Il funerale solenne che ha riunito migliaia di persone nella moschea di Al-Saleh a Sanaa, capitale dello Yemen, è stato molto più di una semplice cerimonia: ha rappresentato l’epilogo di uno degli attacchi israeliani più gravi contro la leadership Houthi e l’inizio di una nuova fase della crisi mediorientale. Secondo le prime notizie dei media locali dodici esponenti di primo piano, un numero da confermare, tra cui il primo ministro Ahmed Ghalib al-Rahwi, sono stati uccisi da un raid aereo giovedì scorso, mentre si erano riuniti per ascoltare un discorso televisivo di Abdul Malik al-Houthi, il leader politico del movimento. L’attacco ha colpito il cuore del potere civile Houthi, provocando la morte di una parte significativa della leadership politica, lasciando la popolazione in lutto.
La scena del funerale è stata densa di tensione e dolore, con migliaia di persone che si sono strette attorno alle bare dei leader scomparsi, muniti di slogan contro Israele e gli Stati Uniti. Il culto della leadership e il senso di martirio che permea il movimento Houthi sono stati visti in tutta la loro forza: le voci di vendetta si sono diffuse con la stessa intensità delle preghiere. Mohammed Miftah, vice di al-Rahwi e nuovo capo dell’amministrazione, ha assunto un ruolo centrale nell’evento, promettendo durissime ritorsioni e attribuendo la responsabilità del raid non solo a Israele, ma anche agli Stati Uniti, agli “arabi sionisti” e ai presunti informatori locali. L’attacco ha profondamente destabilizzato l’organizzazione interna dei ribelli, lasciando ferite che vanno ben oltre la perdita materiale di molti dei suoi leader. Al tempo stesso, ha rafforzato la determinazione degli Houthi di “non arretrare”.
L’operazione militare israeliana è stata caratterizzata da una pianificazione precisa e informazioni di intelligence tempestive, con l’obiettivo dichiarato di colpire i vertici della gestione politica e militare locale. Secondo fonti israeliane, il raid è avvenuto durante il raduno di circa dieci dei principali leader Houthi, scegliendo come bersagli anche un sito nei pressi della collina Jabal Atan e la residenza presidenziale tenuta dai ribelli, tra le zone più difese di tutta la città. Le informazioni dell’intelligence israeliana hanno permesso di identificare la presenza dei leader, facilitando un attacco rapido e letale.
La reazione degli Houthi è stata immediata e feroce. Nel discorso tenuto durante il funerale, Miftah ha annunciato anche un giro di vite sugli informatori, preannunciando arresti e stretta contro i presunti collaboratori interni. La tensione a Sanaa è cresciuta ulteriormente dopo le incursioni dei ribelli nelle sedi delle Nazioni Unite in città, con almeno undici membri dello staff dell’ONU arrestati la domenica successiva al raid. Episodi simili si sono già verificati in passato, con i ribelli che hanno detenuto operatori umanitari e diplomatici per sospetti di spionaggio, intensificando così il clima di sospetto e paura.
Sul piano politico, l’attacco segna uno spartiacque per la leadership Houthi, che ora teme future azioni mirate contro le figure militari più influenti. In un messaggio pubblico, Mahdi al-Mashat, presidente del Consiglio Politico Supremo Houthi, ha ribadito: “la nostra posizione non cambierà e resisteremo finché l’aggressione non si fermerà e il blocco non sarà revocato, a prescindere dalla gravità delle sfide”.
A livello internazionale, la risposta è stata varia. Molti Stati arabi e musulmani, pur storicamente divisi sulle dinamiche interne dello Yemen, hanno espresso preoccupazione per l’escalation e temono che la tensione tra Israele e i ribelli sciiti possa espandersi nella regione, diffondendo instabilità lungo le già fragili linee di rifornimento energetico attraverso il Mar Rosso. Dopo gli attacchi Houthi contro navi occidentali ed israeliane nel Mar Rosso, la coalizione guidata dagli Stati Uniti aveva concluso i propri raid aerei, e questo ha accellerato lo scontro diretto tra il movimento yemenita e Israele. La decisione israeliana di colpire così duramente la leadership Houthi arriva dopo ripetuti lanci di droni e missili diretti verso Israele, spesso intercettati ma comunque fonte di grave preoccupazione per la sicurezza nazionale israeliana.
Il funerale a Sanaa è diventato teatro di un’importante dichiarazione di identità politica Houthi, con Miftah che davanti alla folla ha scandito promesse di vendetta e lotta contro “il nemico sionista e i suoi alleati arabi”. La cerimonia si è svolta in un’atmosfera di grande solennità, con i manifestanti che innalzavano le foto dei leader uccisi e richieste di “giustizia” che mescolavano la rabbia popolare all’orgoglio nazionale. In sottofondo, voci di resistenza e inviti all’unità hanno reso il momento una vera e propria investitura della nuova leadership, ora chiamata a difendere la causa anche davanti a possibili ulteriori attacchi israeliani.
Il bilancio del raid è drammatico: gran parte del governo Houthi è stata eliminata, con il nuovo esecutivo che si ricostruisce attorno a figure come Miftah, già considerato un esponente di spicco della linea dura. Se Israele ha rivendicato il successo dell’operazione sottolineando l’efficacia dell’intelligence militare, gli Houthi celebrano il martirio dei loro leader come un punto di svolta che chiamerà a raccolta la popolazione contro quella che viene percepita come una “aggressione internazionale”. La determinazione a proseguire la lotta è diventata un mantra, ripetuto in ogni discorso e rilanciato su tutti i canali ufficiali del movimento.
Il raid israeliano ha cambiato gli equilibri interni dello Yemen, ma ha anche messo in discussione la capacità delle potenze esterne di prevenire una nuova ondata di violenze e ritorsioni in Medio Oriente. La scelta di Israele di colpire così fortemente la leadership Houthi segna una fase di guerra asimmetrica che rischia di inasprire ulteriormente il conflitto e di coinvolgere nuovi attori internazionali. Le strade di Sanaa, ancora segnate dalle distruzioni e dal lutto, sono ora teatro di nuove manifestazioni, con la popolazione che sfida le minacce e si stringe attorno al ricordo dei leader uccisi.
La crisi yemenita entra così in una nuova stagione di instabilità, dove la lotta per la sopravvivenza politica dei Houthi si intreccia con la necessità di resistere all’assalto degli avversari regionali e internazionali. Israele, dal canto suo, promette di continuare le operazioni di precisione contro obiettivi considerati strategici per la sicurezza nazionale, mentre i ribelli yemeniti giurano vendetta e intensificazione delle azioni militari e popolari. Lo scenario futuro appare contraddistinto da una lunga e sanguinosa battaglia per il potere, che coinvolge l’intera società yemenita.