La crisi diplomatica tra Qatar e Israele ha raggiunto livelli drammatici nelle ultime ore, dopo che il primo ministro del Qatar, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, ha accusato il governo israeliano di aver “ucciso ogni speranza” per la liberazione degli ostaggi trattenuti nella Striscia di Gaza. L’accusa è seguita all’attacco israeliano contro i leader di Hamas presenti a Doha, un’azione che ha provocato la morte di almeno sei persone e generato una forte reazione tra i paesi del Golfo e la comunità internazionale.
Il leader del Qatar ha inoltre sottolineato come questo raid abbia compromesso irreparabilmente la fragile mediazione condotta da Qatar ed Egitto, che da tempo si erano assunte il ruolo di mediatori tra Israele e Hamas nel tentativo di arrivare a una tregua e alla liberazione dei prigionieri. In un’intervista trasmessa da CNN, Sheikh Mohammed ha ricordato di aver incontrato una delle famiglie degli ostaggi poche ore prima dell’attacco, sottolineando quanto fosse palpabile l’attesa e la dipendenza dalle trattative per la cessazione delle ostilità. “Queste famiglie si affidano completamente alla mediazione, non hanno altra speranza oltre a questa,” ha affermato il premier qatarino, aggiungendo che l’azione israeliana ha spento le ultime aspettative di liberazione.
Da anni, il Qatar ospita la leadership politica di Hamas per volere anche degli Stati Uniti, che hanno sempre visto il piccolo emirato come attore strategico e punto di incontro per negoziati delicati. Il raid israeliano su territorio di un alleato statunitense ha provocato una reazione inquieta in tutta la regione, mettendo a rischio non solo le trattative in corso ma anche l’equilibrio geopolitico dell’area. Diversi paesi arabi hanno espresso la loro perplessità di fronte alla scelta di Netanyahu, che ha giustificato l’attacco come una necessaria risposta all’accoglienza offerta dal Qatar ai leader di Hamas. Il capo del governo israeliano ha rilasciato dichiarazioni in cui, senza mezzi termini, ha minacciato ulteriori interventi contro qualsiasi paese che ospiti “terroristi”, invitando esplicitamente il Qatar ad espellere i leader di Hamas o a processarli.
L’attacco ha avuto pesanti ripercussioni anche nel delicato scenario internazionale. Molti osservatori ritengono che questa azione militare rappresenti una svolta decisiva che mette a rischio tutti i negoziati volti a porre fine al conflitto e a garantire la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Secondo fonti diplomatiche, Hamas ha dichiarato che i suoi esponenti di alto livello sono sopravvissuti all’attacco, ma ha confermato la morte di cinque funzionari di grado inferiore, oltre ai bodyguard del capo dell’ufficio politico Khalil al-Hayya. Al momento manca la conferma ufficiale, sia dell’effettiva sopravvivenza dei leader, sia delle vittime, ma la tensione rimane altissima.
La crisi ha origini nelle drammatiche giornate di ottobre 2023, quando Hamas ha compiuto un’invasione armata nel sud di Israele, sequestrando 251 persone tra civili e militari. La reazione di Israele è stata immediata e violenta, segnando l’inizio di un conflitto che ha fatto migliaia di vittime. Secondo il Ministero della Salute di Gaza, sono oltre 64.600 i palestinesi morti durante le operazioni israeliane a Gaza, tra cui una percentuale molto elevata di donne e bambini. Tutt’oggi, il numero di ostaggi ancora in vita, secondo le stime, sarebbe di circa venti persone su 48 ostaggi totali, un dato che ha reso le trattative per la liberazione estremamente complesse e delicate.
Da parte israeliana, il governo di Netanyahu ha ribadito con fermezza l’intenzione di proseguire le operazioni militari fino a quando Hamas non sarà disarmato e tutti gli ostaggi saranno rilasciati. Ha inoltre minacciato di non cessare mai il controllo sulla Striscia di Gaza nemmeno dopo il conflitto, posizione che ha generato forti proteste all’interno della società israeliana. In Israele si moltiplicano le manifestazioni contro la gestione della guerra e la politica di Netanyahu, accusato di utilizzare la crisi degli ostaggi per fini politici e di perdere di vista le esigenze delle famiglie coinvolte.
Le trattative si sono complicate dopo la nuova proposta statunitense: l’amministrazione Trump spinge per la liberazione di tutti gli ostaggi in cambio della scarcerazione di migliaia di prigionieri palestinesi e di un cessate il fuoco temporaneo. Israele, per ora, sta valutando il piano e non ne ha annunciato l’accettazione. Inoltre, ci sono divergenze sulla posizione del Qatar: alcune fonti sostengono che il governo abbia sospeso il ruolo di mediatore nelle trattative con Hamas dopo l’attacco israeliano su territorio qatariota, altre fonti sostengono che voglia “riesaminare” il proprio ruolo. Il premier Al Thani ha rimarcato durante gli incontri all’ONU come la leadership israeliana abbia trascinato tutta la regione nel caos e sia responsabile di aver “sprecato il tempo” dei mediatori. Ha ribadito la necessità che Netanyahu sia perseguito dalle corti internazionali, ricordando l’indagine della Corte Penale Internazionale che pende sul primo ministro israeliano per presunti crimini di guerra.
Gli Stati Uniti, pur mantenendo una posizione di equilibrio, hanno espresso disappunto per le azioni israeliane attraverso interventi diplomatici e contatti diretti tra il presidente Trump e Netanyahu. La tensione tra alleati occidentali e paesi arabi si è trasformata così in uno dei punti di scontro più delicati dell’intera crisi mediorientale, con possibili ripercussioni sui futuri assetti regionali.
Nel contesto della tragedia umana che si sta consumando a Gaza, la sospensione delle trattative sono percepite dalle famiglie degli ostaggi come una sentenza di morte e disperazione. Diversi testimoni diretti hanno raccontato l’angoscia delle ore successive all’attacco, tra la speranza svanita e la percezione che nessuna delle parti in causa, né Israele né Hamas, stia davvero lavorando per una soluzione umanitaria.
Il futuro del conflitto appare quindi ancora più incerto. Con la radicalizzazione delle posizioni e il clima di insicurezza diffusa nel Golfo, resta difficile immaginare una roadmap diplomatica efficace. La fiducia nella mediazione internazionale è ai minimi storici e la minaccia di nuove escalation rimane concreta. L’azione militare di Israele su territorio qatariota rappresenta una rottura diplomatica senza precedenti, che potrebbe cambiare le dinamiche regionali per anni. In questo scenario doloroso, le famiglie degli ostaggi chiedono ai governi coinvolti un impegno reale e trasparente per riportare i propri cari a casa.