La guerra in Ucraina ha portato sotto i riflettori una nuova categoria di armamenti, vera protagonista dei massicci attacchi alle infrastrutture: il drone iraniano HESA Shahed 136, conosciuto anche come Geran-2 in Russia. Sviluppato dalla HESA in collaborazione con la Shahed Aviation Industries, questo sistema rappresenta uno degli esempi più avanzati di munizioni vaganti, spesso definite “droni kamikaze” o “suicide drone”. Progettato per la distruzione di obiettivi statici a lungo raggio, il Shahed 136 ha ridisegnato la logica degli attacchi a distanza, soprattutto per ciò che riguarda il rapporto tra costi e efficacia militare.
Ciò che distingue il Shahed 136 dagli altri droni da combattimento non sta tanto nel livello tecnologico assoluto, quanto nella sua filosofia di design: il focus è stato posto su affidabilità, facilità di fabbricazione e basso costo, fattori che ne consentono non solo la produzione in massa, ma anche l’impiego in sciami per saturare le difese avversarie. Il suo valore produttivo si aggira attorno agli 20/50.000 dollari per unità, una cifra irrisoria se confrontata con il costo esorbitante dei missili intercettatori impiegati per abbatterlo, spesso superiori a un milione di dollari ciascuno. Questa asimmetria economica permette a chi lo impiega di logorare le risorse nemiche, rendendo insostenibile la difesa tradizionale contro attacchi su ampia scala.
Nel concreto, lo Shahed 136 si presenta come un velivolo con ala delta e propulsore a spinta posteriore, alimentato da un motore a combustione interna, derivato da tecnologie tedesche riadattate. È lungo 3,5 metri, ha un’apertura alare di circa 2,5 metri e pesa tra i 200 e i 250 chilogrammi. Il sistema di lancio è semplice ma efficace: cinque droni possono essere schierati simultaneamente tramite appositi rack mobili, consentendo una distribuzione efficiente anche da veicoli. Poco dopo il lancio, un booster viene separato, lasciando che il motore a pistone mantenga la propulsione per l’intero percorso.

Le prestazioni operative del Shahed 136 sono notevoli: può raggiungere una velocità compresa tra i 185 e i 200 km/h e vanta un’autonomia tra i 2.000 e i 2.500 km. Questo significa che può colpire obiettivi ben oltre le linee del fronte e spesso eludere le barriere radar grazie alla sua ridotta superficie riflettente e alla traiettoria di volo radente. La rumorosità del motore lo ha reso noto tra la popolazione ucraina come “flying moped” (ciclomotore volante), testimonianza del suo impatto psicologico oltre che materiale. Il payload, tipicamente costituito da una testata esplosiva di 40-50 kg, è sufficiente a devastare infrastrutture energetiche, depositi di carburante e centri di comando.
La semplicità delle sue componenti interne, spesso provenienti dal mondo commerciale, ha permesso all’Iran di aggirare le tensioni derivanti dalle sanzioni internazionali: nella sua elettronica sono state individuate parti occidentali di uso civile, un segno dell’astuzia ingegneristica impiegata per sostituire tecnologie militari vietate. Questo “inganno” ha spesso alimentato dibattiti etici e legali sulla proliferazione di armi autonome, poco controllabili e potenzialmente impiegabili contro civili. L’efficacia nel targeting statico è tale da aver causato danni ingenti alle reti energetiche ucraine, privando intere città di luce e riscaldamento in pieno inverno. Al tempo stesso, le limitazioni del drone sono evidenti nel contesto delle operazioni tattiche “dinamiche”: la velocità moderata e la mancanza di manovrabilità lo rendono inadatto a colpire bersagli mobili o ad agire in ambienti saturi di difese elettroniche avanzate.
Recentemente, sono state realizzate versioni modificate della Shahed 136 da parte degli ingegneri russi, capaci di adattarsi meglio alle esigenze del conflitto in Ucraina. Queste varianti integrano aggiornamenti nel sistema di guida e targeting, permettendo attacchi anche contro posizioni difensive avanzate. Il drone, tra l’altro, ha dimostrato di possedere una certa resistenza agli sforzi di guerra elettronica, benché sia vulnerabile ai disturbi e jamming. Gli ucraini stanno affinando le contromisure, ma la massa degli attacchi Shahed mette comunque a dura prova le capacità di risposta, costringendo le forze difensive a impiegare risorse costose.

Sul fronte tecnico, Iran e altri paesi stanno spingendo sugli sviluppi futuri della piattaforma, con ricerche orientate verso sistemi propulsivi ibridi, motori a fuel cell o l’integrazione di materiali avanzati. Queste innovazioni puntano ad aumentare ulteriormente l’autonomia, la silenziosità e la resistenza ai disturbi radar, con l’obiettivo di rendere il drone ancora più difficile da intercettare pur mantenendo un costo contenuto. L’integrazione dell’intelligenza artificiale nei sistemi di volo è un orizzonte già esplorato, in grado di adattare le rotte in tempo reale sulla base delle minacce o delle caratteristiche di ciascuna missione.
La strategia iraniana si basa sull’asimmetria: l’introduzione di armi economiche e facilmente replicabili permette di proiettare potenza su scala regionale e globale, rendendo obsoleti i paradigmi di deterrenza tradizionali. Il Shahed 136 è stato esportato e impiegato attivamente da proxy come gli Houthi nello Yemen, e la sua “replica” è ormai oggetto di interesse e studio negli Stati Uniti e presso diversi paesi occidentali, segno che il drone iraniano rappresenta un modello per l’innovazione bellica internazionale.
Le implicazioni legali sono ancora oggetto di dibattito. La facilità con cui può essere impiegato contro obiettivi civili ha portato alcune leadership, come quella ucraina, a definirlo un’arma terroristica. La comunità internazionale è chiamata a riflettere sul futuro dei sistemi di arma autonomi e sulle normative necessarie a limitarne gli effetti collaterali e la dispersione.
L’ecosistema del Shahed 136 viene completato dalla presenza di numerose varianti e piattaforme sorelle, come il Shahed 131 e il Shahed 238, oltre agli aggiornamenti russi (Geran-2), che differiscono per peso, autonomia e capacità di carico. Il continuo perfezionamento di questi sistemi, nonché la loro adozione da parte di attori non statali, sta innescando una “corsa alla replica” in tutto il mondo, trasformando il Shahed in un vero punto di riferimento per la guerra del futuro.
Scheda tecnica dello Shahed 136

Per arricchire il quadro sullo Shahed 136, è fondamentale approfondire le sue caratteristiche tecniche. La cellula del drone si basa su una configurazione ad ala delta con due derive alle estremità, una soluzione che assicura stabilità e semplicità costruttiva. La fusoliera è realizzata principalmente con materiali compositi leggeri come fibra di carbonio e strutture a nido d’ape, favorendo sia la robustezza sia la leggerezza, oltre a minimizzare la traccia radar. L’intero sistema pesa circa 200 kg, con una lunghezza di 3,5 metri e un’apertura alare di 2,5 metri.
Il motore è un elemento singolare dello Shahed 136: parliamo di un motore a pistoni quattro cilindri MD-550 da circa 37-50 cavalli, una versione prodotta in Iran e Cina derivata da tecnologia tedesca Limbach ottenuta tramite reverse engineering. Funziona con una semplice elica a due pale in configurazione “pusher”, cioè posizionata posteriormente per spingere il velivolo anziché trainarlo. Questo contribuisce al caratteristico rumore che lo ha reso riconoscibile sul campo, ma garantisce anche una buona efficienza grazie al basso consumo di carburante e all’elevata energia specifica della benzina rispetto alle batterie moderne.
Il decollo avviene tramite lancio assistito da razzi RATO, che vengono separati subito dopo pochi secondi di volo, lasciando al motore a combustione interna la propulsione principale. La versatilità del sistema di lancio consente la preparazione e il dispiegamento rapido da veicoli mobili, inclusi camion civili, rendendo i lanci difficili da prevedere o neutralizzare. Inoltre, la capacità di lanciare fino a cinque droni in sequenza rafforza il concetto di saturazione delle difese avversarie.
Dal punto di vista dell’avionica, lo Shahed 136 impiega un sistema di navigazione elementare ma efficace: si basa su un’accoppiata di guida inerziale e GPS commerciale, integrando correzioni via GLONASS, con possibilità di ricevere aggiornamenti sulla posizione tramite moduli di comunicazione 4G o SIM satellitari. Numerose analisi di rottami hanno evidenziato la presenza di componenti elettronici di origine occidentale come chip prodotti da Texas Instruments, Altera e Microchip Technology oltre che pompe del carburante e convertitori di tensione provenienti dall’Europa o dalla Cina. Il drone può quindi essere pre-programmato per raggiungere in autonomia un bersaglio statico, ma esistono versioni dotate di sensori aggiuntivi per l’attacco a bersagli mobili, come dimostrato dagli impieghi nel Golfo di Oman contro navi in movimento.

La testata bellica è collocata frontalmente e pesa tra i 30 e i 50 kg, con esplosivo ad alto potenziale solitamente a frammentazione. Le varianti disponibili includono configurazioni anti-personale, anti-infrastruttura o per la neutralizzazione di radar. Il drone è in grado di volare tra i 60 e i 4.000 metri di altitudine, una caratteristica che lo rende estremamente versatile per missioni a bassa quota per eludere la maggior parte dei sistemi radar.
Una delle innovazioni più discusse per il futuro è l’integrazione di propulsori ibridi e intelligenza artificiale, con l’obiettivo di aumentare ulteriormente la sopravvivenza e la precisione, riducendo la rumorosità e aumentando l’autonomia. Materiali innovativi, gestione intelligente dei flussi e tecnologie fuel cell rappresentano le frontiere in via di esplorazione per rendere droni come il Shahed 136 ancora più avanzati e difficili da contrastare.
Le specifiche tecniche nel dettaglio includono:
- Motore: Mado MD-550, quattro cilindri, 37-50 CV (derivato Limbach L550E)
- Propulsione: Elica bipala “pusher”, posteriore
- Peso: Circa 200-250 kg (payload 30-50 kg di esplosivo)
- Dimensioni: Lunghezza 3,5 m – apertura alare 2,5 m
- Velocità di crociera: 185-200 km/h
- Autonomia operativa: 2.000-2.500 km
- Quota di servizio: 60-4.000 m
- Sistema di guida: INS + GPS/GLONASS commerciale, possibilità di ricezione segnali via GSM/SAT
La combinazione di semplicità, modularità e adattabilità elettronica fa dello Shahed 136 un prodotto bellico unico nel suo genere, in grado di rappresentare una minaccia rilevante per sistemi difensivi tradizionali e scenario in rapida evoluzione.