Privacy. Twitter ci controlla: ora è realtà

Anche l’elegante Twitter ha bisogno di monetizzare, e per farlo i nuovi accordi pubblicitari e le nuove rotte del social network potrebbero compromettere la privacy degli utenti, molto più di quello che si pensi.

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Twitter può conoscere anche i siti utilizzati al di fuori del portale

L’idea che il fondatore Jack Dorsey ha meditato per 6 anni, è vicina al suo debutto in borsa, previsto ufficialmente per il 15 novembre e come già accadde a Facebook, per essere credibile agli occhi degli investitori è necessario un piano di monetizzazione convincente tramite la pubblicità e quindi la profilazione degli utenti.

I dati personali che Twitter ha adesso…

Ad oggi il social network dispone già di una quantità di informazioni personali sbalorditiva, che ha ben poco da invidiare al collega Facebook: nome e breve biografia di ogni utente, spesso infarcita di link a siti e blog personali, il contenuto stesso di ogni tweet, ricco di parole chiave che si generano ogni secondo, il prezioso strumento dell’hashtag per raggruppare i cinguettii relativi ad un preciso argomento, che consente di seguire le tendenze nell’opinione pubblica, le liste di utenti da seguire, chiaro segnale dei propri interessi, e i meno sospettabili Tweet Button, i piccoli bottoni che permettono di eseguire un cinguettìo direttamente da un sito web e che l’azienda ha chiaramente dichiarato di usare per sapere su quali portali extra-Twitter navigano gli utenti. Non ultima, la posizione esatta dell’utente, che può non essere mostrata al pubblico, ma che viene certamente registrata.

…e come saranno usati in futuro

L’enorme database di informazioni di Twitter è uno strumento prezioso che può diventare ancora più remunerativo qualora incontri la pubblicità e in particolare il remarketing. Il meccanismo, largamente usato nella rete, si basa su un concetto molto semplice: un utente visita un sito web e questo registra le informazioni identificative del dispositivo che sta utilizzando: questi dati vengono inviati ad aziende pubblicitarie che, non appena “riconoscono” lo stesso utente all’interno dei portali e delle piattaforme appartenenti al proprio portafoglio media, gli mostrano proprio la pubblicità del sito che era stato visitato tempo addietro. Una tecnica che basandosi sull’interesse dimostrato verso qualcosa, fa in modo di riproporlo per “recuperare” un possibile cliente che si era distratto.

Questa situazione può sfuggire ad un navigatore non particolarmente attento ma è sufficiente visitare un grande sito di e-commerce per un paio di volte ogni giorno per almeno una settimana, per iniziare a vedersi bombardati di pubblicità su più dispositivi e con i metodi più disparati, proprio di quel sito.

Il remarketing ha tuttavia un grande limite: per quanto brillante, il circuito è in grado di mostrare annunci ad un utente di cui conosce i dati identificativi, ma non la reale identità: e qui verrà in aiuto Twitter. La condivisione delle informazioni con il social network, che è invece ricco di nomi e cognomi, permetterebbe al remarketing di conoscere letteralmente con “chi” si svolge il dialogo, e questo si tradurrà verosimilmente in annunci più personalizzati, più insistenti, distribuiti su più dispositivi e decisamente più capaci di seguire l’utente nella sua vita virtuale, posto che l’identità personale è immodificabile.

Finora si tratta solo di teoria, ma Twitter ha recentemente acquisito la MoPub, solida azienda specializzata esattamente nell’advertising mobile, e ha contestualmente lanciato una iniziativa pubblicitaria facendo l’innocente esempio di un piccolo fiorista che ha un sito e che invia i dati dei suoi clienti a Twitter, per fare in modo che questi ricevano tweet sponsorizzati della sua attività: ed eccoci alla pratica.

I rischi per la Privacy

Twitter rischia di perdere la sua immagine elitaria
Twitter potrebbe imparare dagli errori di Facebook

Questa strada può portare molto lontano, e in diverse direzioni. La prima conseguenza, qualora questa evoluzione fosse progettata e attuata malamente, sarebbe la perdita da parte di Twitter del suo status. Il social network di Dorsey ha conquistato in breve tempo la nomea di social “intelligente” e “acculturato”: uno strumento dell’élite che attira personalità dello spettacolo, gruppi musicali, giornalisti e che è lo strumento principe di politici di primo livello per comunicare rapidamente, fino al Pontefice, che ha aperto un profilo su Twitter, non su Facebook.

E’ chiaro che scandali sulla sicurezza e sull’utilizzo indiscriminato delle informazioni, rischia di rovinare l’alone di superiorità che ammanta il social. E’ pur vero che il team di Twitter si è sempre dimostrato attento alla questione sicurezza e che gli annunci sponsorizzati fra un tweet e l’altro sono certamente più eleganti e discreti rispetto ad altri social, ma il rischio che l’utente pensi “non è più il Twitter di una volta” è concreto e potenzialmente molto dannoso.

Ancora peggio è la prospettiva di un attacco hacker volto al furto delle informazioni. Il flusso di dati fra la MoPub e Twitter costituirebbe un tesoro preziosissimo, con nomi e cognomi, legati alle loro abitudini, tendenze, interessi e luoghi frequentati: un rischio non solo immaginario, se pensiamo che la Adobe sta combattendo proprio in questi giorni per il furto di quasi 3 milioni di dati dei clienti, tra cui i numeri delle carte di credito.

La speranza è data dall’esperienza: Twitter può contare sull’esempio e sui problemi incontrati dal principale avversario Facebook: le mail degli utenti rapidamente cambiate in @facebook.com che hanno sollevato quasi una rivolta del web, e che hanno costretto il social ad aggiustare il tiro, ma anche il recente cambiamento alle politiche sul trattamento dei dati che ha spinto sei agenzie per la privacy ad una denuncia alla Federal Trade Commission portando Facebook ad una fastidiosa situazione di stallo, possono essere concreti esempi per evitare gli stessi errori.

Ma la verità, seppur fastidiosa, è molto semplice: Twitter inizierà ad utilizzare i dati degli utenti in modo decisamente più disinvolto di prima, e le questioni legate alla privacy, anche se dovessero concludersi positivamente, diventeranno assai meno rare di quanto è accaduto finora. Gli utenti, ancora una volta, dovranno capire che nessun sito, social network in particolare, è perfetto e che la protezione della privacy non può essere delegata alla bontà di nessuno.