02 Settembre 2025
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Forno elettrico ex Ilva, tra sogni di rilancio e incubo ambientale: le ombre del consenso istituzionale

Il consenso unanime raggiunto a Genova sul progetto del forno elettrico per l’ex Ilva di Cornigliano nasconde una realtà più complessa di quanto le dichiarazioni istituzionali lascino intendere. Dietro i numeri rotondi degli investimenti da 1,3 miliardi e le promesse di centinaia di posti di lavoro, si celano interrogativi ambientali che dividono profondamente la città e che riportano alla memoria i fantasmi di un passato industriale che ha lasciato cicatrici profonde nel tessuto urbano del Ponente genovese.

La sindaca Silvia Salis, nel dare il suo benestare al progetto, ha dovuto fare i conti con una contraddizione che attraversa tutta la sua amministrazione. Da un lato il riconoscimento che “la tecnologia sia cambiata” e che esistano “rassicurazioni dal punto di vista di ricaduta ambientale con basi scientifiche molto solide”, dall’altro la consapevolezza di “capire la rabbia dei cittadini” per quello che è successo nei decenni passati. Questa duplicità di posizione rivela quanto sia complesso bilanciare le necessità economiche con le preoccupazioni sanitarie di un territorio che porta ancora i segni di decenni di inquinamento industriale.

La tecnologia del forno elettrico ad arco, pur rappresentando un significativo passo avanti rispetto ai vecchi altoforni, non è esente da impatti ambientali che potrebbero riaccendere le preoccupazioni dei residenti di Cornigliano. Secondo gli studi tecnici più recenti, questo tipo di impianto produce comunque tra i 10 e i 20 chilogrammi di polveri per ogni tonnellata di acciaio lavorato, polveri che contengono inevitabilmente metalli pesanti come zinco, cadmio, piombo, arsenico e mercurio. La differenza sostanziale rispetto al passato sta nei sistemi di filtrazione, ma la produzione di sostanze potenzialmente nocive rimane una costante del processo siderurgico.

Il ministro Adolfo Urso e il governatore Marco Bucci hanno puntato molto sull’aspetto della sostenibilità dell’operazione, definendo il progetto come parte della strategia di decarbonizzazione della siderurgia italiana. Tuttavia, la sostenibilità del forno elettrico dipende criticamente dalla fonte di energia utilizzata. Se l’elettricità proviene da fonti fossili, le emissioni di CO2, pur ridotte rispetto all’altoforno tradizionale, rimangono significative. La Liguria, con un mix energetico ancora dipendente dai combustibili fossili, potrebbe non garantire quella neutralità carbonica che viene spesso evocata come principale vantaggio della tecnologia elettrica.

La questione della materia prima rappresenta un altro nodo critico spesso trascurato nel dibattito pubblico. Il forno elettrico lavora prevalentemente rottami metallici, e la qualità di questi materiali di scarto determina direttamente l’impatto ambientale dell’intero processo. I rottami possono contenere sostanze radioattive provenienti da apparecchiature mediche dismesse, PCB da vecchi trasformatori, vernici al piombo da demolizioni automobilistiche. La selezione e il controllo di questi materiali richiede procedure complesse che, se non gestite correttamente, possono trasformare il processo di riciclo in una fonte di contaminazione.

I comitati cittadini, che hanno scelto di non partecipare al tavolo ministeriale organizzando invece una manifestazione di protesta, rappresentano la voce di chi ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze dell’inquinamento industriale. Il comitato “No forno elettrico” considera “un incubo il ritorno della produzione a caldo nella delegazione del Ponente”, una posizione che affonda le radici in decenni di convivenza forzata con le emissioni degli impianti siderurgici. La memoria collettiva di Cornigliano è segnata da tassi di patologie respiratorie superiori alla media regionale, da decessi per tumore polmonare che hanno interessato intere famiglie, da bambini costretti a crescere respirando aria inquinata.

La sindaca Salis ha riconosciuto implicitamente questi timori parlando di “approfondimenti ambientali” richiesti, ma la natura di questi approfondimenti rimane vaga nelle dichiarazioni pubbliche. Gli studi di impatto ambientale per impianti di questo tipo dovrebbero includere valutazioni dettagliate delle emissioni diffuse, analisi dei venti dominanti per determinare la dispersione degli inquinanti, monitoraggio delle polveri sottili e ultrasottili che rappresentano il maggior rischio per la salute umana. Tuttavia, spesso questi studi vengono condotti utilizzando parametri standard che non tengono conto delle specificità del territorio e della densità abitativa dell’area.

Il progetto prevede la liberazione di 300mila metri quadrati di aree industriali per altre attività, un aspetto presentato come benefico ma che nasconde ulteriori criticità ambientali. Questi terreni, dopo decenni di attività siderurgica, potrebbero necessitare di costose operazioni di bonifica prima di poter essere riutilizzati. La caratterizzazione dei suoli, la rimozione di eventuali contaminanti, il monitoraggio delle falde acquifere rappresentano costi ambientali ed economici spesso sottovalutati nella fase iniziale dei progetti di riconversione industriale.

L’aspetto più preoccupante emerso durante gli incontri in prefettura riguarda la gestione dei rifiuti prodotti dal processo. Un forno elettrico genera tra 0,2 e 0,5 tonnellate di rifiuti speciali per ogni tonnellata di acciaio prodotto, rifiuti che includono scorie, polveri filtrate, refrattari esausti e fanghi di depurazione. Questi materiali, classificati spesso come pericolosi, richiedono sistemi di smaltimento specializzati che possono rappresentare un ulteriore fattore di rischio ambientale se non gestiti con procedure rigorose.

La mancanza di trasparenza sui soggetti che dovranno realizzare l’investimento aggiunge ulteriori elementi di incertezza. Come ha sottolineato lo stesso ministro Urso, sono gli investitori privati che dovranno presentare il piano industriale, ma l’identità di questi soggetti rimane ancora indefinita. La storia della siderurgia italiana è costellata di promesse industriali non mantenute, di investimenti annunciati e mai realizzati, di standard ambientali dichiarati ma non rispettati. La paura espressa dalla sindaca Salis che “questa gara vada deserta” potrebbe rivelarsi meno preoccupante di uno scenario in cui investitori poco affidabili ottengano le autorizzazioni per poi non rispettare gli impegni ambientali assunti.

Il coinvolgimento del sindacato nell’accordo, pur importante dal punto di vista sociale, non può mascherare il fatto che le organizzazioni dei lavoratori hanno storicamente privilegiato la salvaguardia dell’occupazione rispetto alle considerazioni ambientali. Questa dinamica, comprensibile dal punto di vista umano e sociale, ha spesso portato a compromessi al ribasso sugli standard di sicurezza ambientale, con le comunità locali costrette a subire le conseguenze sanitarie di scelte dettate da necessità economiche immediate.

L’operazione genovese si inserisce in un contesto europeo di transizione energetica che presenta ancora molte contraddizioni. Mentre l’Unione Europea spinge verso la decarbonizzazione dell’industria pesante, la concorrenza dei prodotti siderurgici asiatici, realizzati spesso con tecnologie molto inquinanti, rischia di rendere vani gli sforzi ambientali se non accompagnata da misure protettive del mercato interno. Il paradosso è che l’industria europea potrebbe diventare più pulita ma meno competitiva, spingendo la produzione verso paesi con standard ambientali più permissivi e aumentando, di fatto, l’inquinamento globale.

La questione del forno elettrico a Cornigliano rappresenta, dunque, molto più di una semplice operazione industriale. È il simbolo delle contraddizioni di una società che deve conciliare sviluppo economico, sostenibilità ambientale e giustizia sociale in un territorio che porta ancora le ferite di scelte industriali passate. Il consenso istituzionale raggiunto, per quanto importante dal punto di vista politico, non può cancellare i legittimi timori di una comunità che chiede garanzie concrete sulla propria salute e su quella delle generazioni future.

Alex Trizio
Alex Triziohttps://www.alground.com
Alessandro Trizio è un professionista con una solida expertise multidisciplinare, che abbraccia tecnologia avanzata, analisi politica e strategia geopolitica. Ora è Amministratore e Direttore Strategico del Gruppo Trizio, dirigendo il dipartimento di sicurezza informatica. La sua competenza si estende all'applicazione di soluzioni innovative per la sicurezza cibernetica e la risoluzione di criticità complesse.
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