La bozza in 28 punti consegnata a Zelensky è chiarissima: Crimea, Donbass intero, Kherson e Zaporizhzhia congelati lungo la linea attuale restano alla Russia; Kiev rinuncia per sempre alla NATO, riduce drasticamente l’esercito, accetta una zona demilitarizzata e garanzie USA “à la carte” ma non l’Articolo 5.
In cambio, sanzioni revocate, beni russi congelati usati per ricostruire l’Ucraina e Mosca rientra nel salotto buono (G8, accordi nucleari, cooperazione energetica e tecnologica con Washington).Il messaggio geopolitico è brutale e cristallino: chi invade con la forza e resiste tre anni ottiene ciò che vuole. Punto. La Russia ha perso 600.000 uomini tra morti e feriti gravi (dati Intelligence USA e UK), ha speso oltre 200 miliardi di dollari, è stata isolata economicamente, ma alla fine tiene il 20% del territorio ucraino e blocca l’espansione NATO.
Ha vinto sul campo, anche se a un costo mostruoso.
Zelensky piange “perdita di dignità” perché sa che firmare significa ammettere la sconfitta militare e politica dopo aver giurato “nemmeno un centimetro”. Ma l’alternativa è perdere anche il sostegno USA: Trump ha già fatto capire che senza accordo i rubinetti si chiudono.
L’Europa da sola non regge più il peso (Germania in recessione, Francia che litiga sui missili, Polonia che teme di essere la prossima).
L’Occidente collettivo, dopo aver pompato 200 miliardi di aiuti e aver promesso “fino alla vittoria”, adesso scarica Kiev con un’alzata di spalle: “pace ora, a qualunque costo”.
L’ipocrisia è totale: per trent’anni abbiamo ripetuto “mai ricompensare l’aggressione”, poi arriva il primo aggressore che tiene duro e il principio svanisce.
La pace è sempre preferibile alla guerra, ma questa pace insegna una lezione pericolosa al mondo: se sei disposto a pagare in sangue e a resistere abbastanza a lungo, alla fine l’Occidente cede.
Taiwan, Moldavia, Paesi Baltici e chiunque altro stanno prendendo appunti. Il vincitore morale è Putin: ha dimostrato che la forza paga ancora.


