Punti chiave
Il nuovo scenario diplomatico sulla crisi di Gaza sta vivendo una svolta senza precedenti. La Russia ha presentato una sua risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sfidando apertamente la proposta americana che sostiene il controverso piano di pace di Trump per il futuro della Striscia. Questa mossa riflette la crescente polarizzazione sulla gestione della crisi in Medio Oriente e pone Russia e Stati Uniti su fronti opposti nel cuore della diplomazia globale.
Il piano americano: Board of Peace e forza internazionale
Il testo russo chiede al Segretario Generale delle Nazioni Unite di esplorare opzioni per la creazione di una forza internazionale di stabilizzazione a Gaza, senza però includere il concetto di “Board of Peace” americano, cioè quell’organo transitorio che vedrebbe Donald Trump alla presidenza dell’amministrazione ad interim fino al 2027. Il progetto russo si dichiara ispirato al draft USA, ma punta a garantire una linea più equilibrata e condivisa, sottolineando il bisogno di una soluzione sostenibile e di un cessate il fuoco duraturo.
La versione americana offre una visione completamente differente. Washington prevede infatti l’istituzione di una International Stabilisation Force (ISF) che, collaborando con Israele, Egitto e una rinnovata polizia palestinese, dovrebbe assicurare la sicurezza dei confini e lavorare per la demilitarizzazione della Striscia. L’ISF sarebbe composta da circa 20.000 uomini, con contributi militari richiesti a paesi quali Indonesia, Pakistan, Emirati, Egitto, Qatar, Turchia, Azerbaigian, ma senza soldati statunitensi sul campo. Il piano USA insiste anche sullo smantellamento definitivo delle armi detenute dai gruppi armati non statali, sulla protezione dei civili e sulla creazione di corridoi umanitari. In questo contesto, il “Board of Peace” dovrebbe farsi garante della transizione politica fino al 2027, con il fine ultimo di favorire riforme nell’Autorità Palestinese e la ricostruzione di Gaza, aprendo una possibilità concreta per la piena autodeterminazione e lo Stato palestinese. L’ultimo draft include, cosa mai accaduta prima, un riferimento esplicito alla futura creazione di uno Stato palestinese, legato però alla realizzazione di specifici requisiti di governance e sicurezza.
L’alternativa russa: una mediazione multilaterale
La diplomazia russa ha espresso forti riserve sul piano americano. Mosca ritiene che la proposta USA rischi di cristallizzare posizioni divisive e mancare un reale coinvolgimento multilaterale, sostenendo che solo il dialogo inclusivo può portare ad una pace resiliente. Il documento russo mira a “un approccio bilanciato, accettabile e unificato”, disapprovando la supervisione diretta della Board of Peace americana sulla transizione.
Le reazioni del mondo arabo e il ruolo delle potenze
La reazione delle nazioni arabe e di molti paesi emergenti si polarizza su questa dicotomia. Diversi rappresentanti arabi hanno chiesto modifiche sostanziali per garantire la piena sovranità palestinese e lasciare spazi di autonomia nell’amministrazione della Striscia. Il Qatar, la Turchia e l’Egitto hanno avuto un ruolo fondamentale nelle trattative che hanno portato ad una fragile tregua, sottolineando la necessità di uscire dalla mera logica del controllo militare per abbracciare la via della ricostruzione e dei diritti umani. La Russia ha sottolineato che il rilancio del processo politico debba basarsi sulla soluzione dei due Stati, sostenuta dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale.
Gli interessi israeliani e la questione della sicurezza
Il punto più controverso resta la demilitarizzazione. Israele e Hamas hanno accettato, per ora, solo la prima fase del piano statunitense: una tregua biennale e lo scambio di prigionieri e ostaggi. Tuttavia, le ostilità sono tutt’altro che concluse. La Russia, insieme a Cina e numerosi Stati arabi, ha bocciato risoluzioni USA che prevedevano condanne a senso unico di Hamas senza menzionare le violazioni israeliane, insistendo su una piena applicazione del diritto internazionale e del rispetto dei diritti civili di entrambe le parti.
Sul fronte israeliano, la posizione ufficiale del governo Netanyahu rimane ambigua: Israele ripete che intende proseguire l’offensiva fino alla sconfitta totale di Hamas, sollevando non pochi dubbi sulla reale volontà di accettare un compromesso e alimentando le perplessità di Mosca, che ha dichiarato di non volere porre il veto alle risoluzioni solo per rispetto della volontà del mondo arabo. Secondo la Russia, qualsiasi accordo deve poggiare su parametri chiari, inclusa la liberazione degli ostaggi, il cessate il fuoco permanente e il rispetto dei confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale dello Stato palestinese.
Il destino della popolazione civile e la crisi umanitaria
La situazione umanitaria a Gaza, intanto, rimane drammatica. Secondo fonti internazionali, sono oltre 900.000 i palestinesi costretti ad abbandonare le proprie case, con il rischio concreto di una nuova catastrofe causata dalle condizioni meteorologiche avverse e dalla mancanza di risorse primarie. I corridoi umanitari proposti nelle varie bozze di risoluzione sono visti come la chiave per evitare una crisi di proporzioni ancora maggiori e per assicurare la protezione dei civili, spesso vittime di bombardamenti indiscriminati e operazioni militari che hanno già mietuto decine di migliaia di vittime.
Una partita diplomatica ancora aperta
La controversia internazionale attorno allo status di Gaza si intensifica. Il piano di Trump garantisce all’Autorità Palestinese la possibilità di riformarsi, ma la supervisione americana viene vista con sospetto dalle nazioni non-allineate e dai principali partner arabi. Il documento russo, invece, enfatizza il ruolo primario delle Nazioni Unite e la necessità di una mediazione non imposta, fatta di dialogo reale e tutela dei diritti, con la richiesta esplicita di evitare ogni forma di radicalismo, estremismo e razzismo che possa minare il futuro della regione. La proposta di una forza internazionale di stabilizzazione, seppure appoggiata da molti, resta soggetta a tensioni geopolitiche, mentre il mondo segue con apprensione la sorte della popolazione civile sotto assedio e le ripercussioni sugli equilibri dell’intero Medio Oriente.
La partita diplomatica è tutt’altro che conclusa. Le prossime settimane saranno decisive per comprendere se le diverse anime del Consiglio di Sicurezza dell’ONU riusciranno a convergere su una soluzione realmente inclusiva per la crisi di Gaza. La prospettiva di uno Stato palestinese appare per la prima volta formalmente accolta da Washington nel testo di una risoluzione, ma questo non basta a placare le diffidenze di Mosca, di Pechino e delle capitali arabe, tutte unite dal timore che la supervisione esterna non porti a una pace stabile, ma a una nuova stagione di instabilità e tensione.


