Punti chiave
Gli Stati Uniti rivedono le politiche migratorie dopo l’attacco che ha coinvolto membri della National Guard, sospendendo tutte le richieste di ingresso e visto per cittadini afghani.
Washington scossa dopo lo sparo che cambia tutto
Il 26 novembre 2025 un attentato in pieno centro Washington, a pochi isolati dalla residenza ufficiale della Casa Bianca, ha causato feriti gravi tra membri della United States National Guard impegnati in servizio nelle strade della capitale. Il sospettato, un cittadino afghano identificato come Rahmanullah Lakanwal, è stato rapidamente arrestato dalle forze dell’ordine. L’episodio ha generato immediatamente un’ondata di shock politico e mediatico, ma ha anche innescato un dibattito profondo sul rapporto tra immigrazione, sicurezza e politiche di accoglienza degli ultimi anni.
Nel caos delle prime ore, la dinamica dell’attacco è stata descritta come un’imboscata: il sospettato avrebbe aperto il fuoco contro due Guardie Nazionali, ferendole gravemente, prima di essere neutralizzato. Le circostanze restano sotto indagine: il movente non è stato ufficializzato, ma l’origine afghana del presunto aggressore e il contesto delle tensioni politiche in patria e all’estero hanno immediatamente indirizzato l’attenzione su questioni legate a immigrazione, vetting e sicurezza interna.
Reazione statunitense: sicurezza, immigrazione, politiche migratorie
La reazione dell’amministrazione degli Stati Uniti è stata rapida e netta. Il presidente Donald J. Trump ha definito l’attacco un “atto di terrorismo” e ha chiesto una revisione completa di tutti gli immigrati afghani ammessi negli Stati Uniti durante la presidenza del suo predecessore. Ha indicato le politiche di immigrazione e asilo, in particolare il programma di evacuazione e accoglienza afghana, come una falla critica per la sicurezza nazionale.
Immediatamente dopo, la U.S. Citizenship and Immigration Services (USCIS) ha annunciato la sospensione indefinita di tutte le richieste di immigrazione provenienti da cittadini afghani, in attesa di una revisione delle procedure di vetting. Il provvedimento, drastico e senza precedenti, segna una svolta significativa nella politica migratoria americana, segnalando un cambio di priorità verso la sicurezza interna a scapito dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo provenienti dall’Afghanistan.

Parallelamente il governo ha autorizzato un dispiegamento aggiuntivo di truppe della Guardia Nazionale a Washington, incrementando la presenza militare nelle strade della capitale. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la protezione delle istituzioni e garantire ordine e sicurezza, ma l’azione ha avuto immediatamente un effetto politicizzante: l’attacco è stato utilizzato come argomento centrale nella campagna per stringere le maglie sull’immigrazione.
Impatto sulle comunità afghane e rifugiati: paura, tensioni, incertezza
La decisione di sospendere ogni nuova richiesta di immigrazione da parte di afghani ha generato allarme tra le comunità di rifugiati, le ONG e attivisti per i diritti umani. Molti degli afghani che negli ultimi anni hanno trovato rifugio negli Stati Uniti, spesso in fuga da persecuzioni, conflitti o regime talebano, si trovano ora di fronte a un quadro sempre più incerto. Il messaggio istituzionale, duro e politicizzato, alimenta la sensazione di “colpa per associazione”: anche chi è regolarmente residente e controllato può vedere messa in discussione la propria presenza. Alcune voci di advocacy parlano esplicitamente di stigmatizzazione collettiva, pericolosa in un sistema costruito su criteri di nazionalità. Da parte degli attivisti per l’immigrazione e della comunità afghana negli USA, c’è chi denuncia che l’attacco, seppur grave e da condannare, non è ragione sufficiente per sospendere procedure d’asilo o immigrazione.
Ricordano che la stragrande maggioranza degli afghani evacuati con programmi degli anni precedenti (ad esempio l’operazione di accoglienza post-ritiro statunitense) era soggetta a controlli multipli, background check, screening biometrico, controlli di intelligence e antiterrorismo. Per loro, questa reazione rischia di essere generalizzante e di punire vittime di guerre e persecuzioni.
Una crisi politica annunciata: immigrazione e sicurezza nella nuova agenda USA
L’attacco e la reazione che ne è seguita sono al centro di un cambiamento profondo nella narrativa della sicurezza nazionale americana. La sospensione immediata delle richieste di immigrazione afghana non è un mero atto simbolico, ma un segnale che definisce priorità: il governo attuale considera la sicurezza interna e il controllo dei flussi migratori come elementi centrali della sua agenda, anche a costo di traumi per chi cerca rifugio.
Da un lato, questa decisione consolida un approccio securitario e restrittivo e dall’altro, apre la porta a una stretta generalizzata su asilo e immigrazione da aree in conflitto, non solo Afghanistan. Il precedente potrebbe essere usato come modello per altre politiche discriminatorie, rafforzando barriere legali e burocratiche per richiedenti asilo, rifugiati e migranti.

L’effetto sarà probabilmente un aumento dei respingimenti, una dilatazione dei tempi di attesa, un circolo di incertezza sociale per migliaia di persone che avevano riposto speranze negli Stati Uniti.
È probabile che questa linea resti centrale nel dibattito politico interno nell’imminente periodo. Le pressioni su Congressi e agenzie federali per rafforzare controlli, limitare ingressi, potenziare espulsioni, già espresse da parte dell’amministrazione, potrebbero concretizzarsi in leggi dure e normative restrittive.
Il nodo del vetting, le contraddizioni e le sfide
La giustificazione della sospensione data dall’amministrazione è la sicurezza nazionale. Tuttavia rimangono nodi critici. Primo: le autorità non hanno rilasciato una prova pubblica che colleghi sistematicamente il sospettato a reti terroristiche internazionali, per ora l’accusa è quella di un singolo attacco. Secondo: migliaia di afghani ammessi negli anni precedenti sono stati sottoposti a screening e controlli, spesso con esito regolare. La decisione collettiva, cioè sospendere ogni richiesta di immigrazione, appare dunque come una misura punitiva generalizzata, che travolge innocenti insieme a eventuali colpevoli.
C’è poi un elemento geopolitico da considerare ovvero che l’Afghanistan resta un teatro instabile, un luogo da cui migliaia di persone cercano salvezza. Rendere l’accesso ancora più difficile significa non solo negare diritti umanitari, ma chiudere un corridoio di protezione per chi ha davvero bisogno. In un momento in cui l’Europa e gli Stati Uniti dovrebbero discutere, con coerenza e responsabilità, politiche di rifugiati e asilo, la reazione di Washington potrebbe diventare un precedente per la restrizione sistematica sull’immigrazione internazionale.
Verso un nuovo equilibrio tra migrazioni, sicurezza e diritti o un giro di vite permanente?
A poche ore dall’attacco, le decisioni dell’amministrazione americana segnano l’inizio di una fase che potrebbe ridefinire per anni il rapporto tra Stati Uniti, migranti afghani e rifugiati. La sospensione dell’immigrazione afghana non è un atto temporaneo: prende la forma di una nuova linea strategica, basata sulla percezione che immigrazione e sicurezza siano oggi due facce della stessa minaccia.
Il risultato rischia di essere un’ulteriore erosione dei diritti di asilo, un rafforzamento dei meccanismi di esclusione e una stigmatizzazione permanente di intere comunità. Se per molti cittadini statunitensi la decisione rappresenta un segnale di protezione, per altri e per molte delle vittime della guerra in Afghanistan significa la chiusura di ogni speranza.In questo contesto l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti, si avvicinano a un bivio: scegliere tra un approccio securitario esplicito e restrittivo oppure ridefinire un equilibrio che contempli prevenzione, sicurezza e rispetto dei diritti umani.
Quel che è certo è che le conseguenze di queste scelte, sull’immigrazione, sulle comunità vulnerabili, sull’immagine internazionale di Washington, si faranno sentire per molto tempo.


