Punti chiave
A rischio il futuro della casa per migliaia di famiglie
La scena economica e sociale di Genova è stata recentemente scossa da un provvedimento che ha rapidamente acceso il dibattito tra amministrazione comunale, associazioni dei proprietari immobiliari e rappresentanti degli inquilini. La decisione della nuova giunta guidata da Silvia Salis di aumentare l’IMU per le abitazioni affittate a canone concordato ha suscitato reazioni di protesta, lasciando intravedere profonde conseguenze economiche e sociali in una città già provata dalle sfide degli ultimi anni.
L’annuncio, arrivato a sorpresa, prevede che l’aliquota IMU salga già a partire dal saldo di dicembre. Si tratta di una prima manovra fiscale importante per la nuova amministrazione, giustificata con l’esigenza di risanare i conti comunali e coprire un disavanzo consistente. Questa misura dovrebbe garantire, secondo le stime ufficiali, un incasso extra per le casse municipali. Il vicesindaco e assessore al bilancio Alessandro Terrile ha illustrato la necessità di questa scelta, sottolineando che “serve a garantire servizi essenziali come il sociale, la scuola e la manutenzione dei rivi”, destinando quindi, nell’immediato, gran parte delle nuove entrate proprio ai settori del welfare cittadino e dell’istruzione.
Tuttavia, tale motivazione non ha calmato gli animi. Anzi, il provvedimento ha acceso robuste critiche su più fronti. Le associazioni dei piccoli proprietari, guidate da figure come Vincenzo Nasini, presidente provinciale dell’APE Confedilizia, hanno bollato la decisione come un “pessimo esordio” della giunta Salis: secondo Nasini, il Comune ha scelto di colpire la fascia di cittadini che ha sostenuto più di tutti le politiche abitative sostenibili, offrendo alloggi a canone calmierato, invece di favorire la speculazione sugli affitti brevi o di ricercare altrove i fondi mancanti.
Nel clima di contestazione, le associazioni dei proprietari immobiliari hanno maturato l’intenzione di disertare il tavolo di confronto programmato con l’amministrazione comunale, manifestando un netto rifiuto verso un dialogo che, dopo questa scelta, appare sempre più complicato. Le parole di Nasini hanno un tono inequivocabile: “Peggio di così non potevano iniziare”. Sostiene che questa misura non solo indebolisce la fiducia tra cittadini e amministrazione, ma rischia di accelerare la trasformazione del mercato immobiliare verso affitti più instabili e meno accessibili, con effetti paradossali sul tessuto sociale della città.
Il dettaglio economico
Analizzando più nel dettaglio, l’imposta sugli immobili locati con canone concordato rappresentava una delle agevolazioni fondamentali per chi sceglieva, volontariamente, di offrire la propria abitazione a famiglie o individui con minori possibilità economiche, secondo le regole definite dagli accordi territoriali tra associazioni di proprietari e inquilini, il canone si attestava su valori sensibilmente inferiori rispetto al libero mercato, proprio per garantire un accesso più equo alla casa. L’abolizione dell’agevolazione e il conseguente aumento dell’imposta rischiano ora di minare questo delicato equilibrio.
Le reazioni negative non si fermano ai soli proprietari: anche le associazioni degli inquilini, quali Sunia e Sicet, hanno espresso preoccupazione per un possibile effetto domino sull’accessibilità abitativa. Un rincaro dell’IMU potrebbe infatti ricadere direttamente sui canoni di affitto, aumentando la pressione sulle fasce più deboli della popolazione, tradizionalmente beneficiarie dei contratti a canone concordato. I rappresentanti degli inquilini sottolineano come la tendenza potrebbe incentivare molti proprietari a preferire l’affitto breve o turistico, giudicato oggi molto più redditizio rispetto alla locazione a lungo termine con canone calmierato.
Non meno accese le critiche delle opposizioni politiche in consiglio comunale. Per “Vince Genova” e le altre forze di centrodestra, la manovra viene percepita come un tradimento delle promesse elettorali della giunta Salis e come una scelta in contraddizione con l’impegno progressista assunto, almeno a parole, sul tema della casa e della tutela delle fasce sociali più fragili. Le opposizioni avvertono che questo provvedimento colpisce indirettamente soprattutto le classi medie e medio-basse, rischiando di aggravare la questione degli affitti, già esplosiva nelle principali città italiane, e portando benefici economici che, rispetto ai disagi arrecati, vengono considerati modesti e insufficienti a giustificare la decisione.
Il contesto in cui matura questa scelta è, del resto, estremamente delicato. Genova si trova infatti a gestire, come molte altre città italiane, una crisi strutturale legata al sistema casa che tocca sia la domanda che l’offerta: da un lato famiglie che faticano a trovare alloggi a prezzi sostenibili, dall’altro proprietari alle prese con costi crescenti di manutenzione e tassazione, spesso in difficoltà nella gestione di morosità e rischio di sfratti. In questo quadro, l’appeal degli affitti brevi rischia concretamente di sbilanciare ulteriormente il mercato a danno delle locazioni tradizionali.
Un’analisi più approfondita della situazione mostra come la norma interessi una cifra rilevante di alloggi, che incide direttamente su un’ampia fetta del mercato immobiliare cittadino. Il timore principale delle associazioni coinvolte è che, qualora la misura restasse invariata, si possa assistere a una fuga progressiva dei proprietari dal canale dell’offerta agevolata, con una riduzione dell’offerta di abitazioni a canone calmierato e un inevitabile aumento della pressione sugli affitti tradizionali. Una dinamica, avvertono diversi osservatori, che andrebbe a penalizzare ulteriormente l’accesso all’abitazione per i giovani, i lavoratori precari e le famiglie numerose, accentuando il disagio sociale in tutto il territorio.
C’è poi un’ulteriore questione cruciale: l’impatto psicologico e politico che questa decisione ha sul livello di fiducia tra categorie produttive e amministrazione. La decisione delle associazioni di abbandonare il tavolo di confronto non può essere sottovalutata. Si sta materializzando una rottura nel dialogo tra il Comune e chi, fino a oggi, aveva collaborato al fine di trovare soluzioni condivise per la questione abitativa. Il rischio di una contrapposizione esasperata tra istituzioni e cittadini cresce ogni giorno, generando uno scenario a tratti imprevedibile, in cui la concertazione sembra lasciare spazio solo alla protesta.
Dal Comune, la difesa della misura passa per la retorica dell’emergenza finanziaria e della necessità di dare priorità ai servizi essenziali. Tuttavia, il malessere diffuso evidenzia come la percezione della cittadinanza vada in tutt’altra direzione. L’amarezza traspare anche dalle parole di rappresentanza delle associazioni dei proprietari e degli inquilini, che in questi giorni si ritrovano, pur da fronti spesso opposti, uniti nella preoccupazione per una città che rischia di diventare ancora meno inclusiva ed equa sul fronte dell’abitare.
Di fronte a tutto ciò, una domanda centrale aleggia su Genova: quali saranno le ricadute reali sul mercato immobiliare e sul tessuto sociale cittadino nei prossimi mesi? Molti attendono di veder tradotta in atti pratici la promessa delle istituzioni di “cercare soluzioni alternative” e mitigare gli effetti negativi del provvedimento, magari individuando risorse da altre voci di bilancio o introducendo nuovi strumenti di protezione a favore dei più esposti. Tuttavia, la sensazione diffusa è che la frattura sia ormai profonda, e che per ricucirla serviranno molto più che parole di circostanza.
Il dibattito genovese sul rialzo dell’IMU offre così uno squarcio rivelatore sulle tensioni e sulle fragilità del sistema Italia nel suo complesso. Da un lato l’urgenza dei conti pubblici, dall’altro la tutela del diritto alla casa e della coesione sociale. Il caso genovese è destinato a far scuola, nel bene o nel male, e a costituire un importante banco di prova per il rapporto – sempre complesso – tra fiscalità, politiche sociali e futuro delle città.