28 Novembre 2025
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Le ultime parole di Putin scuotono il tavolo di pace per l’Ucraina

Nel suo intervento di fine novembre a Bishkek, il presidente russo rilancia la retorica, ormai ben nota, della resa territoriale come premessa di ogni trattato. Dietro la cortina diplomatica si muovono eserciti, interessi energetici e una partita geopolitica con l’Occidente tutta da giocare.

I segnali di apertura… con condizioni inaccettabili

Il 27 novembre 2025, durante un summit tra ex repubbliche sovietiche a Bishkek, Vladimir Putin ha dichiarato che il recente piano di pace elaborato dagli Stati Uniti con l’Ucraina potrebbe “formare la base di futuri accordi”. La frase, acquisita da fonti Reuters e ampiamente rilanciata dalla stampa internazionale, suona come un’apertura formale. Eppure la concessione nasconde un meccanismo di pressione: Putin ha chiarito che la cessazione delle ostilità è subordinata al ritiro immediato delle forze ucraine dai territori contestati.

Ha aggiunto che se Kyiv non accetterà questo passaggio, «la Russia realizzerà i suoi obiettivi con la forza». La leadership ucraina, e con essa molti governi europei, ha risposto con fermezza: nessuna concessione territoriale è considerata accettabile. Il presidente Volodymyr Zelenskyy ha ribadito che la sovranità nazionale e l’integrità dei confini restano non negoziabili.

La contraddizione è chiara: diplomazia e guerra scorrono parallele, in un flusso continuo di annunci politici e offensive sul terreno. Putin sembra puntare a diluire la linea del fronte con trattative che mantengano per la Russia il vantaggio della forza.

Europa e Stati Uniti sul filo: il piano riformulato e il veto del Cremlino

La bozza originale di 28 punti, elaborata sotto l’egida USA, prevedeva concessioni su territori contestati, limiti all’esercito ucraino e l’espulsione di ogni forza NATO futura. Quella versione aveva provocato allarme sia a Kyiv sia tra gli alleati europei. Dopo intense trattative, a Ginevra la proposta è stata ridiscussa: la nuova “peace framework” riduce il numero dei punti, corregge alcune richieste controverse e tenta di salvare la sovranità ucraina, introducendo garanzie di sicurezza e una revisione del compromesso territoriale.

Mosca, però, bolla la contro-proposta europea come “non costruttiva”, sostenendo che stravolge gli accordi su territorio e sicurezza. Il governo russo afferma che accetterà solo quanto contenuto nella bozza originaria o niente. Questo rifiuto esplicito mina qualsiasi speranza di mediazione multilaterale e spinge la diplomazia su un terreno fragile, dove il potenziale accordo resta legato a una resa ucraina di fatto. Un precedente pericoloso che potrebbe ridefinire il concetto europeo di sicurezza collettiva.

Dietro le dichiarazioni: la guerra continua sul campo

Le parole del Cremlino arrivano mentre sul terreno le forze russe alzano la pressione. L’avanzata nel Donbas e nelle regioni occupate mantiene il conflitto vivo nonostante i tentativi diplomatici. L’intreccio tra dichiarazioni pubbliche e mosse militari suggerisce una doppia strategia: offrire diplomaticamente una “via d’uscita”, ma conservare il vantaggio strategico con la presenza e l’espansione delle truppe.

Per l’Ucraina la situazione rimane critica: ogni concessione territoriale viene vista non solo come una perdita strategica, ma come una ferita irreversibile all’identità nazionale. E l’Occidente, diviso tra pragmatismo americano e riserva europea, mostra crepe che la diplomazia russa non manca di sfruttare.

Perché Putin rilancia ora: un calcolo geopolitico

Il tempismo non è casuale. Il presidente russo ha scelto la finestra di una diplomazia molto attiva, dopo il summit estivo ad Alaska, per riaffermare le pretese di Mosca in modo ufficiale. Dichiarare apertura e contemporaneamente imporre condizioni severe significa mantenere in mano due armi: la diplomazia e la guerra.

Nel contesto internazionale attuale, la Russia percepisce un interesse crescente degli USA a chiudere il conflitto, un’Europa esausta e un’Ucraina provata. Questo le regala un potere di negoziazione senza precedenti, perché può dettare i termini, trincerarsi dietro certi margini e stabilire le regole del gioco.Allo stesso tempo, Mosca cerca di presentarsi come garante della stabilità europea.

Offre, in cambio di riconoscimenti territoriali, garanzie che evitino un’escalation oltre i confini ucraini: un messaggio calibrato per l’Occidente, che rischia di essere attratto da un cessate il fuoco che riporti normalità e ripristini flussi economici. Così la Russia ridefinisce il concetto di pace: non come fine del conflitto, ma come trasformazione del conflitto in un ordine più favorevole agli interessi di Mosca.

Un bivio strategico per l’Europa e per l’Ucraina

L’Europa si trova allo specchio. Accettare un accordo che riconosca, anche in modo indiretto, i guadagni territoriali russi significa mettere in discussione la sicurezza collettiva, la credibilità della NATO, la tutela dei diritti di sovranità. Rifiutarlo rischia di prolungare una guerra che sta distruggendo vite, infrastrutture, tessuto sociale.Per l’Ucraina la posta in gioco non è solo strategica: è esistenziale. Ogni metro ceduto equivale a una ferita geopolitica e morale. La leadership di Kyiv lo sa, e ha già escluso compromessi territoriali che la farebbero precipitare nella delegittimazione interna.

Un accordo imposto da una parte significherebbe non una pace, ma un armistizio fragile, con una tensione sempre sotto la superficie. Ciò che serve, se serve, è una soluzione che contempli garanzie di sicurezza, tutela della sovranità e un disegno strategico europeo che non lasci spazio a revisioni future.

Conclusione parziale: la pace non basta, serve una strategia di sicurezza duratura

Le ultime dichiarazioni di Putin ridisegnano la post-guerra possibile, non come un ritorno al 1991, ma come un nuovo ordine imposto con la forza e ratificato con documenti. La partita così non è più solo tra Kiev e Mosca, ma tra la Russia e l’intero Occidente. Quindi questo fa si che le scelte europee fatte nei prossimi giorni definiranno si il confine ucraino, ma alla fine si sta parlando della tenuta stessa del sistema di sicurezza continentale.

Se l’accordo diventa possibile solo con una concessione alle condizioni russe, allora non è una pace ma si trasforma in uno strumento di resa. Se però l’Occidente alza il prezzo, con garanzie reali, presenza internazionale, deterrenza credibile, allora la proposta potrebbe essere altro, come l’inizio di un negoziato vero, nel quale la guerra perde senso e la sicurezza diventa una questione collettiva.

In gioco non c’è solo l’Ucraina. C’è un pezzo di futuro europeo.

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