Punti chiave
L’alba del conflitto diretto tra Israele e Iran potrebbe essere già cominciata, non con una dichiarazione ufficiale di guerra, ma con una serie di attacchi chirurgici, tecnologicamente sofisticati e politicamente incendiari. Per la prima volta, Israele ha sferrato un’offensiva coordinata e simultanea contro i tre principali siti nucleari iraniani: Natanz, Isfahan e Fordow. Un’operazione di precisione, dal potenziale devastante, che ha segnato un punto di svolta nello scontro tra due potenze regionali ormai apertamente in rotta di collisione.
Dietro l’azione militare, l’obiettivo – esplicito – è stato uno solo: rallentare, se non disintegrare, il controverso programma nucleare iraniano, che secondo l’intelligence israeliana è ormai prossimo alla realizzazione di un’arma atomica. “Siamo a un punto chiave: se non ci riusciamo, non avremo modo di impedire all’Iran di sviluppare armi nucleari che minacceranno la nostra esistenza”, ha dichiarato senza mezzi termini il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz. Parole che suonano come una giustificazione premeditata a un’azione che ha pochi precedenti nella storia recente del Medio Oriente.
L’attacco a Natanz: cuore tecnologico e simbolico del programma nucleare iraniano
Il sito di Natanz è uno dei più noti e sorvegliati dell’Iran. Situato nel centro del Paese, rappresenta il fulcro delle attività di arricchimento dell’uranio, un processo necessario per produrre combustibile nucleare e, in forma più avanzata, materiale da bomba.
Secondo fonti israeliane e statunitensi, l’attacco ha avuto un successo significativo. Due funzionari americani, citati dalla CNN, parlano di un’operazione estremamente efficace: l’infrastruttura elettrica che alimenta le centrifughe sotterranee sarebbe stata completamente distrutta, lasciando al buio i livelli inferiori dove si svolgono le operazioni più sensibili. Un colpo strategico, perché molte strutture di Natanz sono fortificate e interrate: colpirle direttamente è difficile, ma interromperne l’alimentazione elettrica equivale a paralizzarle.
La distruzione ha riguardato anche l’impianto pilota di arricchimento e sei edifici fuori terra. L’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) ha confermato che l’impianto ha subito danni importanti e che all’interno si registrano contaminazioni radiologiche e chimiche. Tuttavia, l’agenzia ha rassicurato sull’assenza di impatti radioattivi esterni al sito. Nonostante questo, la morte di nove esperti nucleari iraniani è stata confermata da Teheran, che però minimizza i danni e mantiene la linea ufficiale: il programma è pacifico e sotto supervisione internazionale.
L’azienda statunitense Umbra ha fornito immagini radar che mostrano chiaramente la portata dei danni: colonne di fumo nero si alzano da più punti, mentre altre foto satellitari analizzate da esperti indicano una distruzione sistematica delle infrastrutture energetiche e logistiche.
Isfahan: la complessità di una struttura multidisciplinare
Se Natanz è il braccio operativo, Isfahan può essere considerato il cervello del programma nucleare iraniano. Qui si concentra la ricerca scientifica, lo sviluppo delle tecnologie e la produzione di combustibile.
Il sito è stato colpito duramente, almeno secondo le fonti israeliane. Un funzionario dell’IDF (Forze di Difesa Israeliane) ha dichiarato durante un briefing che “i danni sono stati ingenti”, sostenendo di avere prove concrete del fatto che l’Iran stesse “procedendo verso una bomba nucleare” proprio attraverso questo impianto.
L’Iran ha invece dichiarato che i danni sono stati limitati, che le attrezzature principali erano già state spostate prima dell’attacco, e che solo un capannone è andato a fuoco. Nessun rischio di contaminazione, secondo Teheran. Tuttavia, le dimensioni del sito e la sua importanza strategica lasciano intendere che anche un danno parziale possa avere effetti rilevanti.
Costruito con l’aiuto della Cina e operativo dal 1984, Isfahan è il più grande centro di ricerca nucleare del Paese. Ospita tre reattori forniti da Pechino, un impianto di conversione dell’uranio, uno per la produzione di combustibile, un centro di rivestimento in zirconio e numerosi laboratori. Ci lavorano circa 3.000 scienziati. L’organizzazione Nuclear Threat Initiative, tra le più autorevoli in materia, sospetta che proprio qui sia situato il cuore scientifico del programma nucleare iraniano.
Fordow: il bunker tra le montagne
Il terzo bersaglio dell’offensiva è Fordow, il sito più misterioso e inaccessibile. Situato nei pressi di Qom e protetto dalle montagne, è un impianto sotterraneo costruito per resistere ad attacchi aerei. Qui si arricchisce uranio ad altissima purezza, in alcuni casi vicino all’83,7%, secondo quanto rilevato dall’AIEA nel 2023. Livelli che si avvicinano pericolosamente al 90%, la soglia per uso militare.
Israele ha provato a colpire anche Fordow, ma secondo l’AIEA il sito non ha subito danni. Le forze iraniane hanno dichiarato di aver abbattuto un drone israeliano nei pressi della struttura. L’IDF non ha rivendicato danni diretti.
Secondo James M. Acton, esperto del Carnegie Endowment for International Peace, Fordow è il vero ago della bilancia. Se resterà operativo, l’intero attacco israeliano rischia di non alterare sostanzialmente il progresso dell’Iran verso la bomba. Acton ipotizza che Israele potrebbe tentare di far crollare gli ingressi della struttura, ma distruggere l’impianto nel suo complesso richiederebbe capacità belliche ben superiori.
Israele cambia strategia: dal contenimento all’attacco diretto
Per anni Israele ha adottato una strategia di contenimento: colpire indirettamente, sabotare, rallentare. Attacchi informatici, eliminazioni mirate di scienziati, pressioni diplomatiche. Ma il salto di qualità è evidente: ora si passa all’attacco diretto.
Secondo Israele, i negoziati internazionali sul nucleare si sono dimostrati inefficaci, e il tempo è scaduto. Il programma nucleare iraniano è avanzato, capillare, distribuito su più siti e dotato di fortificazioni difficili da penetrare. Di fronte a questo scenario, l’azione militare è diventata, per Tel Aviv, una scelta obbligata.
L’Iran, dal canto suo, continua a dichiarare che il proprio programma ha scopi esclusivamente civili. Ma le prove tecniche, i livelli di arricchimento dell’uranio e le strutture segrete alimentano sospetti sempre più solidi.
L’entità reale dei danni – al di là delle dichiarazioni ufficiali – emergerà solo con il tempo. Ma gli effetti politici sono già evidenti. L’equilibrio del Medio Oriente è più fragile che mai. Le reazioni internazionali sono ancora contenute, ma l’ombra di un conflitto aperto incombe.
Israele ha alzato la posta. L’Iran dovrà decidere se rispondere militarmente o giocare la carta della diplomazia. Nel frattempo, la comunità internazionale si trova di fronte a una scelta complessa: rimanere spettatrice o intervenire per evitare che una guerra silenziosa diventi una guerra totale.