Centinaia di persone si sono riversate all’aeroporto principale di Kathmandu nel tentativo disperato di lasciare il Nepal, mentre l’esercito cerca di riportare l’ordine dopo giorni di violente proteste che hanno sconvolto il Paese e causato le dimmissioni del primo ministro. Prima dell’alba, la capitale è stata teatro di una corsa frenetica all’acquisto di generi alimentari durante la finestra di allentamento del coprifuoco imposto dalle autorità. C’è aria di grande tensione tra la popolazione, mentre la crisi politica lascia un vuoto di potere.
L’esercito ha assunto il controllo diretto della capitale nelle ultime ore di martedì, dopo che due giorni di manifestazioni di massa hanno incendiato la residenza presidenziale, il parlamento e importanti sedi governative. L’ex primo ministro Khadga Prasad Oli, ormai dimissionario, è stato evacuato in un ubicazione non precisata, lasciando di fatto la nazione senza guida e una popolazione in attesa di un nuovo leader. Il presidente Ram Chandra Poudel ha implorato Oli di restare provvisoriamente alla guida per gestire la transizione, ma la sua ubicazione rimane ignota.
Durante questi giorni di fuoco, il governo nepalese ha risposto alle proteste con una violenza senza precedenti, aprendo il fuoco sui manifestanti e provocando circa trenta morti e oltre mille feriti secondo le ultime stime. Le proteste hanno avuto origine nella rabbia per il breve ma controverso bando sui social media, percepito come uno strumento di censura e repressione, ma ben presto sono diventate l’espressione di un malcontento diffuso verso la corruzione dilagante e il nepotismo nelle istituzioni politiche. Giovani e studenti hanno fatto sentire la propria voce, esasperati dalle disparità sociali e dalla mancanza di prospettive lavorative.
Il movimento è stato soprannominato la “protesta Gen Z”: la nuova generazione ha espresso rabbia verso i figli privilegiati dei politici che ostentano vite di lusso sui social, mentre la maggior parte dei giovani lotta per trovare un impiego, con una disoccupazione giovanile attorno al 20% secondo i dati della Banca Mondiale. Negli ultimi anni, il governo ha stimato che oltre duemila giovani nepalesi lasciano il Paese ogni giorno per lavorare in Medio Oriente e Sud-est asiatico.
Quando le manifestazioni sono esplose in tutta la capitale, le principali strutture dello Stato sono state prese d’assalto, incendiate e devastate: il palazzo del parlamento, la residenza presidenziale, il segretariato con gli uffici del primo ministro, perfino la sede del noto quotidiano Kantipur ha subito gravi danni. Le immagini delle strade di Kathmandu con veicoli bruciati e fumo ancora visibile sugli edifici simboleggiano il dramma vissuto dalla città.
I militari, raramente mobilitati in passato per questioni interne, sono stati costretti a intervenire in modo massiccio per ristabilire la calma. Armati di fucili e muniti di veicoli blindati, hanno stabilito una presenza dominante nei punti nevralgici della capitale. Registrazioni ufficiali dell’esercito confermano l’arresto di decine di sospetti, accusati di saccheggi e atti vandalici. Alcuni leader politici sono stati colpiti durante gli scontri e diversi ministri sono stati evacuati tramite elicottero dalle zone a rischio.
Il coprifuoco imposto ha costretto la cittadinanza a restare chiusa in casa, mentre le autorità tentano di arginare una situazione che resta ingestibile: anche dopo le dimissioni del primo ministro, le proteste non si sono fermate e l’incertezza sul futuro politico del Nepal grava come una nube su tutto il Paese.
In questa emergenza, l’aeroporto internazionale di Kathmandu è diventato simbolo della fuga, del desiderio di lasciarsi alle spalle un clima di paura, violenza e instabilità. La ripresa dei voli internazionali ha visto centinaia di persone affollare i terminal, pronte a partire verso destinazioni come India e Dubai pur di trovare sicurezza e nuove opportunità. Nelle strade del centro, sotto il controllo dei militari, la quotidianità si è sospesa tra tensione e paura. La scarsità di generi alimentari, la chiusura di negozi e uffici, la presenza costante delle forze armate sono diventate la nuova normalità in attesa che la situazione si evolva. I residenti raccontano di un clima avvelenato, di scontri con le forze dell’ordine e di tutto un Paese ostaggio delle scelte di una classe politica incapace di ascoltare chi chiede cambiamento.
Il futuro resta incerto. Non vi sono garanzie che la situazione si risolva in tempi rapidi e la ricerca di un nuovo governo fatica a trovare sbocchi. Le proteste, pur prive di una leadership formale, si sono rivelate una forza incontenibile, guidata dall’insoddisfazione per le promesse mancate e la richiesta di riforme strutturali. Testimoni riferiscono di una capitale ferita, prostrata da giorni di violenza, ma anche di una popolazione che non vuole rassegnarsi all’immobilismo.
In questa crisi, il Nepal si ritrova di fronte a un bivio delicatissimo: o ascoltare la voce dei giovani e avviare percorsi di rinnovamento oppure subire una continua emorragia delle proprie energie migliori e smarrirsi in una spirale di instabilità e fuga. Queste proteste potrebbero segnare una nuova pagina nella storia sociale e politica del Paese.