Il bilancio delle vittime a Gaza ha superato la soglia impressionante di 64.000 morti: un dramma umano senza precedenti e testimonianza della devastazione prodotta dalla guerra tra Israele e Hamas che dura ormai da quasi due anni. I dati sono stati diffusi dal Ministero della Sanità di Gaza, gestito dall’amministrazione Hamas e considerati affidabili da molte agenzie delle Nazioni Unite e da esperti indipendenti, anche se contestati da Israele, che però non ha finora pubblicato un proprio conteggio ufficiale. Un dettaglio significativo riguarda le ultime rilevazioni: circa 400 persone precedentemente segnalate come disperse vengono ora conteggiate come decedute, aggiornando così il bilancio globale delle morti individuate.
È fondamentale sottolineare che donne e bambini rappresentano circa metà delle vittime, secondo le stime diffuse dalle autorità. Gli ospedali di Gaza ricevono senza sosta corpi di civili e feriti gravi, e le notizie di offensiva militare israeliana nella zona di Gaza City si succedono con ritmo incalzante. Il numero dei morti continua ad aumentare giorno dopo giorno, soprattutto in seguito ai bombardamenti che colpiscono tende di sfollati e abitazioni precarie in quartieri residenziali e zone di rifugio.
A Gaza City, la situazione ha raggiunto livelli estremi di crisi. Nelle ultime ore, i raid israeliani hanno ucciso almeno 28 persone durante la notte, principalmente donne e bambini, come risulta dai registri dell’ospedale Shifa. Tra i corpi ritrovati figura anche quello di un neonato di appena 10 giorni, segno di una violenza che non risparmia nessuna fascia d’età. Nella parte meridionale della Striscia, ulteriori vittime sono state segnalate all’ospedale Nasser di Khan Younis. Le autorità sanitarie lamentano da tempo la carenza di forniture mediche e la mancanza di accesso sicuro per le ambulanze, soprattutto nelle aree più colpite dai combattimenti e dai bombardamenti. Le condizioni delle strutture ospedaliere sono drammatiche, sovraffollate, spesso prive di elettricità e con riserve di farmaci ormai esaurite, mentre il flusso di feriti non accenna a diminuire.
La crisi umanitaria è aggravata dal rischio di carestia che affligge la popolazione locale. L’ONU e le principali organizzazioni umanitarie mondiali denunciano una situazione “catastrofica”: la fame e la malnutrizione minacciano centinaia di migliaia di gazawi, colpendo in modo drastico i bambini e i malati cronici. La distribuzione degli aiuti umanitari è ostacolata dai combattimenti e dai blocchi israeliani, tanto che il Programma Alimentare Mondiale lamenta l’impossibilità di far giungere le forniture tramite camion, obbligando spesso a ricorrere a rischiose consegne via aria, che non riescono comunque a coprire il fabbisogno complessivo della popolazione. Intanto molte famiglie rischiano la vita cercando di avvicinare i punti di distribuzione o i drop aerei, mentre la tensione tra la fame e la guerra si trasforma in una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Il rischio di morte per fame si somma a quello per i bombardamenti, creando un circolo vizioso che colpisce i più vulnerabili.
A livello diplomatico, il fronte della guerra appare bloccato. Hamas ha dichiarato di essere pronta alla restituzione di tutti gli ostaggi ancora nelle proprie mani, in cambio della liberazione dei detenuti palestinesi, del cessate il fuoco permanente, del ritiro delle forze israeliane da tutta Gaza e della riapertura dei confini, passo cruciale per la ripresa delle attività civili e la ricostruzione del territorio. Israele, tuttavia, ha respinto la proposta, etichettandola come mera propaganda, insistendo invece sul disarmo totale di Hamas, la restituzione di tutti gli ostaggi e il controllo militare sulla Striscia. Le condizioni poste dalle due parti sembrano quindi irrimediabilmente incompatibili, con il risultato che la guerra prosegue e la popolazione civile paga il prezzo più alto.
Le trattative per un cessate il fuoco, seguite nei mesi precedenti dal coinvolgimento di mediatori regionali come l’Egitto e il Qatar, si sono arenate dopo il rifiuto reciproco sulle condizioni proposte. Gli Stati Uniti hanno provato ad assumere il ruolo di mediatori, ma i negoziati si sono bloccati e non esiste al momento nessun segnale di ripresa concreta del dialogo. Le dichiarazioni delle parti continuano a essere intransigenti: Israele promette di liberare i territori di Gaza da ogni presenza armata di Hamas, mentre la fazione palestinese chiede la garanzia di poter ricostruire e vivere senza la minaccia di incursioni armate e bombardamenti indiscriminati.
Sul fronte militare, le truppe israeliane stanno portando avanti le fasi iniziali di una nuova offensiva volta a prendere il controllo di Gaza City, la zona più popolosa della Striscia. Molte delle circa un milione di persone che vivevano in città risultano sfollate e costrette a rifugiarsi in aree protette o improvvisati campi, spesso colpiti anch’essi dalle bombe. Il portavoce delle forze armate israeliane ha dichiarato che circa il 40% della città è ora sotto controllo israeliano e che le operazioni proseguiranno con ulteriore intensità nei prossimi giorni.
Israele ribadisce che i propri attacchi hanno l’obiettivo di colpire esclusivamente obiettivi militari e di evitare vittime civili, attribuendo la responsabilità dei morti a Hamas che, secondo il governo di Tel Aviv, utilizza le aree densamente abitate come basi operative. La comunità internazionale, tuttavia, esprime crescente preoccupazione per il continuo aumento delle morti tra la popolazione civile e per la difficoltà nel distinguere chiaramente tra obiettivi militari e residenziali in un contesto urbano tanto densamente popolato. Diverse organizzazioni, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International, hanno chiesto cessate il fuoco immediato, l’apertura di corridoi umanitari e il rispetto del diritto internazionale, incluse le regole sulla protezione dei civili nei conflitti armati.
La gravità della crisi umanitaria mette in discussione la capacità del sistema internazionale di intervenire efficacemente e tutelare i diritti fondamentali della popolazione palestinese. Il dramma della fame e della mancanza di cure mediche si traduce anche in una pressione psicologica costante sui sopravvissuti, che vivono nella paura permanente. Molti bambini hanno perso intere famiglie e si ritrovano orfani e traumatizzati da esperienze di bombardamenti, distruzione e violenza. La distruzione materiale è confermata dai dati satellitari: vastissime aree di Gaza sono ridotte in macerie, scuole e ospedali distrutti, infrastrutture irrecuperabili e sistemi idrici e fognari compromessi per anni.
Nel contesto del conflitto, i tentativi internazionali di porre fine alle ostilità non hanno dato i frutti sperati. Più di cento organizzazioni no profit hanno denunciato la strumentalizzazione del flusso degli aiuti da parte delle autorità israeliane, bloccando l’ingresso di forniture vitali. Scene di disperazione popolano i report delle agenzie umanitarie: donne e bambini morti in fila per il cibo, giovani spinti dalla fame rischiano la vita nell’inseguire gli airdrop di farine e medicinali, medici costretti a lavorare senza strumenti, feriti e malati che non trovano alcuna possibilità di salvezza.
Ciò che sta avvenendo nella Striscia di Gaza pone domande sul futuro dell’intera regione, alimentando la spirale di odio e vendetta tra le popolazioni e rendendo sempre più difficile un vero processo di pace. Decine di rapporti delle organizzazioni internazionali mettono in evidenza il drammatico impatto sui minori, con un’intera generazione cresciuta tra macerie, fame, violenza e privazioni.
La popolazione di Gaza, stremata da continui bombardamenti e una crisi umanitaria senza precedenti, si trova oggi in condizioni di sopravvivenza estrema. La cifra di 64.000 morti è il simbolo più duro di una guerra che sembra non trovare soluzione. E mentre le diplomazie mondiali continuano a dibattere su come porre fine alle ostilità, il prezzo pagato dagli abitanti di Gaza è incalcolabile.