Stati Uniti e Cina, nuovi accordi sui dazi


In una svolta attesa dai mercati globali, Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo temporaneo per ridurre reciprocamente le tariffe doganali, alleggerendo una guerra commerciale che durava da sette anni e minacciava di innescare una recessione mondiale. L’intesa, definita “storica” dal Segretario al Tesoro americano Scott Bessent, prevede un taglio immediato dei dazi del 115% su entrambi i fronti, con effetti a partire da mercoledì 14 maggio.

I numeri dell’accordo

Secondo i dettagli resi noti a Ginevra, dove i negoziatori si sono incontrati per due giorni, Washington abbatterà le tariffe aggiuntive imposte ad aprile 2025 dal 145% al 30% su beni cinesi per un valore di 200 miliardi di dollari, mantenendo un dazio base del 10% ereditato da precedenti amministrazioni. Pechino, dal canto suo, ridurrà i propri dazi dal 125% al 10% su prodotti statunitensi equivalenti, incluso grano, carne bovina e componenti elettronici. La tregua durerà 90 giorni, durante i quali le parti valuteranno l’impatto economico e negozieranno ulteriori alleggerimenti.

Abbiamo rappresentato entrambi i nostri interessi nazionali con successo”, ha dichiarato Bessent nel briefing congiunto con il rappresentante commerciale Jamieson Greer. “Nessuno dei due Paesi vuole un disaccoppiamento: i dazi elevati equivalgono a un embargo, e non è questa la direzione”. Il segretario ha inoltre annunciato l’istituzione di un forum permanente di consultazione, con incontri bisettimanali alternati tra USA, Cina e Paesi terzi come Singapore, per gestire le dispute commerciali.

La notizia ha scatenato un’ondata di ottimismo sui mercati finanziari. Il dollaro si è rafforzato dello 0,8% contro lo yen e l’euro, mentre i futures sull’indice S&P 500 sono saliti dell’1,4%, trascinati dai titoli tech e industriali. In Europa, le azioni di Maersk sono schizzate del 12%, dopo che la compagnia danese aveva lamentato un crollo del 40% nei volumi di container transatlantici a causa della guerra commerciale5. Anche i colossi del lusso LVMH e Kering hanno registrato rialzi superiori al 6%, specchio delle aspettative su una ripresa degli acquisti cinesi.

“Il risultato supera le attese: prevedevo un taglio al 50%”, ha commentato Zhiwei Zhang, capoeconomista di Pinpoint Asset Management a Hong Kong. “Ora gli investitori temono meno le interruzioni delle catene di approvvigionamento, almeno nel breve termine”. Tuttavia, gli analisti avvertono che le tariffe residue del 10% continueranno a gravare su settori strategici come semiconduttori, acciaio e farmaci, con un deficit commerciale USA-Cina ancora fermo a 295 miliardi di dollari.

Il retroscena: dal “Liberation Day” alla tregua lampo

L’accordo arriva dopo mesi di escalation culminati lo scorso aprile con il cosiddetto “Liberation Day”, quando il presidente Donald Trump aveva imposto dazi del 145% sul 60% delle importazioni cinesi, definendolo “un regalo agli operai americani”. Una mossa che aveva spinto Pechino a bloccare le esportazioni di terre rare essenziali per l’industria bellica statunitense e ad alzare al 125% i dazi su 300 prodotti USA, dal grano del Midwest ai Boeing.

Secondo fonti vicine ai negoziati, la svolta è maturata grazie alla mediazione informale della Svizzera, che ha ospitato gli incontri nella residenza privata dell’ambasciatore elvetico all’ONU, affacciata sul lago di Ginevra. “Il setting ha favorito un dialogo costruttivo”, ha riconosciuto Bessent, sottolineando il tono “amichevole ma fermo” dei colloqui.

Le ombre sul futuro: dal fentanyl alla competizione tecnologica

Nonostante i progressi, restano nodi irrisolti. Il rappresentante commerciale Greer ha confermato che le trattative sul contrasto al traffico di fentanyl, una delle giustificazioni iniziali di Trump per i dazi, proseguiranno su un binario separato, senza garanzie immediate. Intanto, Pechino ha già avvertito: “Se non ci saranno ulteriori progressi entro agosto, le tariffe torneranno ai livelli precedenti”.

C’è poi la questione della guerra tecnologica. L’accordo non menziona le restrizioni USA sulle esportazioni di chip avanzati verso la Cina, né i sussidi cinesi alle aziende di energia rinnovabile, considerati “pratiche sleali” da Washington. “Questa è una tregua, non una pace”, sintetizza Rebecca Strauss del Council on Foreign Relations. “Il conflitto strategico resta intatto, e con esso i rischi di nuove escalation”.

Prossimi appuntamenti: luglio 2025 come banco di prova

I negoziatori si incontreranno di nuovo entro fine luglio per valutare l’efficacia dell’accordo. Nel frattempo, l’attenzione si sposta sul voto di midterm statunitense di novembre, dove Trump punta a capitalizzare il successo della tregua per riconquistare il Congresso. Ma per milioni di imprese e lavoratori colpiti dai dazi, il vero test arriverà il 14 agosto, quando scadrà la finestra dei 90 giorni. In caso di fallimento, le tariffe torneranno ai massimi storici, riaccendendo lo spettro della recessione globale.