Punti chiave
La situazione in Medio Oriente continua a deteriorarsi con una drammatica escalation delle tensioni che ha visto Israele bombardare il palazzo presidenziale di Damasco mentre scontri settari insanguinano il sud della Siria e Gaza continua a contare vittime civili in un conflitto che sembra non conoscere fine. Gli sviluppi delle ultime ore stanno ridisegnando gli equilibri regionali con gli Stati Uniti che tentano di frenare l’escalation attraverso una diplomazia sempre più sotto pressione.
Il bombardamento del Palazzo del Popolo
L’attacco israeliano al palazzo presidenziale di Damasco, conosciuto come “Palazzo del Popolo” e utilizzato dal presidente siriano Ahmed al-Shara, rappresenta un’escalation senza precedenti nel coinvolgimento militare israeliano in Siria. L’operazione, confermata dall’agenzia Reuters attraverso testimonianze oculari, ha visto tre raid israeliani consecutivi contro la struttura governativa siriana, secondo quanto riportato dal sito di notizie siriano Kol HaBira, affiliato all’opposizione.
L’esercito israeliano ha rivendicato l’attacco sostenendo di aver colpito l’ingresso del quartier generale dell’esercito siriano a Damasco, mentre i media statali siriani hanno confermato che i droni israeliani hanno preso di mira anche la città di Sweida, a maggioranza drusa, dove le forze governative siriane si erano schierate nonostante gli espliciti avvertimenti da parte di Tel Aviv. Un corrispondente dell’AFP ha documentato direttamente un attacco contro un camion militare all’ingresso occidentale di Sweida, evidenziando come gli scontri stiano assumendo dimensioni sempre più ampie.
La drammatica situazione dei Drusi
La comunità drusa si trova al centro di una crisi umanitaria e identitaria che sta mettendo alla prova i legami storici con Israele. Gli scontri settari tra drusi e beduini a Sweida hanno causato 248 morti, secondo i dati forniti dalle autorità locali, creando una situazione di emergenza che ha spinto la leadership drusa israeliana a lanciare un appello drammatico per attraversare il confine e soccorrere i “fratelli massacrati”.
Lo sceicco Mowafaq Tarif, che guida la comunità drusa in Israele, ha emesso una dichiarazione che evidenzia una profonda frattura nell’alleanza storica tra Israele e la comunità drusa. “Purtroppo, le IDF e il governo israeliano, nonostante i loro impegni espliciti, non stanno intraprendendo alcuna azione concreta per fermare le uccisioni”, recita il comunicato ufficiale che annuncia giorni di lutto nazionale e uno sciopero generale in tutti gli insediamenti drusi in Israele.
La risposta del primo ministro Benjamin Netanyahu è stata ferma ma carica di preoccupazione: “Stiamo lavorando per salvare i nostri fratelli drusi e per eliminare le bande del regime”, ha dichiarato, rivolgendo però un appello diretto ai drusi israeliani affinché non oltrepassino il confine, poiché “state rischiando la vita”. La situazione è diventata così tesa che drusi israeliani hanno sfondato la recinzione di confine tentando di raggiungere la Siria, come documentato da video diffusi sui media internazionali.
La posizione americana e le pressioni diplomatiche
L’amministrazione Trump si trova di fronte a una crisi diplomatica complessa che richiede un delicato equilibrio tra il sostegno all’alleato israeliano e la necessità di contenere un’escalation regionale. Il Segretario di Stato Marco Rubio ha espresso profonda preoccupazione per gli sviluppi in Siria, rivelando di aver “appena riattaccato al telefono con le parti interessate” e che gli Stati Uniti “vogliono che i combattimenti cessino”.
Secondo quanto riportato da Axios, gli Stati Uniti avevano chiesto a Israele di fermare i raid contro le forze militari siriane nel sud del Paese già nella giornata precedente agli attacchi al palazzo presidenziale. La risposta di Tel Aviv sarebbe stata inizialmente positiva, con l’impegno a cessare gli attacchi entro sera, ma gli eventi successivi hanno dimostrato quanto sia difficile controllare l’escalation militare una volta innescata.
Il coinvolgimento diretto del presidente Trump nella gestione della crisi emerge dalla programmata riunione con il primo ministro del Qatar Mohammad bin Abdulrahman al-Thani alla Casa Bianca, dove al centro dei colloqui saranno i negoziati per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi. Questa iniziativa diplomatica dimostra come l’amministrazione americana stia cercando di utilizzare tutti i canali disponibili per contenere una situazione che rischia di degenerare ulteriormente.
Gaza: il bilancio continua a crescere
Mentre l’attenzione si concentra sugli sviluppi siriani, la situazione umanitaria a Gaza continua a deteriorarsi con numeri che testimoniano l’ampiezza della catastrofe in corso. Nelle ultime 24 ore, almeno 93 palestinesi sono stati uccisi nei bombardamenti israeliani, portando il numero dei feriti a 278, secondo i dati forniti dal Ministero della Sanità del territorio.
Il bilancio complessivo dall’ottobre 2023 ha raggiunto quota 58.479 morti accertati, la maggior parte dei quali donne e bambini, con almeno altre 139.355 persone rimaste ferite. Particolarmente significativo è il dato che indica come da quando Israele ha ripreso l’aggressione alla Striscia di Gaza il 18 marzo 2025, almeno 7.656 civili sono stati uccisi e altri 27.314 sono rimasti feriti.
La situazione si complica ulteriormente considerando che molte vittime restano intrappolate sotto le macerie, irraggiungibili per ambulanze e soccorritori, rendendo il bilancio delle vittime inevitabilmente incompleto. L’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha registrato almeno 875 uccisioni nelle ultime sei settimane presso punti di soccorso gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, evidenziando come anche l’accesso agli aiuti umanitari sia diventato mortalmente pericoloso.
Tensioni internazionali e reazioni diplomatiche
Il panorama internazionale mostra una crescente polarizzazione attorno alla gestione della crisi mediorientale. La Turchia, attraverso il suo ministero degli Esteri, ha denunciato che gli attacchi aerei israeliani su Damasco mirano a sabotare gli sforzi della Siria per stabilire la pace e la sicurezza, mentre il governo israeliano ha accolto con soddisfazione l’incapacità dell’Unione Europea di decidere sanzioni, definendola “un importante risultato politico”.
Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha sottolineato come Israele sia “impegnato in una campagna politica complessa, difficile e sfaccettata” oltre che militare, rivendicando di aver “respinto ogni tipo di tentativo ossessivo da parte di vari Paesi di imporre sanzioni contro Israele nell’Unione Europea”.
Di tutt’altro avviso si è mostrata la relatrice speciale delle Nazioni Unite Francesca Albanese, che dalla conferenza di Bogotà ha lanciato un appello affinché “ogni stato deve immediatamente rivedere e sospendere tutti i legami con lo Stato di Israele”, sostenendo che “l’economia israeliana è strutturata per sostenere l’occupazione che ora è diventata genocida”. Albanese, che è stata recentemente sanzionata dagli Stati Uniti, ha spiegato di essere stata punita “perché ho svelato l’economia del genocidio a Gaza”.
Violenze in Cisgiordania
La crisi si estende anche in Cisgiordania dove l’uccisione del palestinese-americano Seifeddin Musalat ha creato nuove tensioni diplomatiche. Il giovane di 20 anni, nato in Florida, è stato picchiato a morte da coloni israeliani nei terreni della sua famiglia durante il fine settimana, secondo quanto riferito dalla famiglia.
L’ambasciatore statunitense in Israele Mike Huckabee, noto sostenitore degli insediamenti israeliani, ha chiesto a Israele di indagare sull’uccisione definendola “un atto criminale e terroristico” per il quale “ci deve essere responsabilità”. L’episodio evidenzia le crescenti tensioni tra coloni e popolazione palestinese e mette in difficoltà un’amministrazione americana che deve bilanciare il sostegno a Israele con la protezione dei propri cittadini.
Le dinamiche regionali mostrano come ogni singolo episodio di violenza rischi di innescare reazioni a catena che coinvolgono attori multipli. Hamas ha condannato i continui attacchi israeliani definendoli “una escalation della guerra di sterminio”, mentre il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha definito il governo Netanyahu “la più grande minaccia per l’Umanità”.
La gestione di questa crisi multidimensionale richiederà un coordinamento internazionale senza precedenti e la capacità di affrontare simultaneamente le emergenze umanitarie immediate e le cause strutturali di un conflitto che continua a espandersi geograficamente e a coinvolgere nuovi attori. La stabilità dell’intera regione mediorientale dipende ora dalla capacità delle potenze internazionali di trovare soluzioni diplomatiche prima che la situazione degeneri ulteriormente, mentre il tempo stringe e le vittime civili continuano a moltiplicarsi su tutti i fronti di questo conflitto sempre più complesso.