Punti chiave
Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha scatenato una tempesta politica e diplomatica con le sue recenti dichiarazioni durante una conferenza a Gerusalemme. In un contesto di crescenti pressioni internazionali e di delicate trattative sullo scenario mediorientale, Smotrich ha risposto senza mezzi termini alle richieste dell’Arabia Saudita che condizionano qualsiasi avanzamento verso la normalizzazione dei rapporti con Israele a una chiara roadmap verso la fondazione di uno Stato palestinese.
Le sue parole, “Se l’Arabia Saudita dice normalizzazione in cambio di uno Stato palestinese, amici miei, no grazie. Continuate a cavalcare cammelli nel deserto saudita”, prontamente riportate dalla stampa israeliana e internazionale, sono rimbalzate in tutto il mondo e hanno suscitato reazioni indignate sia a livello interno che esterno.
La normalizzazione dei rapporti
L’uscita di Smotrich arriva in un momento in cui la questione della normalizzazione tra Israele e le potenze arabe del Golfo rappresenta una delle sfide cruciali della diplomazia mediorientale contemporanea. L’iniziativa si è intensificata soprattutto dopo l’annuncio, da parte della Casa Bianca, dell’intenzione del presidente Donald Trump di ospitare a novembre il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman per colloqui bilaterali.
Proprio il viaggio a Washington del leader saudita sarebbe un segnale di volontà di dialogo, anche se la posizione di Riyadh resta ferrea: nessuna apertura verso Israele senza una soluzione “irreversibile e garantita” per la creazione di uno Stato palestinese.
A Gerusalemme, la risposta ufficiale del governo israeliano si mostra divisa. La fazione più oltranzista, rappresentata da Smotrich e dai rappresentanti dei partiti nazional-religiosi, non solo rigetta le condizioni saudite, ma rilancia addirittura l’idea dell’annessione unilaterale della Cisgiordania e una linea dura sulla questione palestinese.
Smotrich ha infatti sottolineato che “la sovranità israeliana sui territori è la cartina di tornasole” di qualsiasi processo diplomatico, ribadendo la sua opposizione di principio a qualsiasi progresso verso la nascita di uno Stato palestinese.
Il suo intervento si è svolto in contemporanea con la votazione preliminare alla Knesset su una proposta di legge che mira a legalizzare l’annessione dei territori occupati, una mossa che ha incontrato la resistenza della stessa maggioranza guidata da Netanyahu e ha preoccupato l’amministrazione statunitense per le possibili ripercussioni sui delicati equilibri geopolitici regionali.
Le opposizioni insorgono
Le dichiarazioni di Smotrich hanno provocato immediate reazioni critiche anche tra i leader dell’opposizione israeliana. Yair Lapid, ex primo ministro e attualmente all’opposizione, ha pubblicamente preso le distanze dalle parole del ministro, precisando ai partner internazionali che “Smotrich non rappresenta lo Stato di Israele”.
Benny Gantz, ex ministro della Difesa, ha definito le frasi rivolte ai sauditi “irresponsabili e dannose”, sottolineando che la leadership del Paese non può essere affidata a chi privilegia la propaganda sui social media rispetto alla stabilità nazionale.

Al di fuori di Israele, i commenti di Smotrich sono stati percepiti come non solo offensivi ma sintomatici di una crescente polarizzazione del dibattito politico israeliano circa la questione palestinese e la normalizzazione con il mondo arabo. Gran parte della stampa internazionale ha evidenziato il sottotesto razzista dell’espressione “continuate a cavalcare cammelli”, che richiama stereotipi storici e rischia di minare quei fragili canali diplomatici che gli Stati Uniti stanno tentando di tessere con fatica per ampliare l’orizzonte degli Accordi di Abramo.
Dal punto di vista saudita la posizione è chiara e pubblicamente ribadita dal principe ereditario e dai vertici della diplomazia di Riyadh: nessuna relazione formale con Israele sarà possibile in assenza di passi concreti, verificabili e irreversibili verso l’autodeterminazione palestinese.
Israele è divisa
Dal fronte interno israeliano traspare anche un elemento di forte contraddizione. Se da una parte, secondo recenti sondaggi, circa il 73% degli israeliani si dichiara favorevole a una normalizzazione con l’Arabia Saudita anche a fronte di concessioni significative nello status dei territori palestinesi, nel governo prevalgono invece posizioni intransigenti. L’esecutivo guidato da Netanyahu è infatti alle prese con una fragile maggioranza parlamentare, in cui ciascun partito esprime priorità profondamente divergenti riguardo allo status dei territori e al futuro processo di pace.
Alla base del rifiuto israeliano rimane un elemento identitario e strategico. Smotrich e i partiti di destra estrema considerano il riconoscimento di uno Stato palestinese come una “minaccia esistenziale” alla sicurezza e all’integrità di Israele.
Alla conferenza, il ministro ha evocato il trauma delle ondate di attentati che negli anni hanno colpito la popolazione civile israeliana ogni qualvolta apparivano spiragli di apertura diplomatica verso i palestinesi, lasciando intendere che ogni concessione unilaterale rappresenterebbe un rischio inaccettabile per la sicurezza nazionale.
La tensione internazionale
Sul piano internazionale, le dichiarazioni di Smotrich rischiano ora di inasprire la posizione saudita e di complicare ulteriormente la missione diplomatica americana guidata dal presidente Trump, che avrebbe voluto presentare il summit di novembre come un passo decisivo verso la pace regionale.
Riyadh, storicamente custode dei principali Luoghi Santi islamici e leader morale dell’area, è sottoposta anche a forti spinte interne: accettare una normalizzazione senza progressi reali per la causa palestinese significherebbe esporre l’intera famiglia reale a pressioni popolari e critiche da tutto il mondo musulmano.
Il nodo, dunque, resta quello di sempre: la questione palestinese non è soltanto un ostacolo tecnico nelle trattative, ma incarna il cuore del conflitto arabo-israeliano e della legittimità dei nuovi assetti geopolitici nella regione. Mentre Israele prosegue con una politica orientata alla massimizzazione dei guadagni diplomatici senza concessioni sui territori, la leadership saudita ribadisce che nessun accordo sarà possibile senza una soluzione concreta e dignitosa per i palestinesi.
Negli ultimi mesi questa posizione si è addirittura irrigidita, soprattutto dopo il riaccendersi del conflitto su Gaza e il malcontento suscitato dalle politiche israeliane sui territori occupati. Fonti diplomatiche riportano che Riyadh ha respinto le recenti aperture americane che avrebbero potuto aggirare la questione palestinese, rendendo ogni spiraglio di intesa sempre più lontano.
All’interno di questa cornice si muovono ambizioni personali, strategie di conservazione del potere e incognite sul futuro ordine regionale. L’asprezza delle parole di Smotrich segnala una fase di irrigidimento dello scontro politico e diplomatico e rischia di lasciare una traccia profonda sugli equilibri futuri del Medio Oriente.
I prossimi incontri a Washington, l’eventuale risposta saudita e le scelte che Netanyahu sarà costretto a fare sul fronte interno diranno se la diplomazia avrà ancora margini, o se prevarrà una nuova stagione di chiusure e tensioni. In questo quadro carico di incognite, ogni dichiarazione pubblica, ogni parola pronunciata davanti alle telecamere, si trasforma in un elemento cruciale che può orientare o distruggere mesi di iniziative diplomatiche e di trattative spesso condotte dietro le quinte. Un errore di comunicazione può costare più di una battaglia persa sul campo.