppe israeliane segna una nuova, pericolosa fase in un conflitto che sembra destinato a prolungarsi. Con migliaia di riservisti richiamati e un’offensiva terrestre imminente, la comunità internazionale teme un’escalation senza ritorno. Tuttavia, senza una strategia politica che affronti le cause profonde dello scontro, dall’occupazione israeliana alla divisione tra fazioni palestinesi, qualsiasi vittoria militare rischia di essere effimera.

Il Washington Institute, think tank vicino alla lobby israeliana negli USA, ha avvertito che un’occupazione prolungata di Gaza potrebbe innescare una guerriglia infinita, rafforzando paradossalmente la resistenza palestinese. Come ha osservato un diplomatico europeo: «Le armi possono conquistare territorio, ma non costruire la pace». Intanto, a Gaza, il rumore delle armi continua.

Ucraina: la Russia lancia attacco di droni più massiccio mai eseguito

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Nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2025, l’Ucraina ha vissuto uno dei momenti più cupi dall’inizio dell’invasione russa. In sole nove ore, il Paese è stato bersagliato da 273 droni, un numero che segna un nuovo record dall’inizio della guerra. L’attacco, diretto principalmente contro le regioni di Kyiv, Dnipropetrovsk e Donetsk, ha causato la morte di una giovane donna nel distretto di Obukhiv, il ferimento di almeno tre civili – tra cui un bambino di quattro anni – e la distruzione di infrastrutture civili. Non è solo il bilancio umano a far riflettere, ma il significato politico e militare di quest’azione, arrivata a meno di 48 ore dal fallimento dei primi colloqui di pace diretti tra Russia e Ucraina dopo tre anni di guerra.

I negoziati, tenutisi a Istanbul il 16 maggio, si sono rivelati un tentativo fragile e probabilmente prematuro di avvicinare due posizioni ancora inconciliabili. Durati appena 100 minuti, gli incontri si sono conclusi con un accordo sullo scambio di prigionieri – 1.000 per parte – ma nessun passo avanti su un cessate il fuoco. Le richieste russe, tra cui l’abbandono da parte di Kyiv delle ambizioni NATO e la cessione dei territori occupati, sono state bollate come «inaccettabili» dal governo ucraino. Una risposta netta, che ha chiarito quanto la distanza tra le due parti resti siderale.

Il giorno successivo ai colloqui, un drone russo ha colpito un minibus nella regione di Sumy, uccidendo nove civili. L’attacco, che il presidente Zelensky ha definito «deliberato», è stato il preludio a un’escalation ancora più brutale. Poche ore dopo, centinaia di droni si sono alzati in volo contro l’Ucraina, in quella che molti osservatori internazionali interpretano come una mossa ritorsiva da parte del Cremlino, decisa a rafforzare la propria posizione negoziale sul campo prima del previsto scambio di prigionieri.

L’offensiva ha impegnato i sistemi di difesa aerea ucraini per tutta la notte. Gli allarmi antiaerei hanno suonato ininterrottamente fino alle 9 del mattino del 18 maggio, testimoniando l’intensità e la durata dell’attacco. Dei 273 droni, 88 sono stati abbattuti e altri 128 sono andati fuori rotta. Ma quelli che hanno raggiunto l’obiettivo hanno lasciato un segno profondo. A Obukhiv, a sud della capitale, esplosioni e frammenti hanno raso al suolo edifici residenziali e colpito anche strutture civili nel centro di Kyiv.

Il governatore della regione, Mykola Kalashnik, ha confermato il decesso di una donna colpita dai detriti. Il Centro ucraino per la lotta alla disinformazione, per bocca di Andriy Kovalenko, ha denunciato l’utilizzo sistematico della guerra da parte russa come strumento di pressione durante i negoziati, sottolineando come l’attacco sia parte di una strategia ben precisa: intimidire, fiaccare, forzare concessioni con la violenza.

L’uso massiccio di droni, molti dei quali kamikaze e a basso costo, riflette una tattica russa studiata per logorare lentamente ma inesorabilmente la capacità difensiva ucraina. I sistemi di difesa forniti dall’Occidente sono efficaci ma costosi, e non possono essere ovunque. Saturare i cieli con ondate di droni significa mettere sotto stress le batterie anti-aeree e aprire varchi nelle difese. È una guerra d’attrito tecnologica e psicologica che sta cambiando il volto del conflitto.

Zelensky ha reagito chiedendo un inasprimento delle sanzioni internazionali contro la Russia. Ha ribadito che la pressione economica è uno degli ultimi strumenti rimasti alla comunità internazionale per fermare le uccisioni. Mentre le immagini delle macerie a Kyiv e delle vittime a Sumy fanno il giro del mondo, la Casa Bianca ha annunciato un’iniziativa diplomatica: l’ex presidente Donald Trump parlerà separatamente con Zelensky e Putin lunedì 19 maggio, nel tentativo di riattivare un dialogo tra le parti.

Il tempismo dell’attacco non è casuale. I droni sono stati lanciati subito dopo i colloqui falliti, in una sorta di messaggio armato che cancella ogni spazio per illusioni. La Russia non sembra interessata a negoziare da una posizione di parità. Vuole trattare solo quando l’Ucraina sarà stremata, militarmente o economicamente. Kyiv, al contrario, continua a insistere sulla necessità di un dialogo fondato sul diritto internazionale e sul rispetto dell’integrità territoriale. Nessuna concessione sui territori occupati, nessun passo indietro sulle alleanze occidentali. È una linea dura, ma coerente con l’idea di sovranità che il popolo ucraino sta difendendo con le armi.

Il quadro che si delinea è quello di una guerra entrata in una fase di pericoloso stallo, in cui ogni azione militare rischia di far deragliare definitivamente i pochi margini di trattativa rimasti. Con oltre il 20% del territorio ucraino ancora sotto occupazione russa e milioni di cittadini sfollati, le prospettive di pace sembrano ancora lontane. Gli esperti militari vedono due scenari possibili all’orizzonte: un’escalation ulteriore, con attacchi su larga scala per influenzare lo scambio di prigionieri e guadagnare vantaggi strategici, oppure un consolidamento difensivo da parte ucraina, in attesa di nuovi rifornimenti militari da parte della NATO.

In entrambi i casi, la richiesta di Kyiv rimane la stessa: garanzie di sicurezza vincolanti da parte della comunità internazionale. Senza questo elemento, ogni trattativa rischia di trasformarsi in una tregua apparente, preludio a nuove ostilità. La sfida non è solo militare, ma politica. È la definizione stessa dell’ordine europeo e del concetto di sovranità a essere in gioco.

L’attacco del 18 maggio non è solo un episodio bellico. È il simbolo di un conflitto che ha ormai assunto una dimensione totale, in cui le battaglie si combattono sul campo, nei cieli, nei palazzi del potere e nei media internazionali. Una guerra che non può essere congelata con un compromesso qualsiasi, ma solo risolta attraverso un equilibrio che riconosca i diritti di chi è stato aggredito e punisca chi ha violato le regole fondamentali della convivenza tra Stati.

Finché questo equilibrio non verrà raggiunto, gli attacchi continueranno. I droni voleranno ancora sopra le città ucraine. E il mondo resterà con il fiato sospeso, in attesa di capire quale sarà la prossima mossa.

Silvia Sardone e Vannacci vice di Salvini

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La Lega consolida la sua squadra dirigente con l’ingresso di Silvia Sardone e Roberto Vannacci tra i vicesegretari, accanto ai riconfermati Alberto Stefani e Claudio Durigon. La decisione, ratificata ieri dal Consiglio federale convocato da Matteo Salvini a Montecitorio, segna un ulteriore passo nella trasformazione del partito, sempre più orientato verso posizioni sovraniste.

Le nuove nomine e il cambio statutario

L’ascesa di Vannacci, ex generale dei paracadutisti e autore del controverso saggio Il mondo al contrario, è stata resa possibile da una modifica statutaria approvata durante il congresso di Firenze dello scorso aprile. Il nuovo regolamento ha eliminato il requisito dei 10 anni di iscrizione per accedere alla carica di vice, permettendo così l’ingresso di chi ha ricevuto la tessera solo pochi mesi fa. Una mossa interpretata come un tentativo di “blindare” il generale, evitando la nascita di un movimento personale alternativo.

Silvia Sardone, eurodeputata e consigliera comunale a Milano con un passato in Forza Italia, diventa invece la prima donna a ricoprire questo ruolo nella storia del Carroccio. «Un onore e una responsabilità», ha commentato, sottolineando l’impegno per «combattere le sfide in Italia e Europa».

L’uscita di scena di Andrea Crippa dalla segreteria non ha generato tensioni pubbliche. Salvini ha garantito per lui un «ruolo rilevante», definendolo «fondamentale» per il partito14. Tuttavia, qualche malumore è emerso dall’ala più legata alle origini autonomiste: il governatore veneto Luca Zaia ha ribadito che la Lega resta «geneticamente» ancorata alla rappresentanza delle «identità territoriali».

Vannacci non ha usato mezzi termini nel delineare la rotta: «Siamo l’unico vero partito sovranista, non ci pieghiamo agli inciuci». Un’affermazione che suona come una sfida a Fratelli d’Italia, mentre la Lega punta a radunare il suo elettorato con il prossimo raduno di Pontida, fissato per il 21 settembre.

Nel frattempo, il partito conferma l’impegno sulla pace fiscale, definita «obiettivo irrinunciabile» dal ministro Giorgetti durante il Consiglio federale. L’obiettivo dichiarato è tutelare i contribuenti in buona fede, mantenendo però «zero tolleranza per i grandi evasori».

L’antropomorfizzazione dell’intelligenza artificiale: fenomeno, implicazioni e rischi

Gli esseri umani hanno una naturale tendenza ad attribuire caratteristiche, emozioni e intenzioni umane a entità non umane, incluse le tecnologie di intelligenza artificiale. Questo fenomeno, noto come antropomorfizzazione, influisce profondamente sul modo in cui interagiamo con i sistemi di AI. La ricerca dimostra che l’antropomorfizzazione dell’AI può manifestarsi in vari gradi, dalla semplice cortesia all’attribuzione di capacità cognitive complesse. Questo fenomeno ha radici storiche che risalgono ai primi esperimenti di intelligenza artificiale, in particolare con ELIZA negli anni ’60, e continua ad essere rilevante oggi con chatbot avanzati e assistenti virtuali. Le implicazioni di questa tendenza sollevano importanti questioni riguardo alla fiducia eccessiva nei sistemi AI, alla possibile manipolazione degli utenti e alla comprensione distorta delle reali capacità di questi sistemi.

L’effetto ELIZA

L’antropomorfizzazione dell’intelligenza artificiale ha radici profonde che affondano fin dagli albori dell’informatica. Un esempio emblematico risale al 1966, quando Joseph Weizenbaum, ricercatore del MIT, sviluppò ELIZA, un programma oggi considerato il primo chatbot della storia. ELIZA era progettata per simulare un terapeuta rogeriano, ossia uno psicoterapeuta ispirato all’approccio umanistico di Carl Rogers. Questo tipo di terapeuta si basa su tre principi fondamentali: ascolto empatico, accettazione incondizionata e autenticità, evitando giudizi o interpretazioni e lasciando che sia la persona a guidare il dialogo.

ELIZA imitava questo stile limitandosi a riflettere le frasi degli utenti sotto forma di domande, una tecnica che dava l’impressione di ascolto e comprensione, pur basandosi su semplici regole di corrispondenza tra parole chiave e risposte predefinite. Nonostante la sua estrema semplicità, il programma riuscì a suscitare in molti utenti l’illusione di una vera interazione empatica, segnando un momento cruciale nella storia dell’interfaccia uomo-macchina e nel modo in cui attribuiamo qualità umane alle tecnologie artificiali.

Ciò che sorprese lo stesso Weizenbaum fu la reazione delle persone che interagivano con ELIZA: “Non avevo realizzato… che esposizioni estremamente brevi a un programma informatico relativamente semplice potessero indurre un potente pensiero delirante in persone del tutto normali“. Questo fenomeno è diventato noto come “effetto ELIZA”, che descrive la tendenza delle persone ad attribuire comprensione umana ai computer basandosi esclusivamente su comportamenti superficiali.

L’effetto ELIZA evidenzia come le persone proiettino inconsciamente qualità umane sui sistemi tecnologici, anche quando sono consapevoli della natura meccanica di tali sistemi. Gli utenti che interagivano con ELIZA spesso si sentivano compresi e supportati, rivelando informazioni personali ed emotive, credendo che il programma stesse rispondendo in modo riflessivo, mentre in realtà seguiva semplicemente schemi predefiniti senza alcuna vera comprensione.

I gradi e le dimensioni dell’antropomorfizzazione

La ricerca contemporanea ha identificato diversi livelli di antropomorfizzazione nelle interazioni umane con l’intelligenza artificiale. Secondo studi recenti, esistono quattro gradi principali di antropomorfizzazione dell’AI:

  1. Cortesia (FriendlyBot): Includere espressioni come “per favore” e “grazie” nelle richieste all’AI. Questo comportamento rappresenta un riconoscimento superficiale dell’entità simulata, simile a come ci si riferisce a un cane usando pronomi umani come “lui” invece di “esso”.
  2. Rinforzo (KudosBot): Una forma più avanzata di interazione in cui gli utenti offrono feedback per guidare il comportamento dell’AI, come dire “Buon lavoro!” con la speranza che l’AI faccia più spesso ciò per cui viene lodata.
  3. Gioco di ruolo (CosplayBot): In questo livello, gli utenti chiedono all’AI di assumere persone specifiche, come uno chef pasticcere parigino, per migliorare la qualità e la rilevanza delle risposte.
  4. Compagnia: Il livello più profondo di antropomorfizzazione, dove gli utenti sviluppano un senso di connessione emotiva con l’AI1.

Questi gradi non sono mutuamente esclusivi e variano in termini di connessione emotiva e funzionalità. La ricerca mostra che i comportamenti antropomorfici hanno sia un ruolo funzionale (gli utenti presumono che l’AI funzionerà meglio) sia un ruolo di connessione, volto a creare un’esperienza più piacevole.

Le motivazioni psicologiche dell’antropomorfizzazione

Le persone antropomorfizzano l’intelligenza artificiale per diverse ragioni psicologiche fondamentali. Secondo Epley, Waytz e Cacioppo (2007), la tendenza ad antropomorfizzare agenti non umani è determinata principalmente da tre fattori, due dei quali sono particolarmente rilevanti: la motivazione sociale e la motivazione di efficacia.

La motivazione sociale si riferisce al desiderio umano di connessione sociale. Le persone che si sentono sole (motivazione sociale) sono più propense ad antropomorfizzare entità non umane, inclusi animali domestici. Questo fenomeno è stato documentato in uno studio che ha mostrato come le persone con disposizione alla solitudine tendessero maggiormente all’antropomorfizzazione.

La motivazione di efficacia riguarda invece il bisogno di comprendere, prevedere e controllare l’ambiente. Le persone che hanno un forte bisogno di controllo sono più propense ad antropomorfizzare animali e oggetti apparentemente imprevedibili. Questo comportamento serve come meccanismo cognitivo che aiuta a dare un senso al comportamento di entità che altrimenti sembrano caotiche o incomprensibili.

L’antropomorfizzazione serve quindi come “ponte cognitivo”, aiutando gli utenti a comprendere l’AI attraverso metafore umane. Attribuendo qualità umane all’AI, gli utenti possono interagire con sistemi complessi in modi che sembrano più intuitivi e meno intimidatori.

L’antropomorfizzazione dell’intelligenza artificiale ha importanti implicazioni per la progettazione, l’uso e la percezione dei sistemi AI. Queste implicazioni possono essere sia positive che negative.

Effetti sulla fiducia e sull’interazione

La ricerca ha dimostrato che la fiducia in un robot sociale con caratteristiche fisiche antropomorfe differisce sia dalla fiducia in un agente AI che dalla fiducia in un essere umano. In uno studio sperimentale, è emerso che la fiducia nel robot sociale si collocava in una posizione intermedia tra quella in un agente AI e quella in un essere umano. Questo suggerisce che manipolare le caratteristiche antropomorfe potrebbe aiutare gli utenti a calibrare in modo appropriato la fiducia in un agente.

L’antropomorfizzazione gioca un ruolo complesso nel plasmare l’attuale valutazione dell’AI. Le caratteristiche umanoidi sono note per influenzare positivamente le percezioni di calore e competenza, che a loro volta influenzano l’accettazione da parte degli utenti e l’intenzione di continuare a utilizzare i sistemi AI. Tuttavia, questa tendenza può distorcere il giudizio, portando a una fiducia mal riposta nelle capacità dell’AI, alla manipolazione da parte di sistemi progettati per sfruttare il ragionamento antropomorfico e a valutazioni errate dello status morale dell’AI.

Rischi etici e pratici

L’antropomorfizzazione può oscurare i rischi esistenziali dell’AI avanzata creando quello che alcuni ricercatori chiamano “lo specchio antropomorfico” una potente lente cognitiva e culturale che riflette la nostra psicologia, le nostre limitazioni e i nostri valori quando cerchiamo di immaginare l’intelligenza artificiale super intelligente (ASI). Questo specchio ostacola la nostra capacità di concepire forme di intelligenza fondamentalmente diverse con obiettivi e modalità operative non umane.

L’antropomorfizzazione può anche ostacolare la ricerca e lo sviluppo sulla sicurezza, orientando sottilmente le priorità di ricerca lontano dalle questioni di sicurezza più critiche. Inoltre, può portare a richieste premature di diritti o status per l’AI basate su una sofisticata imitazione piuttosto che sulla reale natura sottostante dell’AI, o allo sviluppo di una fiducia mal riposta molto prima, o persino in assenza, dell’emergere di una genuina intelligenza o sensibilità simile a quella umana.

Oltre il paradigma antropomorfico

Alcuni ricercatori suggeriscono che pensare oltre il paradigma antropomorfico potrebbe apportare benefici significativi alla ricerca sull’AI. L’antropomorfismo, o l’attribuzione di tratti umani alla tecnologia, è una risposta automatica e inconscia che si verifica anche in persone con competenze tecniche avanzate.

L’analisi di centinaia di migliaia di articoli di ricerca in informatica dell’ultimo decennio ha rivelato prove empiriche della prevalenza e della crescita della terminologia antropomorfica nella ricerca sui modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM). Questa terminologia riflette concettualizzazioni antropomorfiche più profonde che influenzano il modo in cui pensiamo e conduciamo la ricerca sugli LLM.

Sfidare queste concettualizzazioni antropomorfiche potrebbe aprire nuove vie per comprendere e migliorare gli LLM oltre le analogie umane. Ad esempio, i ricercatori hanno identificato e analizzato cinque presupposti antropomorfici fondamentali che plasmano metodologie prominenti nell’intero ciclo di sviluppo degli LLM, dall’assunzione che i modelli debbano usare il linguaggio naturale per i compiti di ragionamento all’assunzione che le capacità del modello debbano essere valutate attraverso benchmark incentrati sull’uomo.

La ricerca dimostra che questo fenomeno è guidato da motivazioni psicologiche fondamentali e si manifesta in vari gradi, dalla semplice cortesia alla percezione di connessione emotiva profonda. Mentre l’antropomorfizzazione può facilitare l’interazione uomo-macchina rendendo i sistemi AI più accessibili e intuitivi, porta con sé anche rischi significativi, tra cui fiducia mal riposta, valutazioni errate delle capacità dell’AI e possibili distorsioni nella ricerca e nello sviluppo dell’AI.

Per il futuro, è fondamentale trovare un equilibrio tra lo sfruttamento dei benefici dell’antropomorfizzazione e la mitigazione dei suoi rischi. Ciò potrebbe richiedere lo sviluppo di nuovi quadri concettuali che ci permettano di pensare all’AI in termini non antropomorfici, consentendoci di apprezzare meglio la sua natura unica e le sue capacità senza le limitazioni imposte dal paradigma antropomorfico.

Stati Uniti e Cina, nuovi accordi sui dazi

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In una svolta attesa dai mercati globali, Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo temporaneo per ridurre reciprocamente le tariffe doganali, alleggerendo una guerra commerciale che durava da sette anni e minacciava di innescare una recessione mondiale. L’intesa, definita “storica” dal Segretario al Tesoro americano Scott Bessent, prevede un taglio immediato dei dazi del 115% su entrambi i fronti, con effetti a partire da mercoledì 14 maggio.

I numeri dell’accordo

Secondo i dettagli resi noti a Ginevra, dove i negoziatori si sono incontrati per due giorni, Washington abbatterà le tariffe aggiuntive imposte ad aprile 2025 dal 145% al 30% su beni cinesi per un valore di 200 miliardi di dollari, mantenendo un dazio base del 10% ereditato da precedenti amministrazioni. Pechino, dal canto suo, ridurrà i propri dazi dal 125% al 10% su prodotti statunitensi equivalenti, incluso grano, carne bovina e componenti elettronici. La tregua durerà 90 giorni, durante i quali le parti valuteranno l’impatto economico e negozieranno ulteriori alleggerimenti.

Abbiamo rappresentato entrambi i nostri interessi nazionali con successo”, ha dichiarato Bessent nel briefing congiunto con il rappresentante commerciale Jamieson Greer. “Nessuno dei due Paesi vuole un disaccoppiamento: i dazi elevati equivalgono a un embargo, e non è questa la direzione”. Il segretario ha inoltre annunciato l’istituzione di un forum permanente di consultazione, con incontri bisettimanali alternati tra USA, Cina e Paesi terzi come Singapore, per gestire le dispute commerciali.

La notizia ha scatenato un’ondata di ottimismo sui mercati finanziari. Il dollaro si è rafforzato dello 0,8% contro lo yen e l’euro, mentre i futures sull’indice S&P 500 sono saliti dell’1,4%, trascinati dai titoli tech e industriali. In Europa, le azioni di Maersk sono schizzate del 12%, dopo che la compagnia danese aveva lamentato un crollo del 40% nei volumi di container transatlantici a causa della guerra commerciale5. Anche i colossi del lusso LVMH e Kering hanno registrato rialzi superiori al 6%, specchio delle aspettative su una ripresa degli acquisti cinesi.

“Il risultato supera le attese: prevedevo un taglio al 50%”, ha commentato Zhiwei Zhang, capoeconomista di Pinpoint Asset Management a Hong Kong. “Ora gli investitori temono meno le interruzioni delle catene di approvvigionamento, almeno nel breve termine”. Tuttavia, gli analisti avvertono che le tariffe residue del 10% continueranno a gravare su settori strategici come semiconduttori, acciaio e farmaci, con un deficit commerciale USA-Cina ancora fermo a 295 miliardi di dollari.

Il retroscena: dal “Liberation Day” alla tregua lampo

L’accordo arriva dopo mesi di escalation culminati lo scorso aprile con il cosiddetto “Liberation Day”, quando il presidente Donald Trump aveva imposto dazi del 145% sul 60% delle importazioni cinesi, definendolo “un regalo agli operai americani”. Una mossa che aveva spinto Pechino a bloccare le esportazioni di terre rare essenziali per l’industria bellica statunitense e ad alzare al 125% i dazi su 300 prodotti USA, dal grano del Midwest ai Boeing.

Secondo fonti vicine ai negoziati, la svolta è maturata grazie alla mediazione informale della Svizzera, che ha ospitato gli incontri nella residenza privata dell’ambasciatore elvetico all’ONU, affacciata sul lago di Ginevra. “Il setting ha favorito un dialogo costruttivo”, ha riconosciuto Bessent, sottolineando il tono “amichevole ma fermo” dei colloqui.

Le ombre sul futuro: dal fentanyl alla competizione tecnologica

Nonostante i progressi, restano nodi irrisolti. Il rappresentante commerciale Greer ha confermato che le trattative sul contrasto al traffico di fentanyl, una delle giustificazioni iniziali di Trump per i dazi, proseguiranno su un binario separato, senza garanzie immediate. Intanto, Pechino ha già avvertito: “Se non ci saranno ulteriori progressi entro agosto, le tariffe torneranno ai livelli precedenti”.

C’è poi la questione della guerra tecnologica. L’accordo non menziona le restrizioni USA sulle esportazioni di chip avanzati verso la Cina, né i sussidi cinesi alle aziende di energia rinnovabile, considerati “pratiche sleali” da Washington. “Questa è una tregua, non una pace”, sintetizza Rebecca Strauss del Council on Foreign Relations. “Il conflitto strategico resta intatto, e con esso i rischi di nuove escalation”.

Prossimi appuntamenti: luglio 2025 come banco di prova

I negoziatori si incontreranno di nuovo entro fine luglio per valutare l’efficacia dell’accordo. Nel frattempo, l’attenzione si sposta sul voto di midterm statunitense di novembre, dove Trump punta a capitalizzare il successo della tregua per riconquistare il Congresso. Ma per milioni di imprese e lavoratori colpiti dai dazi, il vero test arriverà il 14 agosto, quando scadrà la finestra dei 90 giorni. In caso di fallimento, le tariffe torneranno ai massimi storici, riaccendendo lo spettro della recessione globale.