Punti chiave
Migliaia di persone hanno riempito la piazza nota come Hostages Square e la strada Begin a Tel Aviv, riaccendendo le proteste dopo una pausa di tre settimane. La richiesta è chiara: un accordo per la liberazione dei 50 ostaggi ancora prigionieri a Gaza e la fine della guerra.
Le manifestazioni erano state sospese a causa della recente escalation tra Israele e Iran, che aveva monopolizzato l’attenzione pubblica e internazionale, e per il divieto di grandi assembramenti durante i ripetuti attacchi missilistici. Ora, però, la rabbia e la preoccupazione dei familiari degli ostaggi e dei sopravvissuti hanno riportato la questione al centro della scena politica e sociale del Paese.
Testimonianze e appelli al governo
Tra i protagonisti della serata, Liri Albag, una dei cinque soldati delle Forze di Difesa Israeliane rilasciati da Hamas durante la tregua tra gennaio e marzo, si è rivolta direttamente al primo ministro Benjamin Netanyahu e all’ex presidente americano Donald Trump, che nei giorni scorsi aveva espresso ottimismo sulla possibilità di un cessate il fuoco “entro la prossima settimana”.
“Negli ultimi quindici giorni, tutti i titoli parlavano dell’Iran. I miei fratelli e sorelle sono stati messi da parte”
“Negli ultimi quindici giorni, tutti i titoli parlavano dell’Iran. I miei fratelli e sorelle sono stati messi da parte”, ha detto Albag, riferendosi alla recente guerra con Teheran. “Cinquanta anime, cinquanta mondi: è ora di riportarli a casa”. Albag ha condiviso dettagli drammatici della sua prigionia: travestita con abiti palestinesi, è stata condotta per le strade di Gaza e poi rinchiusa in una gabbia sotterranea di due metri per due, insieme ad altre donne e ragazze. “Ci davano un quarto di pita, un dattero e mezza ciotola di riso al giorno. Ogni secondo sembrava un’eternità. Questa è la realtà degli ostaggi”, ha raccontato.
Anche Sharon Alony Cunio, moglie dell’ostaggio David Cunio, ha preso la parola con un appello commovente: “Ogni sera le mie figlie mi chiedono: ‘Mamma, quando torna papà?’. Io non ho risposte. E vi chiedo: qualcuno qui ha una risposta per me? Per le mie figlie?
Com’è possibile che siano passati quasi due anni e David, l’amore della mia vita, il padre delle mie bambine, sia ancora lì? Le bambine si ricordano ancora di lui, ma come ogni ricordo, sta svanendo. Io non voglio che David diventi solo un ricordo. Perché David è vivo. Ho bisogno che la mia voce diventi la vostra voce. Lottate con me. Non lasciate che questa situazione continui un altro giorno, un’altra settimana, un altro mese. Perché può tornare. Tutti possono tornare. Ora. Non con un accordo parziale, non a fasi, non a turni: tutti. Ora”.
All’inizio della serata, i familiari degli ostaggi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, chiedendo la fine immediata della guerra e un accordo globale per riportare a casa i loro cari. “Vivono di tempo in prestito: possono essere salvati”, ha detto Einav Zangauker, madre dell’ostaggio Matan Zangauker. Yehuda Cohen, padre del soldato rapito Nimrod Cohen, ha aggiunto: “C’è un accordo sul tavolo. Non possiamo perdere questa opportunità. È arrivato il momento di un accordo globale: è la volontà del popolo e nell’interesse di Israele”.
Critiche al governo e alle proposte di accordo
In un’altra parte di Tel Aviv, circa 1.500 manifestanti si sono radunati all’ingresso del quartier generale dell’IDF su Begin Road, dove nei giorni scorsi era caduto un missile iraniano. Itzik Horn, padre dell’ostaggio Eitan Horn e del sopravvissuto Iair Horn, ha condannato quello che ha definito “il fallimento continuo del governo dal 7 ottobre”. “Nonostante quello che abbiamo fatto con l’Iran, che è stata una cosa grande… non dimenticheremo e non perdoneremo. Dal 7 ottobre, nessun ministro o membro della Knesset della coalizione mi ha parlato”, ha detto.
Horn ha anche respinto la proposta di accordo avanzata dall’inviato speciale della Casa Bianca, che prevede un cessate il fuoco di 60 giorni durante il quale Hamas rilascerebbe circa la metà degli ostaggi vivi e morti a fasi. “Secondo questo piano, la metà degli ostaggi restano indietro”, ha detto Horn, paragonando la proposta alle selezioni nei campi di concentramento. “È impossibile spiegare perché il primo ministro scelga sempre di rilasciare gli ostaggi a pezzi”.
Negli ultimi giorni si è parlato di un rinnovato sforzo diplomatico tra Gerusalemme e Washington per arrivare, nelle prossime settimane, a un accordo che porti al rilascio di tutti gli ostaggi, ma non ci sono ancora conferme ufficiali. Le proteste di sabato hanno segnato la ripresa delle mobilitazioni settimanali, con la speranza che la pressione popolare possa accelerare la soluzione della crisi.