Il salvataggio improvviso di migliaia di reperti archeologici palestinesi dalla distruzione rivela l’importanza della tutela del patrimonio culturale di Gaza nel presente scenario di guerra. Nel caos della crisi tra Israele e Hamas, le cronache degli ultimi giorni raccontano una delle operazioni di emergenza più singolari della storia recente, un atto disperato che ha consentito di preservare testimonianze antichissime dalla furia dei bombardamenti.
Giovedì 11 settembre, gli aid workers della ONG Première Urgence Internationale (PUI), sono riusciti a mettere in salvo migliaia di artefatti di inestimabile valore contenuti in un magazzino di Gaza, pochi istanti prima che la struttura venisse abbattuta da un raid israeliano. Lo sforzo è stato il risultato di nove lunghe ore di trattativa fra organizzazioni umanitarie e l’esercito israeliano, mentre il tempo scorreva inesorabile, con la notizia di una demolizione imminente che rischiava di cancellare decenni di scoperte.
In quel magazzino erano custoditi reperti provenienti da oltre venticinque anni di scavi archeologici, fra cui resti di un antico monastero bizantino del IV secolo, già riconosciuto come patrimonio mondiale UNESCO e una delle primissime testimonianze del cristianesimo in Palestina. L’esercito israeliano ha dichiarato che nell’edificio erano presenti anche infrastrutture di intelligence di Hamas, ragione per cui era stato inserito nella lista degli obiettivi da colpire nell’espansione delle operazioni militari a Gaza City.
La leadership della missione di recupero è spettata a Kevin Charbel, coordinatore di emergenza per Urgence Internationale (UI), una ONG attiva in Palestina dal 2009, impegnata sia nell’ambito sanitario sia nella salvaguardia della memoria storica locale. “Non si tratta semplicemente di eredità palestinese o cristiana: è un patrimonio che appartiene al mondo, tutelato ufficialmente dall’UNESCO” ha sottolineato Charbel, che si è trovato in prima linea durante la frenetica operazione.
Le trattative si sono svolte il mercoledì, quando l’agenzia COGAT, responsabile per le questioni umanitarie presso le autorità israeliane, ha avvertito la ONG dell’imminente abbattimento del magazzino. Attraverso un sistema di notifiche internazionale gestito da ONG e agenzie umanitarie, l’esercito viene informato delle “aree sensibili”: scuole, ospedali, magazzini che preservano aiuti e beni culturali. Charbel ha speso nove ore tentando di ottenere un rinvio della demolizione, mentre la crisi dei trasporti nel territorio assediato rendeva impossibile reperire camion per salvare i reperti.
Il tempo era pochissimo: solo cinque minuti prima di dover accettare la perdita totale, un’altra organizzazione ha offerto i mezzi necessari per il trasporto. Insieme al Patriarcato latino di Gerusalemme, UI ha proceduto al trasferimento degli oggetti in un luogo sicuro, la cui ubicazione resta segreta per motivi di sicurezza. La Scuola Biblica e Archeologica Francese di Gerusalemme, istituto di riferimento internazionale e protagonista nella scoperta dei Rotoli del Mar Morto, si è occupata della conservazione di circa 80 metri quadrati di artefatti accumulati nell’edificio “Al-Kawthar high-rise building ” di Gaza City.
La storia archeologica di Gaza è antichissima, risalente a oltre 6000 anni fa, e il territorio ospita decine di siti: templi, monasteri, palazzi, chiese, moschee e mosaici, molti dei quali sono andati perduti negli ultimi decenni tra urbanizzazione e saccheggi. L’UNESCO si sforza di proteggere ciò che resta, consapevole che Gaza fu crocevia di scambi fra Egitto e Levante e luogo di nascita di società urbane evolutesi da villaggi agricoli. Fra i reperti salvati figurano anfore, monete, mosaici, resti umani e animali, e oggetti riportati alla luce dal monastero di San Ilarione, uno dei primi insediamenti monastici cristiani del Medio Oriente.
La frenesia dell’operazione ha imposto condizioni tutt’altro che ideali: trasportare reperti così fragili e antichi avrebbe richiesto settimane di preparazione e mezzi specializzati, ma la situazione di emergenza ha costretto a stipare scatole di cartone sui camion scoperti, con la ceramica poggiata direttamente sulla sabbia. Le normative militari vietano l’uso di container sigillati, mettendo ulteriormente a rischio il patrimonio. Durante il tragitto, alcuni manufatti sono stati danneggiati o lasciati indietro per mancanza di tempo. Domenica, l’edificio è stato abbattuto dalle forze israeliane, che hanno motivato l’operazione con la presenza di infrastrutture militari nemiche.
Nelle ultime settimane, Israele ha demolito diversi palazzi a Gaza City, avvertendo la popolazione di evacuare in vista dell’offensiva di terra. Il conflitto, iniziato nell’ottobre 2023, ha già provocato devastazioni colossali sul fronte culturale: UNESCO ha censito almeno 110 siti culturali danneggiati, fra cui 13 siti religiosi, 77 edifici storici o artistici, un museo e sette siti archeologici.
Gli operatori impegnati nel salvataggio hanno vissuto tensioni emotive profonde, interrogandosi sulla liceità di investire risorse vitali come carburante e automezzi per preservare oggetti inanimati, mentre la crisi umanitaria richiede atteggiamenti e risposte altrettanto tempestive per garantire acqua, cibo, e medicine alla popolazione sotto assedio. “Abbiamo scelto di fare tutto questo perché questi reperti sono preziosi. Rappresentano una pagina fondamentale non solo per la storia palestinese, ma per la storia dell’umanità intera”, dice Charbel, sottolineando che la perdita delle testimonianze più antiche del cristianesimo in Palestina avrebbe effetti irreversibili.
Il patrimonio salvato ora si trova ancora in una location segreta a Gaza City, ma la sua esposizione agli agenti atmosferici e al rischio di nuove incursioni belliche mette in allerta storici e archeologi, ponendo sotto i riflettori la fragilità della memoria culturale in zone di guerra.
Da decenni, la tutela dei siti culturali è al centro della missione UNESCO in Gaza. Questi beni rappresentano l’identità condivisa delle popolazioni locali e la memoria universale, elementi fondamentali per il dialogo interreligioso e la ricostruzione sociale dopo le crisi. Ogni volta che la guerra colpisce la cultura, si spezza una connessione preziosa con il passato, indispensabile per immaginare il futuro.
La cronaca di questa settimana pone domande etiche e strategiche che riguardano il senso stesso del diritto alla cultura e alla memoria, nella tempesta di emergenze che affliggono Gaza. Fra le priorità di molte ONG, tornano con forza i temi della protezione del patrimonio in tempo di conflitto e la necessità di conciliare il soccorso umanitario alla popolazione con la difesa della storia.
La vicenda ci ricorda che la guerra non devasta soltanto vite, ma estende la distruzione alle radici più profonde di una civiltà, cancellando testimonianze che nessun intervento potrà mai recuperare. La battaglia per la salvezza dei siti archeologici di Gaza è il simbolo di una resilienza fatta di lavoro quotidiano, scelte dolorose e sforzi collettivi che superano i confini locali per diventare patrimonio globale.