12 Novembre 2025
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Marine Le Pen esclusa dalla corsa presidenziale: terremoto politico in Francia

Marine Le Pen, volto storico e simbolo dell’estrema destra francese, è stata esclusa dalla corsa alle cariche pubbliche per i prossimi cinque anni. La decisione è arrivata da un tribunale francese, che ha condannato la leader del Rassemblement National (RN) per appropriazione indebita di fondi dell’Unione Europea. Una sentenza che ha provocato uno shock politico a pochi anni dalle elezioni presidenziali del 2027, per cui Le Pen era considerata tra i favoriti.

Il tribunale ha inflitto alla 56enne una pena di quattro anni di reclusione, di cui due sospesi e due da scontare agli arresti domiciliari, oltre a una multa di 100.000 euro. Ma è la misura accessoria a fare più rumore: l’interdizione immediata per cinque anni da qualsiasi candidatura pubblica, una decisione resa esecutiva tramite una “esecuzione provvisoria” richiesta dai procuratori. In termini concreti, a meno che Le Pen non riesca a ribaltare la sentenza in appello, il suo nome non sarà sulla scheda elettorale nel 2027.

Un colpo al cuore del Rassemblement National

Il verdetto rappresenta un colpo durissimo per il RN, oggi primo partito all’Assemblea Nazionale e protagonista di una costante ascesa nei consensi. Jordan Bardella, presidente del partito e braccio destro di Le Pen, ha commentato con toni accesi: “Oggi non è stata solo Marine Le Pen a essere stata ingiustamente condannata: è stata uccisa la democrazia francese”. Parole che rispecchiano l’indignazione del fronte lepenista, che denuncia da tempo una “giustizia politicizzata”.

A replicare, però, c’è chi difende l’operato della magistratura. Il deputato centrista Sacha Houlie ha scritto su X: “A che punto pensiamo che un giudice non applicherà la legge? La società è così malata da sentirsi offesa da ciò che non è né più né meno che lo stato di diritto?”

La frattura è evidente: tra chi grida al complotto giudiziario e chi rivendica la neutralità della giustizia. Le Pen, nel frattempo, ha lasciato l’aula prima che la giudice Benedicte de Perthuis leggesse la sentenza, senza rilasciare commenti. La sua presenza era attesa in serata in un’intervista a TF1.

Il caso: 4 milioni di euro contestati

Le accuse che hanno portato alla condanna si riferiscono all’uso improprio di fondi europei. Secondo il tribunale, Le Pen e altri membri del RN avrebbero dirottato oltre 4 milioni di euro destinati agli assistenti parlamentari per finanziare le attività del partito. Non è stato dimostrato che abbiano intascato direttamente i fondi, ma è stato accertato l’uso illecito a fini politici.

Il giudice ha parlato di un “sistema” organizzato per ridurre i costi del partito e ha collocato Le Pen “al centro” del piano. Il RN è stato multato per 2 milioni di euro, di cui la metà sospesa.

I difensori di Le Pen sostengono invece che si tratti di una definizione troppo rigida del ruolo degli assistenti parlamentari e insistono sulla legittimità delle spese sostenute. L’appello è già stato annunciato, ma il divieto di candidatura scatta subito: è questa la vera mina politica.

Per la leader dell’estrema destra, il 2027 avrebbe dovuto rappresentare la quarta – e dichiaratamente ultima – candidatura all’Eliseo. Dopo tre tentativi falliti, l’ultima nel 2022 contro Emmanuel Macron, Le Pen sembrava pronta a un’ultima sfida con il favore dei sondaggi.

Ora, tutto è in bilico. Gli appelli in Francia possono richiedere mesi, a volte anni. Il tempo stringe. Il rischio per Le Pen è che il suo percorso politico finisca fuori dalla contesa più importante proprio nel momento di maggiore popolarità.

Secondo l’analista Arnaud Benedetti, autore di un libro sul RN, “questa è una scossa sismica nella politica francese. Inevitabilmente, rimescolerà il mazzo, in particolare a destra”.

Bardella in prima linea, ma reggerà?

L’eredità politica di Le Pen rischia ora di passare nelle mani di Jordan Bardella, 28 anni, volto giovane ma già centrale nel partito. Sarà lui, salvo sorprese, il candidato del RN alle presidenziali. Bardella ha saputo costruirsi un’immagine più moderata e vicina ai giovani, ma resta da vedere se riuscirà a conquistare anche l’elettorato più ampio necessario per vincere.

La condanna di Le Pen rischia di trasformare la campagna elettorale in un campo minato, ma potrebbe anche rafforzare il senso di accerchiamento tra i sostenitori del RN. Matteo Salvini, leader della Lega e vicepremier italiano, ha inviato il suo sostegno: “Non ci faremo intimidire, non ci fermeremo: avanti a tutto vapore, amico mio!”. Dall’Ungheria, Viktor Orbán ha postato un chiaro messaggio: “Je suis Marine!”

La reazione degli avversari

Non tutti, però, esultano per la condanna. Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale, ha dichiarato che avrebbe preferito “battere Le Pen alle urne”. Un modo per sottolineare che, nonostante le distanze ideologiche, la sfida politica dovrebbe consumarsi nel confronto democratico, non nelle aule di tribunale.

Tuttavia, altri esponenti della sinistra e del centro hanno rivendicato con forza il principio dell’indipendenza della giustizia. Nessun cittadino è al di sopra della legge, nemmeno un candidato presidenziale.

La condanna e l’esclusione di Le Pen aprono una fase di profonda incertezza per la politica francese. Il RN, pur mantenendo la leadership all’Assemblea nazionale – dove Le Pen conserverà il seggio fino al 2029 salvo elezioni anticipate – rischia di perdere il suo punto di riferimento più forte.

Le divisioni si acuiranno, il dibattito politico si radicalizzerà, e il 2027 si preannuncia già come un anno di svolta. Che Le Pen riesca o meno a ribaltare la sentenza, il suo percorso – e quello della destra francese – non sarà più lo stesso.

Per ora, resta una certezza: il terremoto giudiziario ha riscritto le regole del gioco. E la corsa all’Eliseo è appena diventata ancora più imprevedibile.

Arma acustica long-range acoustic device (LRAD). Cos’è?

Un dispositivo acustico a lungo raggio (LRAD), noto anche come sistema acustico di avviso (AHD) o “cannone sonoro”, è un altoparlante specializzato progettato per emettere suoni ad alta potenza, consentendo la comunicazione a distanza. Utilizzato in diversi contesti, è diventato noto soprattutto per l’impiego nel controllo delle folle, suscitando polemiche per i potenziali danni permanenti all’udito, data la sua capacità di raggiungere livelli sonori estremi — fino a 160 decibel misurati a un metro di distanza.

Oltre all’uso in ambito di ordine pubblico, il dispositivo è stato impiegato in operazioni di negoziazione durante assedi, nella difesa contro atti di pirateria marittima, per la diffusione di messaggi d’emergenza in caso di disastri naturali, e da forze armate, incluse diverse marine militari.

I dispositivi acustici di avviso (AHD) sono strumenti in grado di trasmettere suoni intelligibili a volumi molto elevati. L’efficacia della comunicazione acustica a distanza dipende da diversi fattori: livello sonoro, direzionalità e frequenza della sorgente, sensibilità e direzionalità del ricevitore, e condizioni ambientali del canale di trasmissione. Il livello sonoro tende infatti a diminuire con la distanza. In linea generale, un’emissione più potente consente una portata maggiore.

Gli AHD si dividono in due categorie principali:

Modelli direzionali: sono progettati per generare comunicazioni vocali e segnali di avvertimento direzionali a lungo raggio. Hanno una direzionalità compresa tra i 5° e i 60° in un cono con tono a 2 kHz.

Modelli omnidirezionali: questi dispositivi sono capaci di trasmettere messaggi vocali e segnali sonori in tutte le direzioni (360°), con una portata udibile fino a 2,4 chilometri (1,5 miglia) dalla sorgente.

Origine del sistema

Il termine “acoustic hailing device” (dispositivo acustico di avviso) è entrato nell’uso comune dopo l’attentato suicida contro la USS Cole nel porto di Aden, in Yemen, nel 2000. In seguito a quell’attacco, la Marina degli Stati Uniti definì la necessità di dotarsi di un sistema capace di identificare a distanza le intenzioni di un’imbarcazione in avvicinamento, così da poter adottare misure difensive in caso di mancata risposta a un avvertimento. Un elemento chiave del requisito tecnico era la capacità del dispositivo di emettere un suono focalizzato, indirizzato con precisione verso l’obiettivo.

Situazione attuale

Dalla loro introduzione nel 2002, gli AHD si sono diffusi in numerosi ambiti applicativi. Oggi vengono utilizzati in checkpoint, operazioni di controllo delle folle, navigazione marittima, sistemi di allerta e notifica di massa, protezione di infrastrutture critiche, operazioni militari e anche per la gestione e protezione della fauna selvatica. I dispositivi acustici di avviso sono attualmente impiegati in tutto il mondo da enti civili, forze dell’ordine e forze armate.

Caratteristiche e misurazioni

I dispositivi acustici di avviso (AHD) si distinguono dai sistemi di amplificazione tradizionali per tre aspetti fondamentali: volume, chiarezza e direzionalità. Sebbene i produttori utilizzino metodi diversi per la misurazione delle prestazioni, si è ormai consolidato uno standard comune.

Volume

Poiché il suono si attenua con la distanza, per raggiungere lunghe distanze è necessaria un’emissione sonora molto elevata. Gli AHD producono un output di almeno 135 decibel (dB). Il livello acustico della sorgente viene solitamente espresso in termini di livello di pressione sonora (SPL), una misura logaritmica della pressione sonora efficace rispetto a un valore di riferimento. Per avere un confronto: a un metro di distanza, una voce normale si aggira intorno ai 50 dB, mentre un motore a reazione a 30 metri può raggiungere i 150 dB.

Chiarezza

Uno dei limiti principali dei diffusori convenzionali e dei megafoni è la scarsa chiarezza. Le distorsioni dovute alla forma dei coni e delle trombe portano spesso a un suono confuso o fuori fase. Questo effetto è noto anche come “effetto Charlie Brown”, in riferimento ai suoni distorti degli adulti nei cartoni animati dei Peanuts. Gli AHD, al contrario, emettono suoni in fase, garantendo una comunicazione chiara anche a distanza. La chiarezza è difficile da misurare in modo oggettivo, ma esistono scale di riferimento come l’indice di trasmissione vocale (STI), che varia da 0 a 1,0 — con 1,0 indicante una comprensione perfetta.

Direzionalità

Un’altra caratteristica distintiva degli AHD è la capacità di focalizzare il suono. Per garantire che i messaggi siano diretti con precisione verso il bersaglio, gli AHD modellano l’audio in un fascio sonoro con un’ampiezza tra i 30° e i 60°. Questa direzionalità è ottenuta grazie alla progettazione dei trasduttori e all’uso di trombe riflettenti. La misurazione della direzionalità avviene generalmente alla frequenza di massima precisione, che si colloca tra 1 e 2 kHz. Le frequenze più basse, invece, sono più difficili da dirigere, e la loro apertura può superare i 40 gradi, a seconda della configurazione del dispositivo.

Impieghi attuali e diffusione globale

A partire dalla spinta iniziale che ne ha guidato lo sviluppo, entro il 2022 ben 25 marine militari hanno adottato i dispositivi LRAD (Long Range Acoustic Device) per proteggere le proprie imbarcazioni. Grazie a questi sistemi, il personale navale può comunicare con imbarcazioni in avvicinamento a oltre 3.000 metri (9.800 piedi) di distanza e adottare misure difensive in caso di mancata risposta. Oltre alle forze navali, gli LRAD sono impiegati da guardie costiere, basi militari, navi commerciali e nei porti.

L’azienda Genasys, uno dei principali produttori, propone i suoi dispositivi sul sito statunitense per diversi settori: difesa, forze dell’ordine, vigili del fuoco e soccorso, sicurezza delle frontiere, protezione delle infrastrutture critiche e sicurezza marittima. Al 2022, i suoi sistemi risultano operativi in 100 Paesi. Il sito per l’area Asia-Pacifico è invece focalizzato sulla gestione delle emergenze in caso di disastri naturali, come gli incendi boschivi. Gli AHD non sono classificati come armi e non richiedono licenze di esportazione.

La tecnologia ha trovato applicazione anche nella gestione della fauna selvatica, ad esempio per allontanare animali dalle piste di decollo — come avviene all’aeroporto di Changi, a Singapore — e nella protezione di piattaforme petrolifere e del gas contro barche da pesca, uccelli e altre minacce alla sicurezza.

Gli LRAD possono essere utilizzati in due modalità principali: come amplificatori vocali oppure come dispositivi di allarme. La modalità “sirena” (definita “alert tone” da Genasys) viene usata soprattutto nelle emergenze, ma è stata anche impiegata per il controllo delle folle. In questa configurazione, l’apparecchio trasmette suoni nella fascia 2.000–4.000 Hertz, quella cui l’udito umano è più sensibile e che provoca maggiore fastidio nei soggetti colpiti.

Sebbene talvolta vengano confusi con i sistemi di Active Denial, si tratta di tecnologie distinte: questi ultimi utilizzano radiazioni a onde millimetriche per stimolare i recettori nervosi della pelle con un effetto di calore, tramite riscaldamento dielettrico.

L’uso controverso degli AHD come armi acustiche

I dispositivi acustici di avviso (AHD) sono sempre più al centro del dibattito per il loro impiego come armi non letali. L’orecchio umano inizia ad avvertire dolore intorno ai 120 decibel (dB), mentre gli AHD possono emettere suoni superiori ai 135 dB. Secondo l’OSHA, l’agenzia statunitense per la sicurezza sul lavoro, qualsiasi esposizione a livelli superiori ai 90 dB richiede protezioni acustiche. All’aumentare del volume cresce anche il rischio di perdita dell’udito. La portata effettiva non letale di un AHD dipende dalla potenza complessiva del dispositivo, ma in genere non supera i 50 metri.

Oltre alla funzione “voce”, simile a un altoparlante, gli LRAD dispongono di una modalità “alert”, che genera suoni acuti come beep o cinguettii all’estremo superiore della scala dei decibel. Questi segnali sono stati segnalati come causa di dolore fisico e danni all’udito. L’uso di questa funzione per il controllo delle folle ha portato a definirli “cannoni sonori” o “armi acustiche”, una definizione che il produttore però respinge. Il fascio sonoro può essere diretto con estrema precisione, evitando così di colpire gli operatori o le persone vicine al dispositivo.

Le organizzazioni per i diritti civili esprimono preoccupazione per l’uso da parte delle forze di polizia, sottolineando una carenza di formazione specifica per gli agenti. In alcuni casi, come a New York, l’uso degli LRAD è stato contestato legalmente: nel 2020, l’NYPD è stato oggetto di un ricorso in tribunale federale per l’impiego del dispositivo durante le manifestazioni.

Le forze dell’ordine e i produttori affermano che gli LRAD sono progettati principalmente per le comunicazioni a lunga distanza. Tuttavia, la loro elevata capacità sonora li ha resi strumenti controversi nel controllo delle folle. Anche i modelli meno potenti, usati dalla polizia e non di tipo militare, possono raggiungere i 137–154 dB — livelli in grado di causare dolore, disorientamento, nausea, emicranie e danni permanenti.

Data la scarsità di studi sui rischi per la salute legati a queste tecnologie, l’American Civil Liberties Union (ACLU) ha raccomandato, in una nota informativa, la sospensione dell’uso degli LRAD durante le proteste.

Accordo sul Mar Nero tra Ucraina e Russia

Un’intesa tra Ucraina e Russia, mediata dagli Stati Uniti, prevede la cessazione delle ostilità nel Mar Nero e un accordo preliminare per fermare gli attacchi alle infrastrutture energetiche. Lo ha annunciato la Casa Bianca, sottolineando che si tratta del primo passo concreto verso una tregua, seppur ancora lontana dal cessate il fuoco completo auspicato dall’amministrazione Trump.

L’accordo è stato confermato da entrambe le parti coinvolte nel conflitto, anche se con riserve, soprattutto da parte del Cremlino. Mosca ha dichiarato che rispetterà gli impegni solo dopo la rimozione di alcune sanzioni occidentali, in particolare la riattivazione della sua banca agricola statale nel sistema internazionale di pagamenti e la fine delle restrizioni sulle operazioni di finanziamento commerciale. Queste condizioni sono tra le penalità imposte a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina nel 2022.

La Casa Bianca ha lasciato intendere di essere disposta a fare concessioni su alcuni di questi punti, affermando che l’accordo contribuirà a ripristinare l’accesso della Russia ai mercati mondiali per le esportazioni agricole e di fertilizzanti, a ridurre i costi assicurativi marittimi e a facilitare l’accesso ai porti e ai sistemi di pagamento per tali transazioni.

Le intese sono giunte al termine di tre giorni di intense negoziazioni a Riad, capitale dell’Arabia Saudita, dove le delegazioni ucraina e russa hanno tenuto incontri separati con i mediatori statunitensi. Al termine dei colloqui, la Casa Bianca ha pubblicato due dichiarazioni distinte, comunicando di aver raggiunto accordi paralleli con Ucraina e Russia sia sul fronte marittimo che su quello energetico. Washington, Kiev e Mosca hanno inoltre espresso disponibilità a coinvolgere altri Paesi per sostenere l’attuazione delle intese.

Si tratta di un progresso nei tentativi di Washington di congelare il conflitto che dura ormai da tre anni, anche se l’accordo non sembra prevedere concessioni significative da parte di Mosca, il Paese aggressore. Tuttavia, fermare gli attacchi agli impianti energetici conviene a entrambi i fronti. Le strutture energetiche sono state infatti tra i principali bersagli delle offensive reciproche: la Russia ha colpito ripetutamente la rete elettrica ucraina per piegare la popolazione civile e ostacolare la resistenza militare, mentre l’Ucraina ha attaccato raffinerie e impianti russi con l’obiettivo di ridurre le risorse a disposizione dell’esercito di Mosca.

Il Mar Nero è un’altra area cruciale. Qui, la Russia ha subito pesanti contraccolpi, con la marina costretta a ritirarsi dalle acque occidentali dopo una serie di offensive ucraine che hanno distrutto navi da guerra e colpito il quartier generale russo in Crimea. Questa operazione ha permesso a Kiev di riattivare una rotta commerciale marittima e riportare le esportazioni di grano quasi ai livelli precedenti al conflitto.

Per Mosca, che in passato ha minacciato qualsiasi nave diretta verso l’Ucraina, la ripresa del controllo sul traffico commerciale marittimo rappresenta un vantaggio strategico. Dall’altra parte, Kiev punta a riavviare le attività nei porti di prima linea come Mykolaiv e Kherson, attualmente fermi a causa dei combattimenti nelle aree limitrofe.

Secondo quanto dichiarato dal ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov, a capo della delegazione di Kiev a Riad, “qualsiasi movimento di navi militari russe al di fuori della parte orientale del Mar Nero costituirà una violazione dello spirito dell’accordo” e darà all’Ucraina il pieno diritto di esercitare l’autodifesa. Il principio di fondo, ribadito anche nei comunicati statunitensi, è che le due parti hanno accettato di “eliminare l’uso della forza nel Mar Nero”.

Non è però ancora chiaro se ciò comporterà anche la cessazione degli attacchi alle infrastrutture portuali, un tema che sarebbe stato discusso durante i negoziati. Kiev ha più volte sollevato la questione della riattivazione dei porti nelle zone di conflitto, ma la situazione sul campo rimane incerta.

Inoltre, nonostante l’accordo sui principi, restano da definire i meccanismi pratici per l’attuazione del cessate il fuoco. “Serviranno ulteriori consultazioni tecniche per l’implementazione, il monitoraggio e il controllo degli accordi”, ha dichiarato Umerov, facendo capire che l’intesa è ancora lontana dall’essere operativa.

Da notare che la Russia aveva precedentemente respinto una proposta statunitense per un cessate il fuoco totale di 30 giorni, già accettata dall’Ucraina. Il presidente Vladimir Putin aveva condizionato la sua adesione allo stop degli aiuti militari occidentali a Kiev e alla fine della mobilitazione delle forze ucraine: due richieste che il governo di Zelensky considera inaccettabili.

Questo rende l’attuale accordo un fragile compromesso, più un esperimento diplomatico che una vera svolta. E se è vero che rappresenta una vittoria parziale per Washington, che da mesi preme per una tregua, è altrettanto vero che lascia ampio spazio alle ambiguità, soprattutto nei termini richiesti da Mosca.

La situazione rimane quindi fluida. Gli accordi su energia e navigazione nel Mar Nero potrebbero aprire uno spiraglio, ma il percorso verso una pace duratura resta irto di ostacoli. Senza un impegno più deciso da parte del Cremlino e garanzie operative condivise, il rischio è che questa tregua resti solo sulla carta.

Reti Neurali: cosa sono?

Le reti neurali rappresentano un campo affascinante dell’intelligenza artificiale (AI) che sta rivoluzionando il modo in cui i computer affrontano e risolvono problemi complessi. Ispirate al funzionamento del cervello umano, le reti neurali sono modelli di apprendimento automatico capaci di identificare schemi, valutare opzioni e prendere decisioni con una velocità e una precisione sorprendenti. In questo articolo, esploreremo i concetti fondamentali delle reti neurali, i loro tipi, le applicazioni e la loro storia.

Cosa sono le Reti Neurali?

Una rete neurale è essenzialmente un programma o modello di machine learning progettato per imitare il modo in cui il cervello umano elabora le informazioni. Questa imitazione avviene attraverso l’uso di processi che simulano l’interazione tra i neuroni biologici. In termini semplici, una rete neurale è composta da strati di nodi, chiamati anche neuroni artificiali, organizzati in tre tipi principali di strati:

  • Strato di Input: Questo è il punto di partenza, dove la rete riceve i dati iniziali da elaborare.
  • Strati Nascosti: Qui avviene la magia. Questi strati eseguono calcoli complessi sui dati. Una rete può avere uno o più strati nascosti.
  • Strato di Output: È qui che la rete produce il risultato finale o la decisione.

Ogni nodo all’interno di questi strati è connesso agli altri e ha delle caratteristiche specifiche che determinano il suo comportamento. Quando un nodo riceve sufficienti segnali dagli altri nodi, si “attiva” e invia a sua volta dei segnali allo strato successivo. Questo processo di attivazione e trasmissione dei dati è il cuore del funzionamento di una rete neurale.

Per comprendere meglio il funzionamento di una rete neurale, immaginiamo ogni nodo come un piccolo decisore. Questo decisore riceve delle informazioni (input), le valuta in base a dei criteri (pesi) e a una soglia personale (bias), e poi decide se trasmettere un segnale agli altri nodi o meno.

Prendiamo un esempio pratico: la decisione di andare a fare vela. In questo caso, il nostro “nodo decisionale” potrebbe considerare tre fattori:

  1. Il tempo è bello?
  2. Hai tempo libero?
  3. Il mare è buono?

Ognuno di questi fattori ha un’importanza diversa nella decisione finale. Per esempio, il bel tempo potrebbe essere molto importante, mentre avere tempo libero potrebbe essere meno cruciale se il mare è buono. La rete neurale “impara” a dare il giusto peso a ciascun fattore per prendere la decisione migliore.

Il nodo somma tutte queste informazioni pesate e le confronta con una soglia personale. Se il risultato supera questa soglia, il nodo si “attiva” e trasmette un segnale positivo (in questo caso, “Sì, andiamo a fare vela!”). Altrimenti, rimane inattivo (equivalente a un “No, meglio di no”).

Questo esempio semplificato mostra come una rete neurale possa prendere decisioni complesse basandosi su molteplici fattori, proprio come farebbe un cervello umano.

Apprendimento e ottimizzazione

Le reti neurali non nascono “intelligenti”, ma imparano attraverso l’esperienza, proprio come noi. Questo processo di apprendimento avviene attraverso l’esposizione a molti esempi (dati di training), che permettono alla rete di migliorare la sua precisione nel tempo.

Per capire quanto bene sta imparando, la rete utilizza una sorta di “punteggio di errore”. L’obiettivo è minimizzare questo punteggio, facendo in modo che le previsioni della rete si avvicinino il più possibile alla realtà.

Il processo di miglioramento avviene attraverso piccoli aggiustamenti dei “pesi” che la rete assegna a ciascun fattore. È come se la rete stesse cercando di trovare la ricetta perfetta, modificando leggermente gli ingredienti ogni volta fino a ottenere il risultato desiderato.

Tipi di reti neurali

Esistono diversi tipi di reti neurali, ognuna adatta a specifici compiti:

  • Percettrone: È il nonno delle reti neurali, creato nel 1958 da Frank Rosenblatt. È molto semplice ma ha aperto la strada a sviluppi più complessi.
  • Reti Neurali Feedforward: Sono come una catena di montaggio dell’informazione. I dati passano da uno strato all’altro in una sola direzione, dall’input all’output. Sono la base per molte applicazioni, dalla visione artificiale all’elaborazione del linguaggio.
  • Reti Neurali Convoluzionali (CNN): Sono particolarmente brave a riconoscere pattern nelle immagini. Immagina di avere un detective molto meticoloso che esamina ogni dettaglio di un’immagine per capire cosa rappresenta.
  • Reti Neurali Ricorrenti (RNN): Queste reti hanno una sorta di “memoria”. Sono ottime per lavorare con sequenze di dati, come il testo o le serie temporali. Possono prevedere la prossima parola in una frase o l’andamento futuro del mercato azionario.

Deep Learning vs. reti neurali

Spesso sentiamo parlare di “deep learning” e “reti neurali” come se fossero la stessa cosa, ma c’è una sottile differenza. Il “deep” in deep learning si riferisce semplicemente alla profondità degli strati in una rete neurale. Immagina una rete neurale come una torta: se ha più di tre strati (inclusi l’input e l’output), possiamo chiamarla una torta “profonda”, o in termini tecnici, un algoritmo di deep learning.

Storia delle reti neurali

La storia delle reti neurali è più lunga e affascinante di quanto si possa pensare. Ecco alcuni momenti chiave:

  • 1943: Warren S. McCulloch e Walter Pitts pubblicano un articolo che cerca di capire come il cervello umano produce schemi complessi attraverso i neuroni. È come se stessero cercando di decifrare il linguaggio segreto del cervello.
  • 1958: Frank Rosenblatt sviluppa il percettrone, introducendo l’idea che alcuni input possano essere più importanti di altri. È come se avesse dato alla rete neurale la capacità di dare priorità alle informazioni.
  • 1974: Paul Werbos nota come si possa “insegnare” alle reti neurali correggendo i loro errori, un po’ come si fa con un bambino che impara a camminare.
  • 1989: Yann LeCun dimostra come si possano addestrare le reti neurali in modo più efficiente, aprendo la strada alle applicazioni moderne dell’AI.

Le reti neurali sono uno strumento incredibilmente potente e versatile nel campo dell’intelligenza artificiale. La loro capacità di apprendere, adattarsi e risolvere problemi complessi le rende preziose in una vasta gamma di applicazioni, dalla visione artificiale all’elaborazione del linguaggio naturale.

Proprio come il cervello umano, le reti neurali continuano a evolversi e a sorprenderci. La loro continua evoluzione promette di trasformare il modo in cui interagiamo con la tecnologia e di aprire nuove frontiere nell’innovazione. Chi sa quali meraviglie ci riserverà il futuro dell’intelligenza artificiale.

Nuove restrizioni sugli aiuti umanitari in Sudan

Le Forze di Supporto Rapido (RSF), gruppo paramilitare sudanese in guerra con l’esercito regolare, stanno imponendo nuove limitazioni alla distribuzione degli aiuti umanitari nelle aree sotto il loro controllo, comprese quelle colpite dalla carestia. Questa mossa coincide con i tentativi della RSF di instaurare un governo rivale nel Sudan occidentale, nonostante stia perdendo terreno nella capitale Khartoum.

Secondo quanto riportato da operatori umanitari, la RSF ha iniziato a richiedere tariffe più elevate e un maggiore controllo su aspetti operativi come l’assunzione di personale locale e le disposizioni di sicurezza. Queste richieste, simili a quelle delle autorità legate all’esercito, limitano ulteriormente l’accesso alle zone colpite.

L’Agenzia per gli Affari Umanitari e le Operazioni (SARHO), che supervisiona gli aiuti per la RSF, ha emesso direttive che richiedono alle organizzazioni umanitarie di registrarsi con un “accordo di cooperazione” e di stabilire operazioni indipendenti nelle regioni controllate dalla RSF. Nonostante SARHO abbia accettato di sospendere queste direttive fino ad aprile, i gruppi di aiuto sostengono che le restrizioni persistono.

La situazione sta mettendo a rischio centinaia di migliaia di vite nella regione del Darfur, dove molti sono già sfollati a causa di conflitti precedenti. Gli operatori umanitari accusano i combattenti della RSF di saccheggiare le forniture di aiuti durante la guerra in corso, che dura da oltre due anni.

Il conflitto ha generato quella che le Nazioni Unite definiscono la più grave crisi umanitaria al mondo, con circa la metà della popolazione sudanese che soffre di fame acuta, principalmente nelle aree controllate o minacciate dalla RSF. Oltre 12,5 milioni di persone sono state sfollate a causa del conflitto.

Le organizzazioni umanitarie si trovano di fronte a un “dilemma impossibile”: se non si registrano con SARHO, rischiano ritardi arbitrari e negazione dei permessi di viaggio; se si conformano, potrebbero subire sanzioni da parte del governo e dei suoi alleati.

Mentre entrambe le parti in conflitto negano di ostacolare l’assistenza umanitaria, la situazione sul campo rimane critica. In particolare, le restrizioni hanno colpito duramente le aree colpite dalla carestia intorno ad al-Fashir, l’ultimo baluardo dell’esercito nel Darfur, e nella vicina Tawila, dove molti hanno cercato rifugio.

La comunità internazionale guarda con crescente preoccupazione all’evolversi della situazione, mentre milioni di sudanesi continuano a soffrire le conseguenze di questo conflitto prolungato e della crisi umanitaria che ne deriva.

Cloud storage: il ransomware si insinua tra le crepe della sicurezza

Nel 66% dei bucket di archiviazione cloud si trovano dati sensibili esposti a minacce sempre più sofisticate. Gli attaccanti non forzano le porte: usano le chiavi fornite dagli stessi strumenti di sicurezza cloud.

Il cloud non è un rifugio sicuro. È il messaggio allarmante che arriva dall’ultimo rapporto sulle minacce cloud pubblicato da Unit 42 di Palo Alto Networks. Secondo l’analisi, circa due terzi dei bucket di archiviazione cloud contengono dati sensibili, esponendoli al rischio concreto di attacchi ransomware. Una minaccia che si sta evolvendo rapidamente e che sfrutta, paradossalmente, proprio le funzionalità di sicurezza messe a disposizione dai provider

La nuova generazione di ransomware

Non si tratta più di semplici file bloccati da un virus. Gli attacchi più recenti mirano a colpire direttamente le infrastrutture cloud, sfruttando meccanismi nativi di crittografia e configurazioni errate o lasciate ai valori di default.

Brandon Evans, consulente per la sicurezza e istruttore certificato del SANS Institute, spiega di aver osservato personalmente due casi recenti in cui gli aggressori hanno condotto un attacco ransomware utilizzando esclusivamente strumenti legittimi forniti dal cloud stesso. Nessun malware, nessun exploit. Solo un uso mirato delle API di sicurezza.

Un esempio è la campagna resa nota da Halcyon, dove i cybercriminali hanno utilizzato SSE-C (Server Side Encryption with Customer-Provided Keys), uno dei metodi di crittografia disponibili per Amazon S3, per bloccare ogni bucket bersaglio. In pratica, hanno caricato i dati crittografati utilizzando chiavi sotto il loro pieno controllo, rendendoli inaccessibili ai legittimi proprietari.

Qualche mese prima, il consulente Chris Farris aveva dimostrato la fattibilità di un attacco simile, sfruttando le chiavi KMS (Key Management Service) con materiale esterno. L’aspetto inquietante? Il tutto è stato realizzato usando semplici script generati da ChatGPT.

“È evidente che questa tematica è al centro dell’interesse, sia da parte dei ricercatori che degli attori malevoli”, osserva Evans. E i numeri del rapporto Unit 42 confermano che la superficie d’attacco è ampia e tutt’altro che protetta.

Perché il cloud non basta

Il problema principale è l’errata percezione di sicurezza. Molti utenti e organizzazioni associano il cloud a un ambiente intrinsecamente protetto, dove i dati sono al sicuro per default. Ma non è così.

“Le prime soluzioni cloud con cui la maggior parte delle persone entra in contatto sono servizi come OneDrive, Dropbox o iCloud”, spiega Evans. “Questi spesso offrono il ripristino dei file abilitato di default. Ma non è il caso di Amazon S3, Azure Storage o Google Cloud Storage. Qui è responsabilità dell’utente abilitare protezioni come backup o versioning.”

Il principio della “shared responsibility” – la responsabilità condivisa tra cliente e provider – spesso viene ignorato. E gli aggressori lo sanno bene.

Le raccomandazioni del SANS Institute

Per contrastare questa nuova forma di ransomware cloud-native, il SANS Institute propone una serie di linee guida concrete:

1. Capire davvero i controlli di sicurezza del cloud. Non basta sapere che esistono. Bisogna comprenderne il funzionamento, i limiti, e soprattutto non dare nulla per scontato. Ogni servizio ha le sue logiche, e ciò che è automatico in una piattaforma, può essere completamente assente in un’altra.

2. Bloccare i metodi di crittografia ad alto rischio. Funzionalità come SSE-C e le chiavi KMS con materiale esterno danno all’utente – e potenzialmente all’attaccante – il pieno controllo sulla chiave. Per questo, è fondamentale imporre l’uso di metodi più sicuri tramite policy di Identity and Access Management (IAM), come SSE-KMS con chiavi gestite interamente su AWS.

3. Abilitare backup, versioning e object lock. Questi strumenti possono fare la differenza tra un disastro e un recupero rapido. Tuttavia, non sono attivi di default in nessuno dei principali provider cloud. Attivarli e configurarli correttamente è una scelta strategica che richiede consapevolezza.

4. Gestire il ciclo di vita dei dati. Le misure di sicurezza hanno un costo. E ogni gigabyte archiviato ha un prezzo. I provider permettono di creare policy automatiche per l’eliminazione dei dati non più necessari. Ma attenzione: gli aggressori possono usare queste stesse policy contro l’organizzazione, per minacciare la cancellazione definitiva dei dati e forzare il pagamento del riscatto, come già accaduto in campagne precedenti.

Una battaglia in pieno svolgimento

Il panorama che emerge è quello di un campo di battaglia ancora in fase di definizione. Da un lato, strumenti potenti e flessibili messi a disposizione dai provider cloud. Dall’altro, attaccanti sempre più abili nel piegarli ai propri scopi.

La sfida non è tecnologica, ma culturale. Occorre abbandonare l’illusione che il cloud “pensi a tutto” e iniziare a trattarlo per quello che è: uno strumento. E come ogni strumento, può fare del bene o del male, a seconda di chi lo usa e di come lo si configura.

Il messaggio è chiaro: non è sufficiente salire sul cloud. Bisogna sapere guidare.

Salvini: “Guerra con Meloni? Fantasie surreali”

“Ho parlato ieri al telefono con il vicepresidente americano Vance. Ho letto ricostruzioni giornalistiche che parlano di una presunta ‘guerra con Meloni’ sui rapporti con gli Stati Uniti. Ma siamo seri: questo non è giornalismo, è cabaret.” Così Matteo Salvini, vicepremier e leader della Lega, intervenendo in videocollegamento con la scuola di formazione politica del suo partito. Ha bollato queste interpretazioni come “retroscena inesistenti e surreali”.

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha chiarito: “La politica estera è competenza del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri. Le altre sono iniziative personali, legittime ma non ufficiali.” Riferendosi alla telefonata tra Salvini e JD Vance, Tajani ha aggiunto: “Un ministro può parlare con rappresentanti di altri governi, ma la linea ufficiale la decidiamo noi.”

Salvini è poi tornato sull’incontro alla Casa Bianca tra Trump, Zelensky e Vance: “Quei dieci minuti hanno cambiato tutto. Al di là delle critiche, è evidente che Trump in due mesi ha fatto più per la pace di quanto altri abbiano fatto in anni. Non lo dico da tifoso, è un dato di fatto.”

Ha ribadito che “la pace è la base del benessere economico. Dobbiamo sostenere questo clima di disarmo e dialogo, senza continuare a parlare solo di armi e miliardi di spese militari.”

Salvini ha anche commentato il dibattito pubblico: “Viviamo nell’epoca dei tweet invecchiati male. Chi può dire di non aver mai cambiato idea in 30 anni? Ho visto un video di Travaglio – non certo un mio fan – che è stato lucido su Russia, Ucraina, Trump, von der Leyen. Serve coerenza nei valori, anche se si può sbagliare su una persona o un giudizio.”

Poi ha criticato certa narrazione mediatica sulla guerra: “Gli stessi che un anno fa dicevano che Putin era morto, ora sostengono che invaderà Roma e Madrid. E quindi servono 800 miliardi in armi, non in scuole o ospedali. Sembra che l’Armata Rossa sia tornata.”

Infine, ha puntato il dito sulla Romania: “Non è dietro l’angolo, ma nell’UE si è verificata una lesione della democrazia. Hanno sospeso un ballottaggio a urne aperte per presunte influenze russe su TikTok. Poi, quando si rifanno le elezioni, arrestano il candidato favorito e lo escludono.”

Tajani e Giorgetti sui dazi: “Serve equilibrio”

Tajani ha commentato la questione dazi: “La guerra commerciale non conviene a nessuno. Non dobbiamo perdere il mercato americano, né quello europeo. Abbiamo presentato un piano d’azione per rafforzare la presenza italiana nei mercati extraeuropei e limitare i danni di eventuali dazi. Siamo in contatto costante con la Commissione UE, che ha competenza esclusiva sul tema.”

Anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha sottolineato il ruolo strategico dei dazi: “Viviamo in un periodo di guerre commerciali e finanziarie, in cui strumenti come dazi e criptovalute vengono usati come armi economiche. Non servono più solo a proteggere l’economia, ma condizionano alleanze politiche e assetti geopolitici.” Lo ha detto durante il giuramento degli allievi ufficiali della Guardia di Finanza a Bergamo.

La guerra quantica: cos’è?

La guerra quantica rappresenta una frontiera rivoluzionaria nel panorama dei conflitti moderni, dove le leggi della fisica subatomica vengono applicate a strategie militari avanzate. Questa nuova dimensione bellica sfrutta fenomeni come la sovrapposizione quantistica, l’entanglement e altre proprietà della meccanica quantistica per sviluppare capacità militari senza precedenti in ambito di calcolo, comunicazione, rilevamento e crittografia. Mentre potenze come Stati Uniti, Cina e Russia investono miliardi nello sviluppo di queste tecnologie, esperti avvertono che siamo sull’orlo di una trasformazione radicale della guerra moderna, dove chi raggiungerà per primo la supremazia quantistica potrebbe ottenere vantaggi strategici paragonabili a quelli conseguiti con lo sviluppo della bomba atomica nel secolo scorso.

Le fondamenta della Guerra Quantica

La guerra quantica o “quantum warfare” si riferisce all’applicazione delle tecnologie quantistiche in ambito militare e di sicurezza nazionale. Differentemente dalla guerra convenzionale, che si basa su principi della fisica classica, la guerra quantica sfrutta i principi della meccanica quantistica per sviluppare nuove capacità offensive e difensive. Per comprendere appieno questo concetto, è necessario richiamare alcuni principi fondamentali della fisica quantistica.

La meccanica quantistica è la teoria fisica che descrive il comportamento della materia e dell’energia a livello atomico e subatomico, dove le teorie classiche risultano inadeguate. A differenza della fisica newtoniana, la fisica quantistica riconosce il dualismo onda-particella, il principio di indeterminazione di Heisenberg e fenomeni come la sovrapposizione degli stati e l’entanglement quantistico. Queste caratteristiche, apparentemente controintuitive, stanno ora trovando applicazioni concrete nei sistemi militari avanzati.

La guerra quantica non comporta necessariamente l’introduzione di nuove armi fisiche, quanto piuttosto un miglioramento significativo delle capacità di misurazione, rilevamento, precisione e potenza di calcolo delle tecnologie militari esistenti e future. Si tratta di una trasformazione silenziosa ma profonda, paragonabile all’introduzione del radar durante la Seconda Guerra Mondiale, che rivoluzionò le operazioni militari fornendo intelligence in tempo reale sui movimenti nemici.

Dal Bit al Qubit

Il cuore della rivoluzione quantica militare risiede nel passaggio dai bit classici ai qubit (bit quantistici). Mentre i computer tradizionali elaborano informazioni in bit binari (0 o 1), i computer quantistici utilizzano qubit che, grazie alla sovrapposizione quantistica, possono esistere simultaneamente in più stati. Questo permette di eseguire calcoli paralleli su vasta scala, risolvendo problemi complessi in tempi drasticamente ridotti rispetto ai supercomputer classici.

Il calcolo quantistico rappresenta probabilmente l’applicazione più dirompente per la sicurezza nazionale. I computer quantistici, sfruttando fenomeni come la sovrapposizione e l’entanglement, possono teoricamente decifrare le attuali forme di crittografia in tempi brevissimi. Questo potrebbe compromettere la sicurezza delle comunicazioni militari, dei sistemi finanziari e delle infrastrutture critiche a livello globale.

Algoritmi quantistici come quello di Shor potrebbero rendere obsoleti gli attuali sistemi di crittografia asimmetrica, aprendo la strada a quella che alcuni esperti definiscono “apocalisse quantistica”. Chi possiederà per primo questa capacità potrà accedere a informazioni classificate delle potenze rivali, sovvertendo gli equilibri geopolitici esistenti.

Parallelamente alla minaccia per i sistemi crittografici attuali, le tecnologie quantistiche offrono anche nuove opportunità per comunicazioni ultrasicure. La distribuzione quantistica delle chiavi (QKD) sfrutta principi quantistici per creare canali di comunicazione teoricamente impossibili da intercettare senza essere rilevati.

La Cina ha già dimostrato un’impressionante leadership in questo settore, implementando una rete nazionale in fibra ottica basata su principi quantistici e lanciando satelliti dedicati alle comunicazioni quantistiche. Secondo analisti americani, nel giro di pochi anni la Cina potrebbe diventare una “fortezza digitale” praticamente inviolabile agli attacchi informatici16.

Sensori Quantistici: vedere l’invisibile

I sensori quantistici rappresentano un’altra area cruciale di sviluppo militare. Questi dispositivi, sfruttando le proprietà quantistiche della materia, possono rilevare campi magnetici, gravitazionali ed elettromagnetici con una sensibilità senza precedenti.

L’agenzia DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) americana ha recentemente avviato il programma RoQS (Robust Quantum Sensors) per sviluppare sensori quantistici in grado di operare efficacemente anche su piattaforme militari dinamiche. Questi sensori potrebbero rivoluzionare le capacità di ricognizione e sorveglianza, consentendo il rilevamento di sottomarini, aerei stealth e altre minacce difficilmente individuabili con le tecnologie attuali.

Un’applicazione particolarmente rilevante per le forze armate è la navigazione quantistica, che potrebbe fornire alternative al GPS in scenari dove i segnali satellitari sono disturbati o negati. I sensori quantistici possono misurare con estrema precisione accelerazioni e rotazioni, consentendo sistemi di navigazione inerziale molto più accurati di quelli attuali.

La corsa alla supremazia quantistica

Gli Stati Uniti stanno investendo massicciamente nelle tecnologie quantistiche attraverso iniziative congiunte tra settore privato, accademia e difesa. Aziende come Google, IBM e Microsoft guidano la ricerca sui computer quantistici, mentre il Dipartimento della Difesa sta integrando queste tecnologie nelle proprie strategie.

Recentemente, i legislatori statunitensi hanno presentato il “Defense Quantum Acceleration Act”, un disegno di legge che mira ad accelerare l’adozione delle tecnologie quantistiche nel settore della difesa. La proposta prevede la creazione di un consulente quantistico e di un centro di eccellenza per catalizzare la ricerca e lo sviluppo in questo settore strategico.

La Cina e l’ambizione quantistica

La Cina ha identificato le tecnologie quantistiche come priorità nazionale, investendo centinaia di milioni di dollari in programmi di ricerca avanzata. Il “father of quantum”, un progetto guidato da 130 ricercatori presso l’Università di Scienza e Tecnologia della Cina, è solo uno degli ambiziosi programmi lanciati da Pechino.

Nel campo della crittografia e delle comunicazioni quantistiche, la Cina ha già superato gli Stati Uniti in termini di brevetti depositati. Questa leadership potrebbe tradursi in un vantaggio strategico significativo, consentendo a Pechino di proteggere le proprie comunicazioni mentre potenzialmente compromette quelle avversarie.

Russia, Europa e altri attori

Anche Russia ed Europa sono entrate nella corsa quantistica, sebbene con investimenti più contenuti rispetto a USA e Cina. La Russia sta concentrando i propri sforzi sull’applicazione delle tecnologie quantistiche alla guerra ibrida, mentre l’Unione Europea ha lanciato un’ambiziosa Flagship sulle tecnologie quantistiche.

La guerra quantica avrà un impatto profondo sulla cybersecurity e sulla guerra informatica. Da un lato, i computer quantistici potrebbero compromettere le attuali infrastrutture di sicurezza informatica; dall’altro, offrono nuove possibilità per rafforzare le difese contro gli attacchi convenzionali.

Un attacco quantistico alle chiavi di crittografia asimmetrica potrebbe causare il collasso di tutti i sistemi informativi, portando a quella che alcuni esperti definiscono “apocalisse quantistica”. La minaccia è sufficientemente concreta da spingere governi e aziende a sviluppare urgentemente standard di crittografia post-quantistica.

Le tecnologie quantistiche potrebbero ridefinire anche le dinamiche della guerra irregolare e asimmetrica. Sensori quantistici avanzati potrebbero consentire l’identificazione precisa di combattenti nemici in ambienti urbani complessi, mentre algoritmi quantistici potrebbero analizzare enormi quantità di dati per prevedere attacchi terroristici o individuare reti clandestine.

La simulazione quantistica potrebbe inoltre migliorare significativamente la capacità di modellare scenari di conflitto complessi, consentendo ai pianificatori militari di testare numerose strategie in parallelo e identificare approcci ottimali per operazioni contro insurrezionali.

Nel campo delle operazioni di influenza e della guerra dell’informazione, i computer quantistici potrebbero analizzare vasti set di dati provenienti dai social media e dalle reti informative, identificando pattern, tendenze e anomalie che potrebbero indicare tentativi avversari di influenzare l’opinione pubblica o diffondere disinformazione.

Contromisure anti-disinformazione potenziate dal quantum potrebbero simulare la diffusione della disinformazione attraverso le reti, generando contro-narrative su larga scala e in tempo reale.

L’avvento della guerra quantica solleva interrogativi profondi sulla stabilità strategica globale. La possibilità che una potenza raggiunga per prima la supremazia quantistica potrebbe innescare una nuova forma di “first strike advantage”, dove chi detiene il vantaggio tecnologico potrebbe essere tentato di utilizzarlo prima che gli avversari recuperino il divario.

Particolarmente preoccupante è lo scenario in cui computer quantistici avanzati possano decifrare le comunicazioni militari strategiche, compromettendo sistemi di comando e controllo nucleare e potenzialmente destabilizzando la deterrenza nucleare.

Questioni etiche nell’era quantistica

L’etica quantistica è un campo emergente che affronta le implicazioni etiche delle tecnologie quantistiche come calcolo quantistico, crittografia quantistica e rilevamento quantistico. Queste tecnologie hanno il potenziale di rivoluzionare molti settori, tra cui finanza, medicina e difesa nazionale, ma sollevano anche preoccupazioni relative alla privacy, alla sicurezza e al potenziale uso improprio.

Una delle principali considerazioni etiche nell’etica quantistica riguarda la questione della supremazia quantistica, che si riferisce al punto in cui i computer quantistici possono superare le prestazioni dei computer classici in alcune attività. Questo ha il potenziale di interrompere molte industrie e solleva interrogativi sull’impatto sulla forza lavoro e sul potenziale per le perdite di posti di lavoro.

La guerra quantica non è più un concetto di fantascienza, ma una realtà emergente che sta rapidamente trasformando il panorama della sicurezza globale. Le potenze mondiali sono impegnate in una corsa silenziosa ma frenetica per raggiungere la supremazia in questo campo, consapevoli che chi emergerà vittorioso potrebbe acquisire un vantaggio strategico paragonabile a quello ottenuto con lo sviluppo delle armi nucleari nel secolo scorso.

Le tecnologie quantistiche promettono di rivoluzionare tutti gli aspetti della guerra moderna, dalla crittografia ai sensori, dalla navigazione al calcolo avanzato. Le loro applicazioni spaziano dalla guerra cibernetica alle operazioni di influenza, dalla sorveglianza alla modellizzazione di scenari complessi.

Tuttavia, questa rivoluzione tecnologica porta con sé sfide etiche e di sicurezza senza precedenti. Il rischio di un’apocalisse quantistica, dove sistemi critici vengono compromessi da attacchi informatici potenziati dal quantum, richiede un approccio proattivo allo sviluppo di standard di sicurezza post-quantistici e nuovi framework di governance internazionale.

Come sempre nella storia dell’umanità, le nuove tecnologie offrono sia opportunità che minacce. La sfida per governi, organizzazioni internazionali e società civile sarà quella di garantire che la rivoluzione quantistica venga indirizzata verso applicazioni che rafforzino la sicurezza globale, piuttosto che destabilizzarla ulteriormente in un mondo già caratterizzato da crescenti tensioni geopolitiche.

Kursk. In Ucraina si chiedono se ne valeva la pena

La Russia riconquista Kursk: gli ucraini si interrogano sul valore dell’operazione

L’incursione ucraina nella regione russa di Kursk, iniziata ad agosto come prima invasione straniera del territorio russo dalla Seconda Guerra Mondiale, sembra giungere al termine con la riconquista da parte delle forze russe delle aree precedentemente occupate. Mentre Mosca celebra questa vittoria, in Ucraina si fa sempre più acceso il dibattito sul valore strategico dell’operazione, sui suoi costi e sui reali benefici ottenuti. La riconquista russa di Sudzha, avvenuta questa settimana, segna un punto di svolta significativo in questa fase del conflitto, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy ha definito la situazione “estremamente difficile”.

L’offensiva ucraina e i suoi obiettivi iniziali

L’invasione a sorpresa della regione di Kursk da parte dell’Ucraina, avviata ad agosto 2024, rappresenta un momento storico del conflitto russo-ucraino. Si è trattato della prima invasione straniera del territorio russo dalla Seconda Guerra Mondiale, un’operazione che ha colto di sorpresa non solo Mosca ma anche molti osservatori internazionali. L’obiettivo dichiarato dell’operazione era costringere la Russia a ritirare truppe dal fronte orientale dell’Ucraina, dove le forze di Mosca stavano guadagnando terreno, creando così una zona cuscinetto per proteggere i civili ucraini dai bombardamenti transfrontalieri.

L’incursione aveva anche lo scopo di dimostrare la vulnerabilità della Russia e risollevare il morale delle truppe ucraine dopo mesi di difficoltà sul campo di battaglia. Gli strateghi ucraini speravano che questa mossa audace potesse cambiare la dinamica del conflitto e rafforzare la posizione di Kiev nel momento in cui il sostegno occidentale sembrava vacillare.

Durante le fasi iniziali dell’operazione, le forze ucraine riuscirono a penetrare per circa 30 chilometri nel territorio russo, occupando diverse decine di insediamenti nella regione di Kursk. Questo successo iniziale fu celebrato come una dimostrazione della capacità offensiva ucraina, nonostante la significativa differenza di risorse rispetto all’esercito russo. Le truppe ucraine riuscirono a mantenere il controllo di parte del territorio per diverse settimane, stabilendo posizioni difensive e tentando di consolidare i guadagni ottenuti.

La controffensiva russa e la riconquista del territorio

Dopo l’iniziale sorpresa, la Russia ha risposto con una massiccia controffensiva, mobilitando significative risorse militari per riconquistare il territorio perduto.

Kiev ha impegato alcune delle sue migliori forze di assalto navale e aereo, ma il raggruppamento non fu mai abbastanza numeroso da riuscire a controllare un’area più vasta.

Fin dall’inizio, la logistica è stata seriamente complicata perché, entrando nella regione di Kursk, abbiamo garantito una profondità sufficiente ma non una larghezza sufficiente“, ha affermato Serhiy Rakhmanin, un deputato ucraino della commissione parlamentare per la sicurezza e la difesa.

Fin dall’inizio, la Russia ha avuto un vantaggio in termini di uomini lungo la linea del fronte di Kursk.

Ma la situazione è diventata critica verso la fine dell’anno scorso. La Russia ha portato unità d’élite e le migliori forze di droni come rinforzi, aiutata dalle forze nordcoreane. Hanno intensificato gli assalti attorno ai fianchi ucraini e sono avanzati fino a raggiungere il raggio di tiro di una via di rifornimento chiave, secondo i resoconti dei blogger militari ucraini vicini alle forze armate.

Non solo hanno aumentato il numero del loro gruppo che si oppone al nostro esercito, ma ne hanno anche migliorato la qualità“, ha detto Rakhmanin. Il presidente russo Vladimir Putin non ha mai riconosciuto il ruolo dei nordcoreani sul campo di battaglia.

Questa settimana ha segnato un punto di svolta decisivo con la riconquista di Sudzha, un centro strategico nella regione di Kursk che era caduto sotto il controllo ucraino durante l’invasione di agosto. La ripresa di questa località rappresenta un importante successo per le forze russe, che stanno progressivamente riaffermando il controllo su tutto il territorio precedentemente occupato dagli ucraini.

Le forze russe hanno impiegato artiglieria pesante, supporto aereo e un numero consistente di truppe per sopraffare le difese ucraine, costringendole a una ritirata graduale ma inesorabile. Il presidente Zelenskiy ha descritto la situazione come “estremamente difficile”, riconoscendo implicitamente le sfide che le sue forze stanno affrontando nel mantenere le posizioni conquistate.

L’impatto umanitario dell’operazione

L’operazione militare ha avuto un impatto significativo sulla popolazione civile della regione di Kursk. Circa 28.000 persone sono state evacuate dalle aree di conflitto, creando una crisi umanitaria che ha richiesto una risposta immediata da parte delle autorità russe. Molti residenti hanno dovuto abbandonare le proprie case e i propri mezzi di sussistenza, aggiungendo un ulteriore strato di sofferenza umana a un conflitto già caratterizzato da enormi costi in termini di vite civili.

Il dibattito in Ucraina: valeva la pena?

Mentre le forze russe riconquistano il territorio, in Ucraina si fa sempre più acceso il dibattito sull’efficacia complessiva dell’operazione Kursk. Molti ucraini si chiedono se l’incursione abbia effettivamente raggiunto i suoi obiettivi strategici e se i costi sostenuti – in termini di vite umane, risorse militari e capitale politico – siano stati giustificati dai risultati ottenuti.

I critici dell’operazione sostengono che le risorse impiegate a Kursk avrebbero potuto essere utilizzate più efficacemente per difendere il territorio ucraino, in particolare nelle regioni orientali dove le forze russe continuano ad avanzare.

Viktor Muzhenko, ex capo dello Stato maggiore ucraino, scrisse nell’agosto 2024 che l’Ucraina avrebbe dovuto “concentrarsi sulla difesa dei suoi territori chiave, evitando operazioni imprevedibili e rischiose che potrebbero distogliere l’attenzione dalle minacce principali e scegliere forme e metodi di impiego delle truppe adeguati alle proprie capacità“.

Altri ritengono che l’operazione, anche se temporanea, abbia comunque costretto la Russia a riallocare risorse significative, alleviando la pressione su altre parti del fronte.

Gli analisti militari sono divisi nella valutazione dell’operazione Kursk. Alcuni sostengono che l’incursione abbia effettivamente costretto la Russia a ridistribuire parte delle sue forze, creando una temporanea distrazione che ha permesso all’Ucraina di guadagnare tempo prezioso. Altri ritengono che il valore strategico dell’operazione sia stato limitato e che i benefici tattici non giustifichino pienamente i rischi assunti e le risorse investite.

Implicazioni future per il conflitto

La riconquista russa di Kursk segna una nuova fase del conflitto, con potenziali ripercussioni sia sul campo di battaglia che sul piano diplomatico. Per l’Ucraina, la perdita del territorio conquistato potrebbe rappresentare un colpo al morale delle truppe e dell’opinione pubblica, già provati da anni di conflitto e da recenti battute d’arresto militari.

Per la Russia, la riconquista di Kursk viene presentata come una vittoria significativa, che potrebbe rafforzare la posizione di Putin sia internamente che nei confronti della comunità internazionale. Tuttavia, il fatto che l’Ucraina sia riuscita a penetrare così profondamente nel territorio russo evidenzia anche vulnerabilità che Mosca dovrà affrontare in futuro.

Mentre la Russia celebra il ritorno del controllo sul proprio territorio, in Ucraina si apre una fase di riflessione critica sulle scelte strategiche fatte e sulle lezioni da trarre per il futuro. Al di là dei successi e dei fallimenti tattici, rimane il fatto che migliaia di civili hanno pagato il prezzo di queste operazioni militari, aggiungendo ulteriori sofferenze a un conflitto che continua a mietere vittime su entrambi i fronti.

Opposizioni italiane: unite in piazza, divise in Parlamento

La recente manifestazione per l’Europa in Piazza del Popolo a Roma ha messo in evidenza un paradosso della politica italiana: le opposizioni, pur condividendo uno spazio fisico comune, rimangono profondamente divise su questioni fondamentali come difesa europea e sostegno all’Ucraina. Mentre migliaia di persone sventolavano bandiere, i leader dei partiti di opposizione preparavano già le proprie strategie individuali per le imminenti discussioni parlamentari, rivelando una frammentazione che va ben oltre le apparenze di unità mostrate in piazza.

Il paradosso dell’unità di facciata

La manifestazione romana ha visto la partecipazione di gran parte dell’arco delle forze di opposizione, ma questa apparente coesione non si tradurrà in un’azione parlamentare unitaria. Martedì al Senato e mercoledì alla Camera, quando verranno discusse le comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo, ogni forza politica presenterà una propria risoluzione, seguendo strategie e visioni spesso contrastanti tra loro.

Particolarmente significativa è stata l’assenza del Movimento 5 Stelle dalla piazza, nonostante le affinità con altre forze progressiste su temi cruciali come il pacifismo. Questa scelta ha evidenziato ancora una volta come, al di là delle convergenze tematiche, permangano distanze politiche e strategiche difficilmente colmabili nel breve periodo.

Il tema più divisivo riguarda indubbiamente la politica estera e di difesa. Mentre M5S e Alleanza Verdi Sinistra preparano risoluzioni che chiederanno esplicitamente un “no alle armi” e si opporranno al piano di riarmo europeo, le forze centriste si muoveranno nella direzione opposta, sostenendo la necessità di rafforzare le capacità difensive dell’Europa.

Giuseppe Conte ha già delineato chiaramente la posizione del suo movimento: “Il Governo Meloni si è affannato a chiedere a Bruxelles di spendere fino a 35 miliardi in armi fuori dai vincoli europei. Dobbiamo fermarli”. La bozza di risoluzione pentastellata chiede che i fondi previsti per il riarmo vengano invece destinati a sanità, sostegni alle imprese, occupazione, istruzione e transizione ecologica.

Sulla stessa linea si muove Alleanza Verdi Sinistra, il cui documento chiederà “un’Europa di pace”, ribadendo l’opposizione all’incremento delle spese militari. Nonostante questa sintonia sui contenuti, AVS ha scelto, a differenza del M5S, di partecipare alla manifestazione romana, con la presenza di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli.

La complessa mediazione del Partito Democratico

In questo scenario frammentato, particolarmente delicata appare la posizione del Partito Democratico. Per Elly Schlein, la stesura della risoluzione rappresenta una prova cruciale della sua leadership, dovendo mediare tra anime diverse del partito che si sono già divise nel recente voto di Strasburgo sulla difesa europea.

Venerdì si è tenuta una lunga riunione che ha coinvolto i capigruppo di Senato e Camera, Francesco Boccia e Chiara Braga, insieme ai responsabili delle commissioni Esteri e Difesa e al responsabile Esteri Peppe Provenzano. Il compito di quest’ultimo sarà quello di tirare le fila in vista dell’assemblea congiunta di deputati e senatori dem prevista per martedì, poche ore prima delle comunicazioni di Meloni a Palazzo Madama.

Un esponente riformista del partito ha lasciato intendere che “se c’è la volontà, un punto di caduta comune lo troveremo”, ma resta da capire se questa volontà esista davvero o se l’unica soluzione sarà quella di andare alla conta interna. Sul tavolo c’è anche l’ipotesi di un congresso tematico, che potrebbe rappresentare la via d’uscita da una situazione di stallo che rischia di compromettere l’unità del partito.

Le tensioni tra le forze di opposizione

Oltre alle divergenze sui contenuti, non mancano scontri personali tra i leader. Particolarmente teso è il rapporto tra Alleanza Verdi Sinistra e Azione. Angelo Bonelli ha criticato aspramente Carlo Calenda, affermando che “chi non la pensa come lui diventa un nemico”, in riferimento a un post in cui il leader di Azione aveva attaccato il direttore de La Stampa, Andrea Malaguti, accusandolo di aver commentato la manifestazione usando “tutto il repertorio grillino”.

Anche Ivan Scalfarotto di Italia Viva, presente in piazza con la delegazione renziana, ha definito le parole di Calenda come dimostrazione “dell’ormai completa assenza di lucidità del nostro amico Carlo”, evidenziando come le divisioni attraversino anche il campo centrista.

Prospettive incerte per un’opposizione frammentata

Nonostante questo quadro complesso, Nicola Fratoianni mantiene un certo ottimismo: “Pd, M5s e Avs, le principali forze dell’opposizione, hanno detto la stessa cosa: no a un piano di riarmo che rincorre la spesa nazionale inefficiente, sbagliata e fuori-centro. Mi pare un passo in avanti”. Secondo il leader di Sinistra Italiana, “se c’è qualcuno che deve preoccuparsi delle divisioni in questo momento non siamo noi, ma le forze di governo”.

Tuttavia, l’evidenza suggerisce che la galassia delle opposizioni resti molto lontana dal trovare una linea di convergenza strutturale che vada oltre singole battaglie parlamentari. La manifestazione per l’Europa, lungi dal ridurre le distanze tra i partiti, sembra aver piuttosto evidenziato quanto sia complesso costruire un’alternativa credibile all’attuale maggioranza.

Mentre il governo si prepara al Consiglio europeo con una posizione unitaria, le opposizioni continueranno a navigare in un arcipelago di posizioni diverse, rendendo difficile presentarsi come una vera alternativa di governo agli occhi dell’elettorato italiano. Il paradosso di forze politiche unite in piazza ma divise in Parlamento rappresenta, in ultima analisi, uno dei principali ostacoli alla costruzione di un’opposizione efficace nell’attuale panorama politico italiano.