10 Settembre 2025
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Israele sotto accusa: la Corte Suprema ordina cibo sufficiente per i detenuti palestinesi

In una decisione rara e significativa, la Corte Suprema di Israele ha stabilito che il governo ha fallito nel garantire una nutrizione sufficiente ai detenuti palestinesi nelle sue carceri, imponendo alle autorità di migliorare le condizioni alimentari per assicurare il minimo indispensabile per la sopravvivenza. Questa sentenza rappresenta un momento di grande rilievo, considerando che, durante il conflitto durato quasi due anni con Gaza, la Corte aveva generalmente evitato di intervenire contro le azioni del governo e delle forze militari.

Da quasi due anni, migliaia di palestinesi sono stati detenuti in Israele, sospettati di legami con Hamas o altre attività considerate minacciose per la sicurezza dello Stato. Molti di loro sono stati rilasciati senza accuse dopo lunghi periodi di detenzione, ma le testimonianze di organizzazioni per i diritti umani denunciano condizioni durissime nelle prigioni e nei centri di detenzione. Queste includono forniture di cibo insufficienti, mancanza di cure mediche adeguate, condizioni igieniche pessime e casi di abusi fisici. Un esempio drammatico è quello di un ragazzo palestinese di 17 anni, morto lo scorso marzo in un carcere israeliano: è probabile che la fame sia stata la principale causa del decesso.

La sentenza della Corte Suprema arriva in risposta ad una causa presentata lo scorso anno dall’Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI) e dall’organizzazione israeliana Gisha, che hanno denunciato un cambiamento nelle politiche alimentari applicate dopo l’inizio del conflitto a Gaza, le quali hanno portato a una situazione di severa malnutrizione e anche di fame tra i detenuti. Secondo un membro del governo, Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale e responsabile del sistema carcerario, le condizioni imposte ai detenuti di sicurezza sono state ridotte al minimo assoluto consentito dalla legge israeliana.

La Corte, con una decisione unanime, ha affermato che lo Stato ha l’obbligo legale di fornire ai detenuti un’alimentazione sufficiente per garantire «un livello di esistenza di base». In una sentenza con il voto favorevole di due giudici su tre, la Corte ha evidenziato che vi sono forti dubbi sull’effettiva adeguatezza del cibo attualmente fornito ai prigionieri, definendo necessarie misure immediate per assicurare che il sostentamento rispetti le condizioni minime imposte dalla legge. La Corte ha sottolineato che la questione non riguarda certo «un vivere in modo confortevole o di lusso», ma solo le condizioni essenziali richieste per la sopravvivenza secondo la normativa vigente.

La decisione ha suscitato reazioni forti e contrastanti. Il Ministro Ben-Gvir ha criticato aspramente la sentenza, accusando la Corte di schierarsi a sfavore dell’Israele e a favore dei militanti di Hamas, mentre migliaia di ostaggi israeliani soffrono a Gaza senza assistenza. Ha ribadito la volontà di mantenere la politica secondo la quale garantire solo le condizioni minime richieste dalla legge ai detenuti palestinesi.

Dall’altra parte, l’Associazione per i Diritti Civili in Israele ha esortato all’immediata applicazione della sentenza, accusando il sistema carcerario di Israele di aver trasformato le prigioni in veri e propri «campi di tortura». Gli attivisti hanno ribadito con forza che «uno Stato non deve far soffrire la fame alle persone, indipendentemente dalle loro azioni». Le organizzazioni per i diritti umani richiedono un cambiamento immediato, ricordando che il diritto internazionale e la legislazione nazionale impongono che anche i prigionieri ricevano un trattamento umano e dignitoso.

Nel contesto più ampio del conflitto, l’attenzione anche sul fronte di Gaza è alta: la popolazione civile sta affrontando condizioni di carestia peggiorate dalle azioni militari israeliane e dalle restrizioni imposte. Il settore sanitario locale segnala decessi quotidiani dovuti a malnutrizione, aggravando ulteriormente la crisi umanitaria. Questi dati sottolineano la tensione crescente sia dentro che fuori dalle carceri israeliane, rendendo la sentenza ancor più significativa nel contesto delle legittime aspettative di rispetto dei diritti umani fondamentali.

Questa sentenza della Corte Suprema israeliana arriva quindi come un monito legale e morale in una situazione di guerra prolungata e difficilmente gestibile, evidenziando la responsabilità dello Stato verso tutti i detenuti, anche in situazioni di conflitto. Mentre le istituzioni cercano di bilanciare la sicurezza nazionale con il rispetto dei diritti umani, il caso di questi detenuti palestinesi rappresenta un banco di prova fondamentale per la giustizia e l’etica nel trattamento dei prigionieri.

Le implicazioni di questa sentenza sono molteplici: da una parte, si pone un limite chiaro alle politiche di restrizione alimentare attuate come strumento punitivo o di pressione; dall’altra, si apre uno spazio per un confronto più ampio sulla trasparenza e il controllo delle condizioni carcerarie in Israele, specialmente nella gestione dei detenuti palestinesi. Il dibattito pubblico che ne deriva è cruciale per capire come uno Stato democratico possa applicare la legge e i diritti anche nei momenti di emergenza.

In questo scenario così complesso, la decisione della Corte si distingue come un segnale forte di rispetto dei diritti umani. Garantire un’alimentazione adeguata non è soltanto un obbligo formale, ma un imperativo morale che riflette la base stessa della dignità umana, anche per chi è detenuto in condizioni di guerra. Proprio per questo, la sentenza non può essere vista come un semplice atto giuridico, ma come un appello a non perdere l’umanità in tempo di crisi.

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