Punti chiave
Le perquisizioni contro il capo di gabinetto di Zelenskyy aprono una nuova fase politica nel mezzo del conflitto. Mentre i partner occidentali chiedono trasparenza e Mosca osserva da lontano, l’Ucraina affronta una doppia sfida: vincere sul fronte militare e resistere a un test interno di credibilità istituzionale.
Un allarme inatteso nel cuore del potere
La mattina del 28 novembre 2025 ha segnato una svolta imprevista nella già complessa situazione ucraina. Gli investigatori delle agenzie anticorruzione NABU e SAPO hanno fatto irruzione nella residenza privata di Andriy Yermak, il capo di gabinetto del presidente Zelenskyy e uno degli uomini più influenti del Paese. La notizia, confermata immediatamente da Reuters e rilanciata in poche ore dai principali giornali internazionali, è stata un fulmine politico in un momento in cui la leadership ucraina stava tentando di presentarsi compatta nel dialogo con Stati Uniti ed Europa sulle prospettive di un possibile piano di pace.
Yermak ha riconosciuto pubblicamente la perquisizione, dichiarando cooperazione piena. Ma la trasparenza iniziale non ha calmato il dibattito.
La domanda centrale riguarda la natura dell’indagine, che secondo fonti ufficiali rientra nel gigantesco caso Energoatom, lo scandalo da cento milioni di dollari che coinvolge appalti, contratti di fornitura e reti di intermediari sospettati di avere drenato fondi destinati al settore energetico e alla gestione delle emergenze infrastrutturali.La perquisizione a un livello così alto dello Stato è qualcosa che in Ucraina non accadeva da anni. E accade proprio ora, nel momento in cui Kyiv tenta di mostrare al mondo la propria maturità istituzionale.
La guerra come sfondo e amplificatore
Il contesto in cui esplode questo scandalo rende tutto ancora più delicato. Da un lato l’esercito ucraino combatte su un fronte vastissimo, con linee logistiche sotto pressione e continue richieste di aiuti a Stati Uniti ed Europa. Dall’altro la questione dei negoziati è tornata centrale, con il Guardian che ha riportato nuove dichiarazioni del Cremlino sulla possibilità di un cessate il fuoco solo in presenza di concessioni territoriali da parte di Kyiv.
In questo scenario complesso, l’Ucraina deve convincere gli alleati che gli enormi flussi finanziari inviati per sostenere la guerra e la ricostruzione non rischiano di evaporare nel sistema corruttivo ereditato da decenni di instabilità politica. È un compito gigantesco. E l’indagine su Energoatom, oltre a colpire simbolicamente la gestione del settore più strategico dell’economia ucraina, segnala che lo Stato è disposto a procedere anche contro i propri vertici.

Molti osservatori internazionali hanno letto questa operazione come un segno di forza istituzionale. Ma la forza, in tempi di guerra totale, è sempre fragile. Ciò che può essere visto come coraggio in Occidente rischia di diventare un fattore di destabilizzazione interna se non verrà gestito con rigore, trasparenza e continuità.
Il nodo Energoatom e la lunga scia dei sospetti
Lo scandalo Energoatom non nasce oggi. L’inchiesta, iniziata più di un anno fa e denominata Operation Midas, aveva già prodotto decine di perquisizioni, intercettazioni e accuse formali contro dirigenti e intermediari. Il quadro tracciato dagli inquirenti descrive un sistema parallelo che sfruttava le vulnerabilità del settore energetico in pieno conflitto. La guerra ha amplificato la fragilità della rete elettrica, obbligando lo Stato a correre per ottenere generatori, forniture e investimenti esteri.
Le emergenze logistiche e la necessità di risposte rapide hanno aperto enormi spazi ai corruttori.Secondo NABU, una parte consistente dei fondi destinati all’emergenza energetica sarebbe stata dirottata attraverso società di copertura, fornitori fantasma e contratti privi di reale giustificazione tecnica. La cifra citata, cento milioni di dollari, non è casuale. Rappresenta un simbolo drammatico di ciò che accade quando un Paese in guerra si trova a dover affrontare i propri punti deboli interni mentre fronteggia un nemico esterno.
Il coinvolgimento indiretto dell’ufficio presidenziale non è ancora provato. Al momento Yermak non risulta formalmente accusato, ma la perquisizione è un segnale che le agenzie vogliono andare fino in fondo, anche se questo significa toccare il cuore del potere politico.
Il significato politico della perquisizione
Che Kyiv avesse un problema di corruzione sistemica è noto da tempo. È una parte della storia dello Stato post sovietico. Ma la novità è che ora questa battaglia non può più essere rimandata. La perquisizione contro Yermak rappresenta un messaggio preciso rivolto a tre pubblici differenti.Il primo pubblico è interno. La società ucraina, provata dalla guerra e dalle difficoltà economiche, ha bisogno di vedere che le élite non sono intoccabili. L’ingiustizia interna, in un periodo di sacrifici enormi, sarebbe un veleno politico.
Il secondo pubblico è quello occidentale. Stati Uniti ed Europa chiedono trasparenza come condizione per continuare a sostenere il Paese. Senza progressi convincenti nella lotta alla corruzione, i flussi di aiuti rischiano di essere messi in discussione.Il terzo pubblico è Mosca, che osserva. Ogni fragilità istituzionale ucraina diventa materiale per la propaganda russa. Ogni segnale di pulizia interna può essere usato, al contrario, per mostrare che lo Stato ucraino è capace di mantenere l’ordine anche sotto attacco.
La reazione del governo e la battaglia per la credibilità
Zelenskyy ha sempre presentato la lotta alla corruzione come parte centrale della sua presidenza. Prima della guerra aveva lanciato campagne simboliche contro oligarchi e sistemi clientelari. Ora è chiamato a dimostrare che quel messaggio vale anche nei momenti più critici.
La perquisizione a uno dei suoi collaboratori più stretti potrebbe essere interpretata come un colpo politico devastante. Ma potrebbe anche trasformarsi in un segnale di forza, se gestita con equilibrio. L’importante è che non si trasformi in un braccio di ferro interno tra istituzioni anticorruzione e potere esecutivo.La credibilità dello Stato è in gioco. La trasparenza non è una questione morale, ma strategica. In un Paese che dipende dagli aiuti internazionali, la capacità di dimostrare rigore amministrativo vale quanto un successo militare.

Il peso internazionale della vicenda
La tempistica dell’operazione anticorruzione non passa inosservata. In questi stessi giorni Stati Uniti ed Europa hanno intensificato la pressione su Kyiv per valutare forme di compromesso diplomatico con Mosca. Il segnale inviato dal Cremlino, secondo cui un dialogo sarebbe possibile solo se l’Ucraina riconoscesse la perdita dei territori, ha riacceso un confronto internazionale assai teso.
In questo contesto, l’indagine su Yermak rischia di avere un impatto geopolitico indirettissimo ma reale. Gli alleati vogliono una leadership stabile e credibile, in grado di prendere decisioni difficili e di garantire una continuità istituzionale. Uno scandalo così sensibile potrebbe diventare un ostacolo ai negoziati o al contrario un incentivo a chiudere rapidamente le controversie interne.
La guerra e le riforme, in Ucraina, sono destinate a procedere insieme. Ed è proprio questa sovrapposizione che rende il momento presente straordinariamente delicato.
Che cosa rappresenta davvero questo scandalo
La perquisizione a Yermak è un punto di svolta. Non per ciò che accade oggi, ma per ciò che può accadere domani.Se l’indagine prosegue con trasparenza, indipendenza e rigore, l’Ucraina può rafforzare la propria immagine internazionale e la fiducia dei cittadini nel proprio Stato. Può dimostrare che lo Stato di diritto non si sospende neppure sotto i bombardamenti.Se invece l’inchiesta diventa uno strumento politico o se finisce soffocata dai giochi di potere, il danno sarà enorme. La percezione esterna potrebbe indebolirsi.
La coesione interna potrebbe frantumarsi. E il Paese si troverebbe a combattere due guerre insieme: una contro la Russia e una contro se stesso.Oggi l’Ucraina è nel mezzo di una fase decisiva. L’esito di questa inchiesta non riguarda solo Yermak o il governo. Riguarda la credibilità dello Stato, la sua capacità di modernizzarsi, la fiducia degli alleati e la possibilità di continuare a resistere non solo militarmente, ma politicamente e moralmente.


