25 Ottobre 2025
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La “Flotta d’Oro” di Trump: nasce l’ambizioso piano del dominio marittimo americano

In una mossa che promette di ridefinire il futuro della marina militare americana, il presidente Donald Trump ha approvato i primi passi di un vasto piano di ammodernamento navale, destinato a trasformare radicalmente la struttura e la potenza della flotta statunitense. Il progetto, battezzato “Golden Fleet”, rappresenta il cuore della nuova strategia marittima dell’amministrazione, concepita per affrontare le crescenti sfide poste dalla Cina e da altre potenziali potenze rivali.

Secondo fonti vicine alla Casa Bianca e al Pentagono, Trump ha partecipato personalmente alle discussioni con gli alti vertici della Marina, mostrando un interesse costante e diretto nella progettazione delle nuove navi. Già in passato, il presidente aveva espresso pubblicamente il proprio dissenso verso l’aspetto dei moderni cacciatorpediniere americani, giudicandoli privi di “carattere e potenza visiva”. Oggi, la sua visione prende forma in un piano destinato non solo a rafforzare la difesa, ma anche a imprimere un marchio simbolico sul futuro della flotta: una rinascita tecnologica e stilistica in grado di rappresentare il potere americano in mare aperto.

La “Flotta d’Oro” comprenderà grandi navi da guerra con armamenti a lungo raggio e una nuova generazione di unità più leggere, come corvette e fregate avanzate. Tra le proposte più audaci si distingue una manovra per la costruzione di una nave pesantemente corazzata, del peso compreso tra le 15.000 e le 20.000 tonnellate, capace di imbarcare un numero mai visto di missili convenzionali e ipersonici. Lo scopo è chiaro: raggiungere una potenza di fuoco che possa eguagliare, se non superare, la deterrenza delle antiche corazzate della Seconda Guerra Mondiale.

Bryan Clark, ex ufficiale della Marina e oggi ricercatore senior presso l’Hudson Institute, ha spiegato che la nuova logica ricalca quella dei cannoni a lunga gittata del passato: “Nell’era dei missili, ciò che conta non è più la corazza ma la capacità di colpire a distanza.” In un mondo in cui la tecnologia ipersonica e i sistemi automatizzati stanno riscrivendo le regole della guerra navale, Trump sembra voler scommettere su una combinazione di forza bruta e innovazione tecnologica.

Già durante il suo primo mandato, Trump aveva manifestato il desiderio di riportare la Marina a uno standard di grandezza paragonabile a quello dell’epoca d’oro americana, auspicando una flotta da 355 navi operative. Sebbene quel progetto non avesse trovato piena attuazione prima della fine del suo mandato, oggi il nuovo piano spinge in una direzione ancora più ambiziosa: meno navi nel complesso, ma più potenti e interconnesse, con capacità autonome e armamenti avanzati.

La strategia non si limita alla costruzione di mezzi tradizionali. Il Pentagono e la Marina stanno lavorando a un modello “ibrido”, che unisce navi con equipaggio a sistemi robotici e autonomi. Tali unità senza pilota – sottomarini, droni di superficie e velivoli marittimi – agiranno come scudo avanzato per la flotta principale, garantendo una copertura continua e riducendo i rischi umani in teatri critici come il Mar Cinese Meridionale. Il concetto, in parte ispirato alla dottrina “Hellscape” sviluppata dal Comando Indo-Pacifico, mira a inondare di mezzi automatizzati eventuali zone di conflitto, ritardando le offensive e fornendo vantaggio tattico in caso di crisi con Pechino.

La Cina, nel frattempo, continua ad accelerare la costruzione di nuove navi da guerra e l’aggiornamento di quelle esistenti. Per questo motivo, l’amministrazione Trump ritiene che solo una flotta dotata di missili a lunghissima gittata possa mantenere la superiorità strategica nel Pacifico. Anche l’ammiraglio Samuel Paparo, oggi a capo del Comando Indo-Pacifico, ha discusso pubblicamente dell’importanza di creare un “equilibrio di deterrenza” che combini potenza convenzionale e tecnologia autonoma.

Alla Casa Bianca, la portavoce Anna Kelly ha riaffermato che il presidente ha già compiuto passi senza precedenti per rafforzare il predominio marittimo americano. Tra questi, l’istituzione di un ufficio dedicato alla costruzione navale, un investimento di oltre 43 miliardi di dollari e un accordo con la Finlandia per la realizzazione di 11 nuovi cutter artici. “Il presidente ha fatto più di chiunque altro per rilanciare il potere marittimo degli Stati Uniti”, ha dichiarato Kelly, annunciando che ulteriori dettagli sul programma saranno resi noti nei prossimi mesi.

Non tutti, però, condividono la visione presidenziale. Alcuni esperti mettono in guardia dai rischi economici e strategici di una flotta “troppo grande, troppo presto”. Mark Montgomery, ex ufficiale e analista della Foundation for Defense of Democracies, ha sottolineato la necessità di concentrare gli sforzi sulla modernizzazione dei cantieri navali e sulla manutenzione delle navi esistenti. “Sono favorevole a un ripensamento completo della flotta,” ha detto, “ma non è detto che una nave di superficie gigantesca sia la risposta più efficace.”

La questione estetica, che il presidente considera parte integrante dell’immagine militare americana, resta un punto controverso. Trump ha già chiesto modifiche al design delle fregate di classe Constellation e in passato aveva invocato il ritorno alle catapulte a vapore sulle portaerei, simbolo di un’epoca in cui la potenza industriale americana si esprimeva anche attraverso l’imponenza delle sue macchine belliche. Le sue critiche alle linee “troppo moderne” dei cacciatorpediniere Arleigh Burke riflettono una visione in cui la tecnologia deve sposarsi con la simbologia della forza visibile e del prestigio nazionale.

La “Golden Fleet” non sarà soltanto un progetto tecnico, ma anche culturale e politico. Trump vuole restituire alla Marina un ruolo di leadership globale, concentrando risorse, industria e immaginario collettivo sul mare come nuovo campo di competizione strategica. Il programma prevede la collaborazione con partner stranieri per la costruzione delle navi più leggere, come nel caso di Israele, il cui modello di corvetta classe Sa’ar 6 potrebbe fungere da base per una versione americana.

Dentro la Marina, la sensazione predominante è che le intuizioni del presidente abbiano trovato terreno fertile tra i vertici militari. Bryan Clark ha spiegato che gli esercizi di guerra condotti negli ultimi anni hanno evidenziato le debolezze della flotta attuale, incapace di rispondere con efficienza alle minacce moderne, dagli attacchi dei droni Houthi nel Mar Rosso fino ai sofisticati sistemi missilistici cinesi. Da qui nasce un concetto operativo definito “a bilanciere”: una flotta composta da poche navi capitali potentemente armate e da una moltitudine di piccole unità agili e automatizzate.

Trump, noto per la sua attenzione personale ai dettagli, invia messaggi diretti ai vertici della Marina anche nel cuore della notte, chiedendo aggiornamenti sullo stato dei cantieri e lamentandosi delle condizioni delle navi arrugginite. Il segretario della Marina John Phelan ha confermato l’impegno costante del presidente, che considera il mare uno dei pilastri della politica di sicurezza americana.

Non è un segreto che la costruzione di nuove navi di grande tonnellaggio richiederà anni, forse più di un decennio. Ma Trump intende posare fin d’ora le fondamenta di una trasformazione destinata a definire l’era delle “battleship digitali”, moderne eredi delle leggendarie corazzate della classe Iowa. La loro realizzazione richiederà almeno cinque anni di progettazione e altri sette di costruzione, ma gli analisti sostengono che la visione presidenziale punti oltre i confini temporali del suo mandato.

Nel frattempo, la Marina si prepara a rinnovare il proprio equilibrio interno, riducendo progressivamente la dipendenza dalle vecchie classi di navi e destinando maggiori fondi alla ricerca. La “Flotta d’Oro” è tanto un progetto industriale quanto un manifesto politico, un modo per riaffermare che il dominio del mare resta la chiave della supremazia globale statunitense.

La sfida lanciata da Trump non riguarda solo la forma delle nuove navi, ma la sostanza del potere navale americano. In gioco c’è il ritorno della simbologia della forza, una visione che fonde estetica, potenza e tecnologia nella convinzione che il prestigio marittimo degli Stati Uniti debba brillare ancora, come un riflesso dorato sull’oceano del futuro.

Laura Antonelli
Laura Antonellihttps://www.alground.com
Esperta di diritto sul web e del mondo Microsoft, Antonella fa parte di importanti associazioni internazionali per la sicurezza delle reti e l'hardening dei sistemi.
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