Il governo ucraino ha avviato ufficialmente la procedura per vietare l’attività della Chiesa Ortodossa Ucraina (UOC) con l’accusa di non avere realmente reciso i suoi storici legami con il Patriarcato di Mosca. Questa decisione rappresenta una svolta drammatica nella lunga disputa tra le due principali branche dell’ortodossia nel paese, mettendo in risalto come la religione sia divenuta terreno di conflitto parallelo alla guerra tra Ucraina e Russia. La questione della fede ortodossa si intreccia con l’identità nazionale e le pressioni geopolitiche che ormai da anni plasmano la società ucraina.
Il Parlamento ucraino aveva già approvato una legge che proibisce qualsiasi organizzazione religiosa connessa con la Chiesa Ortodossa Russa, accusata di aver sostenuto apertamente l’invasione del territorio ucraino. Questo provvedimento, pensato come tutela della sicurezza nazionale, ha dato mandato all’agenzia statale DESS (State Service of Ukraine for Ethnic Policy and Freedom of Conscience) di indagare sulla UOC e sulle sue reali relazioni con Mosca. Dalla primavera 2022, la UOC aveva annunciato di aver condannato la guerra e di aver dichiarato formalmente la propria indipendenza da Mosca, rinunciando a commemorare il Patriarca Kirill (che ha promosso il conflitto come “guerra sacra”) e modificando varie prassi liturgiche. Tuttavia, le autorità ucraine sostengono che la Chiesa non abbia modificato i documenti fondamentali né presentato prove sufficienti di una rottura definitiva con il patriarcato russo, contestando di fatto la sincerità della svolta.
La procedura di interdizione si trova ora nelle mani del sistema giudiziario: il governo ha depositato richiesta formale alla corte per la messa al bando della UOC. In caso di esito negativo per la Chiesa, questa potrà presentare ricorso una sola volta davanti a una corte di grado superiore, secondo quanto riferito dai suoi legali, ma la stessa controversia potrebbe trascinarsi per mesi e la posta in gioco è altissima sia per la sfera religiosa che per il contesto civile. Un eventuale ban getterebbe nell’incertezza centinaia di migliaia di fedeli e metterebbe a rischio la libertà di culto in una delle aree più sensibili d’Europa, già segnata da tensioni e sospetti reciproci. Tra le conseguenze immediate della normativa, si teme lo sfratto di decine di comunità religiose dagli edifici storici di proprietà statale, che rischiano di restare senza chiesa, monastero o luogo di culto.
Il governo si è concentrato soprattutto sul ruolo del Metropolita Onufry, guida della UOC, al quale sé stata revocata la cittadinanza ucraina. Le autorità accusano Onufry di non opporsi in modo attivo al controllo di sedi e monasteri della UOC nei territori occupati dalla Russia e di mantenere una linea ambigua nei confronti delle direttive del Patriarcato di Mosca. L
Il Patriarcato di Mosca ha reagito definendo la legge ucraina “un colpo gravissimo per tutto l’ortodossia” e “una violazione della libertà religiosa”, sostenendo che le restrizioni imposte ricordano sistemi totalitari. Le autorità russe accusano Kyiv di “persecuzione su base religiosa” e denunciano trasferimenti forzati, chiusure di monasteri, persecuzioni contro il clero e campagne mediatiche di delegittimazione. Mosca sostiene inoltre che la UOC è oggetto di intimidazione da parte dei servizi di sicurezza ucraini, con arresti, interrogatori e revoca della cittadinanza a sacerdoti accusati di propaganda filorussa o di tradimento. Secondo il governo ucraino, però, la misura era necessaria per “difendere la sovranità nazionale di fronte a una propaganda religiosa che sostiene l’aggressione armata”, e il presidente Zelensky ha più volte ribadito la necessità di “proteggere la spiritualità ucraina dagli influssi esterni”.
La questione si inserisce in un contesto religioso già frammentato, poiché la Chiesa Ortodossa di Ucraina (OCU), riconosciuta dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, si è affermata come ramo indipendente rispetto a Mosca. La OCU, sostenuta dalle autorità e dalla maggioranza dei fedeli, secondo i dati del sondaggio 2024 (KIIS), promuove una liturgia nazionale, in lingua ucraina e con riti distintivi, mentre la UOC ha continuato a rappresentare la tradizione storica, legata alla comunità russofona e ai fedeli dell’est e sud del paese. Le tensioni tra le due chiese hanno provocato divisioni anche a livello locale: intere parrocchie sono passate dall’una all’altra, litigando sulla gestione di edifici, icone, reliquie e patrimoni artistici.
In questo scenario, la religione diventa chiave di lettura per il conflitto identitario della società ucraina: la guerra ha polarizzato le comunità, trasformando la scelta di chiesa in un gesto politico e ideologico. La decisione governativa rischia di radicalizzare ulteriormente la dialettica tra le due anime dell’ortodossia locale, con il rischio di esasperare il clima di sospetto ed emarginazione. L’ONU, Papa Francesco e il Consiglio Mondiale delle Chiese hanno espresso preoccupazione per le conseguenze sulla libertà religiosa e il rischio di marginalizzazione di milioni di credenti, invitando Kiev a trovare soluzioni più inclusive.
Sul piano internazionale, la Russia utilizza la causa della UOC come strumento di retorica e propaganda, presentandosi come “difensore dei cristiani ortodossi perseguitati”, mentre l’Ucraina invoca la necessità di emanciparsi spiritualmente da Mosca e costruire una Chiesa nazionale integrata nella comunità europea. Influenti leader ortodossi in Europa e America dichiarano il sostegno alla sovranità ucraina e alla libertà di culto, chiedendo però che il processo legislativo sia rispettoso dei diritti fondamentali.
Il ricorso ai tribunali è destinato a rappresentare un banco di prova per la democrazia ucraina e per il modello europeo di convivenza tra Stato e religioni. Le prossime settimane saranno cruciali: un’eventuale conferma del divieto potrebbe scatenare proteste, appelli e mobilitazioni di massa tra i fedeli, con impatti sensibili su equilibri sociali già fragili. Le comunità ortodosse si interrogano sul futuro, mentre il dibattito pubblico affronta il delicatissimo bilanciamento tra libertà religiosa, sicurezza nazionale e diritto internazionale.
La vicenda della UOC è ormai diventata il simbolo di una guerra che non si combatte solo con le armi, ma anche con la cultura, la memoria e la fede. Mentre il conflitto armato prosegue senza tregua, la sfida per la libertà di culto, la tutela dei credenti e la costruzione di una società inclusiva continua a essere una delle partite più difficili per l’Ucraina.