10 Settembre 2025
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Thaksin Shinawatra condannato: l’ex premier thailandese entra in carcere dopo anni di polemiche

L’ex primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra, figura controversa e centrale nella storia politica moderna del paese, entrerà in carcere per scontare una pena di un anno dopo una lunga vicenda giudiziaria durata quasi due decenni. La Corte Suprema di Bangkok ha imposto la detenzione effettiva in esecuzione della condanna pregressa, tra cui abuso di potere e corruzione risalenti al suo mandato. Il caso, che scuote nuovamente la Thailandia, accende un riflettore sulla tensione tra giustizia, potere e privilegio, mentre la società rimane divisa tra chi lo considera un perseguitato politico e chi riconosce nella condanna un raro gesto di equità istituzionale.

Thaksin, magnate delle telecomunicazioni e capo della “dinastia Shinawatra”, era fuggito all’estero nel 2008 dopo un colpo di stato del 2006 che l’aveva rimosso dalla guida del governo. Da allora aveva vissuto tra Dubai e Londra, tornando a Bangkok nel 2023 in circostanze che hanno sollevato dubbi e polemiche. I processi a suo carico, legati principalmente all’assegnazione irregolare di appalti pubblici e a una gestione dei poteri considerata personalistica, si sono accumulati negli anni, con una pena iniziale sommata di otto anni di reclusione, ridotta poi a un solo anno grazie alla grazia concessa dal re Maha Vajiralongkorn.

Il ritorno in patria di Thaksin era stato salutato da una folla divisiva: le strade di Bangkok erano affollate da sostenitori entusiasti, convinti che i giudici fossero mossi da intenti persecutori e che l’ex premier potesse portare nuova stabilità al paese. Subito dopo la sentenza, però, Thaksin aveva trascorso meno di ventiquattro ore in una cella ordinaria, lamentando problemi cardiaci e venendo trasferito in un reparto VIP dell’ospedale generale della polizia, dove sarebbe rimasto per sei mesi. Quella che venne giustificata come “detenzione sanitaria” suscitò indignazione e polemiche in tutto il paese, con sospetti di favoritismi e trattamenti privilegiati riservati alle élite politiche.

La Corte Suprema ha stabilito definitivamente che il periodo trascorso nell’ospedale non può essere considerato come pena scontata. I giudici hanno chiarito che Thaksin, pur soffrendo di patologie croniche, non versava in condizioni di emergenza e avrebbe potuto essere curato in regime ambulatoriale. La decisione segna un punto importante poiché numerosi attivisti e osservatori locali avevano criticato l’apparente impunità di Thaksin e contestavano la sua effettiva detenzione, vista più come privilegio che come punizione. Secondo la sentenza, l’ex premier dovrà essere condotto nel carcere di Bangkok, con l’impegno di ottemperare per un anno a tutti gli obblighi previsti dalla legge.

Alla lettura della sentenza, Thaksin ha pubblicato un messaggio sui social network, ribadendo di voler mantenere la forza necessaria per servire la monarchia e il popolo thailandese. Ha scritto: «Anche se perderò la mia libertà fisica, avrò comunque libertà di pensiero per il bene del mio Paese e del suo popolo», mostrando ancora una volta la sua abilità nel rivolgersi direttamente alla nazione e ai suoi sostenitori e rimarcando il proprio attaccamento al senso civico e alla monarchia.

La questione della sua salute rimane un tema controverso e dibattuto. Molti osservatori internazionali e una parte della stampa locale hanno avanzato dubbi sulla gravità delle sue condizioni, sottolineando che l’accesso a cure mediche private e a una sistemazione di lusso in ospedale non può in alcun modo essere equiparato alle dure condizioni carcerarie vissute dalla maggior parte dei detenuti. La stessa corte, nella motivazione del verdetto, ha rimarcato il rischio che comportamenti del genere indeboliscano la fiducia del pubblico nella giustizia.

Il destino della famiglia Shinawatra resta strettamente intrecciato alle sorti della politica thailandese. Paetongtarn Shinawatra, figlia di Thaksin, aveva assunto il ruolo di primo ministro nel 2024 ma è stata rimossa e sottoposta a indagine per presunte violazioni etiche. Durante il processo, Paetongtarn, circondata dai familiari e dai funzionari più fidati, ha ringraziato pubblicamente il re per la sua clemenza, sottolineando che il padre rimarrà un punto di riferimento “spirituale” per la nazione. Le sue parole, pronunciate davanti ai giornalisti, hanno consolidato l’immagine della dinastia come simbolo di un potere resiliente e capaci di affrontare le avversità.

Fin dal colpo di stato del 2006, la figura di Thaksin ha rappresentato il bersaglio di una parte dell’establishment militare e delle élite giudiziarie, ma ha continuato ad essere un polo di aggregazione popolare, soprattutto nelle regioni rurali e tra i ceti esclusi dai benefici dello sviluppo economico. Le politiche adottate durante il suo mandato, tra cui programmi di sanità pubblica, agevolazioni fiscali e riforme agricole, sono ancora oggi ricordati da gran parte della popolazione. Tuttavia, le sue alleanze con gli ambienti economici e la gestione fortemente personalistica del potere hanno finito per alienare il consenso di settori vitali della società.

La nuova condanna di Thaksin e l’esecuzione effettiva della pena rappresentano uno snodo cruciale anche per il futuro politico thailandese, aprendo importanti riflessioni sul rapporto tra giustizia, privilegio e democrazia. Con questa sentenza, la Corte Suprema lancia un segnale di autorevolezza destinato a influenzare non solo la carriera del magnate, ma anche quella degli altri esponenti politici e imprenditoriali che da anni si muovono tra le pieghe del potere ed i margini delle regole. Il timore, però, è che la crisi di fiducia verso le istituzioni non possa essere sanata da una sola sentenza e che il futuro della Thailandia debba passare per una riforma più profonda delle procedure giudiziarie e dei meccanismi di controllo democratico.

Nel frattempo, la Thailandia si prepara a una lunga stagione di incertezza. Il sistema politico appare profondamente polarizzato e una parte della popolazione, soprattutto fra i giovani, chiede da tempo maggiori meccanismi di trasparenza e tutela dei diritti civili. Il tentativo di Thaksin di rappresentare l’immagine di “padre della patria” appare oggi indebolito dai fatti ma anche dal logoramento di una presenza pubblica costantemente segnata dalla polemica e dalla contestazione.

La condanna di Thaksin Shinawatra suggella un capitolo importante nella storia della Thailandia, ma apre anche interrogativi radicali sulla possibilità del paese di trovare nuovi equilibri tra giustizia, potere e consenso popolare.

Simone De Micheli
Simone De Michelihttps://www.alground.com
Esperto di comunicazioni cifrate e di cyberbullismo, Simone è impegnato da anni come consulente per la gestione del crimine online e per la protezione dei minori sul web.
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