A metà agosto 2025, alla Joint Base Lewis-McChord, nello stato di Washington, l’esercito degli Stati Uniti ha fatto un passo decisivo nella trasformazione digitale del campo di battaglia. Per la prima volta si è svolta una Special User Demonstration, cioè una dimostrazione operativa in cui reparti militari effettivi, non tecnici o riservisti, hanno messo alla prova i nuovi sistemi chiamati Launched Effects – Short Range. Non si è trattato di un semplice test tecnico, ma di una prova sul campo che ha visto soldati in servizio attivo usare direttamente queste piattaforme in scenari realistici.
I Launched Effects – Short Range sono strumenti autonomi che possono essere lanciati da un operatore o da altri sistemi più grandi. Servono a svolgere missioni di ricognizione, disturbo delle comunicazioni nemiche e, se necessario, attacco. Sono definiti “ibridi” perché uniscono due concetti finora separati: da un lato il drone, cioè un velivolo senza pilota usato per osservare o colpire, e dall’altro la munizione loitering, un’arma capace di restare in volo sopra una zona anche per diverso tempo, in attesa di un obiettivo da colpire. In pratica, si tratta di un sistema che può fare sorveglianza continua, raccogliere informazioni e allo stesso tempo intervenire in maniera offensiva, aumentando la rapidità d’azione e riducendo i rischi per i soldati.
L’obiettivo dell’esercito americano è chiaro: arrivare entro il 2027 a una vera e propria “drone dominance”, cioè a un dominio basato sull’uso massiccio e diffuso di piattaforme autonome in tutti i reparti. Per raggiungere questo traguardo è stata avviata l’Army Transformation Initiative, un programma che punta a cambiare radicalmente il modo in cui vengono acquistate e testate le nuove tecnologie militari. Invece dei tradizionali processi lenti e burocratici, con anni di sviluppo in laboratorio, i nuovi sistemi vengono messi subito nelle mani dei soldati, così che il loro feedback diretto – cioè le impressioni e i suggerimenti raccolti durante l’uso – possa guidare in tempo reale modifiche e miglioramenti.
Durante la dimostrazione, sono stati provati tre diversi modelli: il Coyote Block 3 prodotto da RTX, l’Altius 600 dell’azienda Anduril e l’Atlas della AEVEX Aerospace. Le unità hanno seguito un programma intenso in tre fasi: una prima settimana di formazione tecnica, una seconda dedicata ai voli di prova e una terza con esercitazioni tattiche complesse, in cui più droni venivano coordinati insieme. I soldati coinvolti hanno sottolineato come il passaggio dal simulatore alla realtà sia stato naturale: i sistemi risultano intuitivi e utili, soprattutto nella possibilità di combinare droni ricognitori e droni d’attacco, aumentando precisione e sicurezza.
Anche i comandanti hanno evidenziato un punto importante: questi test non servono solo a imparare a usare una nuova tecnologia, ma a immaginare nuovi modi di combattere. Un drone, infatti, non è soltanto uno strumento aggiuntivo: può trasformare la logica stessa di pianificazione e gestione della battaglia.
Per dare continuità al progetto, alcune unità hanno mantenuto in dotazione i sistemi testati, così da proseguire l’addestramento e fornire dati preziosi. Inoltre, il programma è stato inserito in una procedura di acquisizione accelerata, chiamata urgent capability acquisition pathway. Questo meccanismo speciale consente di introdurre rapidamente tecnologie ritenute strategiche, senza attendere i lunghi tempi di sviluppo tipici dei programmi militari.
Un aspetto fondamentale dei Launched Effects è la loro modularità. Significa che i vari componenti – dai sistemi di lancio ai controller di volo – sono pensati per essere sostituibili e aggiornabili come pezzi di un puzzle. Così, se una nuova tecnologia arriva sul mercato, può essere integrata facilmente senza dover rifare da zero l’intero sistema. L’idea è quella di costruire una struttura “plug-and-play”, simile a ciò che avviene con i software sui nostri computer o smartphone.
Il maggiore Chris Dudley, uno dei responsabili del programma, ha spiegato che la filosofia è ribaltata rispetto al passato: non si aspetta di avere un sistema “perfetto” prima di consegnarlo ai reparti, ma si dà subito ai soldati un prototipo funzionante, per poi perfezionarlo strada facendo.
Il risultato di questa nuova strategia è duplice: da un lato velocizza l’adozione dei droni in combattimento, dall’altro mantiene aperta la competizione tra le aziende produttrici, così da non restare vincolati a un solo fornitore. Ogni sei mesi, infatti, i modelli disponibili vengono rivalutati, in modo da scegliere sempre la soluzione migliore.
La dimostrazione di Joint Base Lewis-McChord ha segnato una svolta: non solo tecnologica, con l’introduzione di sistemi che uniscono ricognizione e capacità d’attacco in una sola piattaforma, ma anche organizzativa, con un nuovo modo di sviluppare e adottare innovazioni militari. La combinazione di coinvolgimento diretto dei soldati, processi rapidi e apertura all’innovazione continua rappresenta oggi la chiave con cui gli Stati Uniti puntano a mantenere un vantaggio decisivo nella guerra del futuro, sempre più segnata dall’impiego massiccio della robotica e dell’intelligenza artificiale.