Punti chiave
Le prove geospaziali confermano ciò che diplomatici, analisti e residenti temevano: la capitale del Nord Darfur è diventata un enorme luogo del delitto a cielo aperto, mentre fino a 150.000 persone risultano scomparse.
Una città trasformata in una “scena del crimine” e i numeri del massacro
Le nuove analisi satellitari indipendenti mostrano una realtà devastante: El Fasher non è semplicemente caduta, è stata svuotata. Le immagini del Yale Humanitarian Research Lab indicano piles di corpi raggruppati, mercati completamente deserti, animali scomparsi e una rete di fosse e inceneritori recentemente scavati ai margini della città.
Nathaniel Raymond, che coordina l’analisi satellitare, afferma che l’area “somiglia sempre più a un mattatoio”. Nel confronto tra agosto e novembre 2025, la città appare priva di qualsiasi traccia di vita economica, sociale e commerciale.
Le prime stime parlano di 60.000 morti, ma il numero reale potrebbe essere molto più alto. Durante un briefing riservato alla Commissione per lo Sviluppo Internazionale del Parlamento britannico, un accademico ha parlato apertamente di una stima minima di 60.000 persone uccise nelle prime tre settimane dall’assalto della Rapid Support Forces (RSF).
Il numero più inquietante, tuttavia, riguarda i 150.000 civili ancora dispersi. Non risultano evacuazioni, né movimenti di popolazione verso l’esterno della città. Gli esperti ritengono che molti di loro siano morti, detenuti, sepolti in fosse comuni o scomparsi in incendi “di pulizia” eseguiti nelle ultime settimane.
Il blackout totale: El Fasher sigillata, ONU e operatori umanitari esclusi
Nonostante promesse fatte in pubblico, la RSF continua a impedire l’accesso alla città:Le agenzie delle Nazioni Unite non hanno potuto effettuare alcuna valutazione di sicurezza. Le ONG sono bloccate negli snodi di raccolta a decine di chilometri di distanza.
Non esiste alcun corridoio umanitario, né garanzia di protezione per civili o osservatori. Fonti dell’ONU confermano che nessuno può garantire la sicurezza all’interno di El Fasher. Nel frattempo, le testimonianze sui sopravvissuti scarseggiano, tutti i contatti diretti con residenti si sono interrotti circa due settimane dopo l’attacco.

La fuga di pochi superstiti ha permesso di registrare livelli “sconcertanti” di malnutrizione e un quadro di violenze che analisti e giuristi definiscono il peggior crimine di guerra del conflitto sudanese, già caratterizzato da: attacchi mirati contro civili, pulizia etnica, esecuzioni di massa, assedi prolungati mirati alla fame come arma bellica. L’assedio di 500 giorni contro El Fasher aveva già determinato una crisi umanitaria fuori controllo. L’assalto finale del 26 ottobre ha completato la distruzione del tessuto civile della città.
Ma anche mercati e arterie commerciali completamente privi di attività, al punto che la vegetazione inizia a riconquistare il terreno. Assenza di bestiame in tutta l’area urbana, segnale di collasso totale dell’economia di sussistenza. La scomparsa dell’intera vita economica urbana nel giro di poche settimane è coerente con operazioni di rastrellamento su larga scala.
Le prove satellitari: fosse comuni, inceneritori e mercati cancellati
Il contributo principale delle nuove analisi è la ricostruzione geospaziale della distruzione: Aree di cremazione identificate da firme termiche e accumuli di materiale, nuove fosse comuni scavate sistematicamente fuori dai vecchi cimiteri.
Circa centocinquantamila residenti risultano scomparsi. Non figurano tra gli sfollati che hanno raggiunto altre città. Non risultano detenuti ufficialmente. Non sono comparsi nelle poche comunicazioni emerse dall’interno. La città non ha elaborato alcun flusso in uscita compatibile con numeri così estesi.
L’assenza di qualsiasi traccia della loro presenza indica la possibilità di uccisioni di massa, deportazioni forzate, morti per fame e occultamento sistematico dei corpi. El Fasher, che prima della guerra contava un milione e mezzo di abitanti, mostra oggi un vuoto demografico che richiama le pagine più oscure dei conflitti africani del secolo passato. È un’assenza che pesa più dei rapporti ufficiali e che si manifesta nello scarto visivo tra ciò che la città era e ciò che appare oggi.
Zamzam: il precedente che nessuno ha voluto vedere
Un nuovo rapporto di Amnesty International conferma che l’attacco al campo sfollati di Zamzam, appena sei mesi fa, non fu un episodio isolato. Documenta difatti ostaggi civili, esecuzioni, distruzione di scuole e moschee e assalti sistematici a famiglie sfollate. Gli stessi metodi, fuoco indiscriminato, rastrellamenti, uso della fame come arma, sono oggi riconosciuti in scala maggiore a El Fasher.
In meno di tre anni, la guerra civile tra RSF e SAF ha trasformato il Sudan nella più grave catastrofe umanitaria mondiale:fino a 400.000 morti; quasi 13 milioni di sfollati interni ed esterni; collasso sanitario, scolastico, istituzionale; diffusione incontrollata di gruppi armati e banditismo.
Il risultato visibile dall’alto è una città trasformata in una gigantesca area di occultamento. Non si osserva alcun veicolo. Nessuna ombra umana. Nessuna attività nei corridoi logistici.
L’intero tessuto urbano appare come una superficie inanimata, congelata nel momento successivo a una pulizia sistematica. Le tracce di combustione si moltiplicano nelle zone periferiche, dove prima non esistevano infrastrutture né cantieri. La loro disposizione suggerisce un’attività intensa e metodica, incompatibile con una semplice crisi umanitaria o con un collasso spontaneo.

Segnali del collasso umanitario che preoccupa gli esperti
I pochi che sono riusciti a lasciare la città parlano di malnutrizione estrema. Le analisi mediche suggeriscono che El Fasher sia già entrata in una fase di carestia. Le colonne umanitarie restano ferme nelle città vicine, in attesa di garanzie di sicurezza che le RSF non hanno concesso. La chiusura totale del territorio implica che migliaia di persone ferite o sottratte ai bombardamenti non abbiano ricevuto alcun tipo di assistenza.
Tra le testimonianze raccolte nelle prime quarantotto ore dopo la caduta, alcune fonti locali avevano denunciato diecimila morti immediati. Dopo quelle comunicazioni iniziali, i contatti si sono interrotti. Questo silenzio, combinato con le immagini satellitari, rappresenta il cuore del mistero di El Fasher. Non si tratta più di verificare se la città sia vittima di un massacro. La domanda riguarda l’ordine di grandezza dell’evento.

L’immagine del mercato del bestiame, ripresa tre volte in ventiquattro mesi, mostra un’evoluzione drammatica: dalla vivacità del 2023 alla rarefazione del 2024, fino al totale azzeramento del 2025. È una traccia visiva che rispecchia la sequenza degli eventi e traduce in pixel ciò che nessun osservatore internazionale può verificare direttamente. I ricercatori sostengono che una tale metamorfosi non possa essere attribuita a una fuga graduale, ma solo a un intervento violento e rapido.
Le implicazioni legali: prospettive di responsabilità internazionale
I giuristi che osservano la situazione parlano già della possibilità che El Fasher diventi il caso più grave dell’intera guerra civile sudanese. Se le stime si confermassero, l’evento supererebbe per intensità, scala e rapidità molte delle stragi documentate in altre zone del Darfur negli ultimi due anni.Le RSF, già accusate di violenze sistematiche in più aree del paese, potrebbero trovarsi anche di fronte all’accusa di aver eliminato prove di crimini di guerra attraverso fosse comuni e cremazioni estese.
L’assenza totale di accesso per l’ONU, unita alla rimozione sistematica dei corpi, rientra nelle categorie più gravi dei comportamenti finalizzati a occultare atti potenzialmente genocidari.Il massacro del campo sfollati di Zamzam, avvenuto sei mesi prima, aveva già mostrato un modello ricorrente: attacchi mirati contro civili, distruzione di moschee e scuole, deportazioni e omicidi. El Fasher non rappresenta una deviazione, ma un salto di scala.
L’ urgenza di un intervento internazionale
La comunità internazionale continua a classificare il collasso sudanese come una crisi umanitaria, ma le ultime evidenze indicano il passaggio a una fase diversa. Non si tratta più soltanto di fame, sfollamento o violenze episodiche. El Fasher rappresenta un punto di rottura. La portata della distruzione e l’assenza totale di sopravvissuti visibili rende urgente una revisione completa dell’approccio internazionale. Con un Paese devastato da quasi quattrocentomila morti in trentadue mesi di guerra, l’impossibilità di accedere alla città implica che le prossime settimane saranno decisive. Se gli operatori umanitari non verranno autorizzati, El Fasher potrebbe emergere come uno dei più gravi crimini collettivi del ventunesimo secolo.


