12 Novembre 2025
Home Blog Pagina 18

Trump: parlerò con Putin per porre fine alla guerra in Ucraina

Donald Trump si prepara a discutere con Vladimir Putin per cercare di porre fine alla guerra in Ucraina. Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato che parlerà direttamente con il leader del Cremlino, dopo i colloqui che funzionari statunitensi hanno avuto a Mosca nel fine settimana. Trump ha espresso ottimismo, dichiarando che esiste una “ottima possibilità” di raggiungere un cessate il fuoco di 30 giorni, già accettato dall’Ucraina la scorsa settimana.

Vogliamo vedere se possiamo porre fine a questa guerra“, ha dichiarato Trump ai giornalisti durante il volo di ritorno dalla Florida a Washington a bordo dell’Air Force One. La dichiarazione arriva in un momento critico, con le forze russe che continuano a esercitare pressione sulla regione occidentale di Kursk, mentre i bombardamenti reciproci tra Mosca e Kiev non accennano a diminuire.

Nonostante l’annuncio di Trump, il Cremlino non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito. Tuttavia, venerdì scorso, il portavoce del governo russo ha confermato che Putin ha inviato a Trump un messaggio attraverso l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff. Nel messaggio, Putin avrebbe espresso “cauto ottimismo” circa la possibilità di un accordo per porre fine a un conflitto che dura ormai da tre anni.

Gli ostacoli a un accordo

Nonostante le aperture, restano numerosi ostacoli da superare. Steve Witkoff, il Segretario di Stato Marco Rubio e il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz hanno dichiarato nei talk show domenicali statunitensi che ci sono ancora molte difficoltà da affrontare prima che Mosca accetti un cessate il fuoco.

Durante un’intervista con ABC, Waltz ha risposto in modo evasivo alla domanda se gli Stati Uniti accetterebbero un accordo che permetta alla Russia di mantenere i territori ucraini occupati.

Rubio, parlando alla CBS, ha sottolineato che una pace duratura richiederà concessioni da entrambe le parti, e che è difficile avviare un serio processo negoziale finché le ostilità proseguono senza sosta.

La posizione di Kiev

Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy ha dichiarato di essere favorevole alla tregua proposta dagli Stati Uniti, vedendola come una possibilità concreta per porre fine al conflitto. Tuttavia, ha ribadito che la sovranità dell’Ucraina non è negoziabile e che Mosca deve restituire tutti i territori occupati.

La Russia controlla attualmente la Crimea, annessa nel 2014, e gran parte delle quattro regioni ucraine orientali conquistate con l’invasione del 2022. Qualsiasi negoziato di pace che preveda la cessione definitiva di queste aree da parte di Kiev sembra dunque difficilmente realizzabile.

Le richieste della Russia

Mosca, dal canto suo, ha fatto sapere di voler ottenere “garanzie ferree” in qualsiasi accordo di pace. Tra queste, l’esclusione dell’Ucraina dalla NATO e il mantenimento di un ruolo neutrale del paese. Il viceministro degli Esteri russo Alexander Grushko ha dichiarato in un’intervista al quotidiano Izvestia che un eventuale trattato di pace dovrà rispettare le esigenze di sicurezza della Russia.

Pretenderemo che garanzie ferree di sicurezza diventino parte di questo accordo“, ha detto Grushko. “Parte di queste garanzie dovrebbe essere lo status neutrale dell’Ucraina e il rifiuto dei paesi della NATO di accettarla nell’alleanza“.

Putin ha sempre sostenuto che l’espansione della NATO rappresenta una minaccia diretta alla sicurezza della Russia, e tra le sue condizioni per la fine del conflitto figurano il mantenimento del controllo sui territori ucraini occupati, la riduzione delle dimensioni delle forze armate ucraine, l’allentamento delle sanzioni occidentali e l’organizzazione di nuove elezioni presidenziali in Ucraina.

Le implicazioni per gli Stati Uniti

L’intervento di Trump nella crisi ucraina segna una svolta potenzialmente significativa nella politica estera degli Stati Uniti. Il presidente sta cercando di influenzare direttamente le dinamiche del conflitto e la strategia di Washington verso la Russia.

L’incontro telefonico tra Trump e Putin potrebbe rappresentare un momento cruciale nella ricerca di una soluzione diplomatica alla guerra in Ucraina. Tuttavia, le profonde divergenze tra le parti in causa e la mancanza di un terreno comune su questioni fondamentali rendono altamente incerto il successo dell’iniziativa.

Da un lato, il governo ucraino non intende accettare alcuna cessione territoriale, mentre la Russia continua a chiedere concessioni sostanziali in termini di sicurezza e influenza geopolitica. Nel frattempo, gli Stati Uniti si trovano a bilanciare la necessità di sostenere Kiev con la pressione per porre fine a un conflitto che ha già causato immense perdite umane e materiali.

Resta da vedere se Trump riuscirà a ottenere risultati concreti o se il suo intervento si rivelerà un tentativo politico senza reali conseguenze. La telefonata con Putin potrebbe essere il primo passo verso un negoziato, ma la strada verso la pace resta ancora lunga e piena di ostacoli.

Gli Stati Uniti lanciano un’offensiva contro gli Houthi nello Yemen

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha ordinato un massiccio attacco militare contro gli Houthi nello Yemen, allineati con l’Iran, in risposta agli attacchi del gruppo contro le navi nel Mar Rosso. L’operazione ha causato almeno 31 vittime e oltre 100 feriti, prevalentemente tra donne e bambini (secondo fonti Houthi), segnando l’inizio di una campagna che potrebbe protrarsi per settimane.

Il monito di Trump all’Iran

Trump ha lanciato un chiaro avvertimento all’Iran, principale sostenitore degli Houthi, esortandolo a interrompere immediatamente il proprio supporto al gruppo ribelle. “Se minacciate gli Stati Uniti, sarete ritenuti pienamente responsabili e non saremo gentili a riguardo!”, ha dichiarato il presidente. Tuttavia, il comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane, Hossein Salami, ha negato che Teheran abbia un controllo diretto sugli Houthi, sottolineando che questi ultimi operano in modo autonomo. “Se i nostri nemici daranno seguito alle loro minacce, l’Iran risponderà in modo deciso e distruttivo”, ha dichiarato Salami ai media di Stato.

Secondo fonti del Pentagono, gli attacchi statunitensi, in corso da sabato, rappresentano la più grande operazione militare degli USA in Medio Oriente dall’inizio dell’amministrazione Trump. L’offensiva è avvenuta in un momento di crescente pressione su Teheran attraverso sanzioni, nel tentativo di costringere il governo iraniano a negoziare sul suo programma nucleare.

Trump ha espresso un messaggio inequivocabile agli Houthi attraverso la sua piattaforma Truth Social: “Il vostro tempo è scaduto e i vostri attacchi devono finire da oggi. Se non lo faranno, l’inferno si scatenerà su di voi come mai visto prima!”.

Le conseguenze degli attacchi

Anees al-Asbahi, portavoce del ministero della Salute gestito dagli Houthi, ha aggiornato il bilancio delle vittime, parlando di 31 morti e 101 feriti. Il governo Houthi ha condannato l’attacco definendolo un “crimine di guerra” e ha ribadito la propria volontà di rispondere con altre azioni militari.

I residenti della capitale Sanaa hanno riferito di esplosioni potenti in un’area controllata dagli Houthi, con case scosse come se fosse avvenuto un terremoto. “Hanno terrorizzato le nostre donne e i nostri bambini”, ha dichiarato Abdullah Yahia, testimone dell’attacco. Gli attacchi hanno colpito anche siti militari a Taiz e una centrale elettrica a Dahyan, provocando un blackout in una zona dove il leader Houthi, Abdul Malik al-Houthi, è solito ricevere i suoi ospiti.

Negli ultimi dieci anni, gli Houthi hanno conquistato gran parte dello Yemen e, dal novembre 2023, hanno lanciato numerosi attacchi contro navi commerciali nel Mar Rosso, sostenendo di agire in solidarietà con la causa palestinese nel conflitto tra Israele e Hamas. Secondo il Pentagono, il gruppo ha attaccato navi da guerra statunitensi 174 volte e imbarcazioni commerciali 145 volte dal 2023.

Mentre la precedente amministrazione Biden aveva adottato un approccio più contenuto, Trump ha optato per una risposta più aggressiva per neutralizzare la minaccia. Secondo fonti anonime interne all’amministrazione, l’attuale strategia mira a colpire in modo sistematico le capacità offensive degli Houthi.

La reazione internazionale

Il Comando Centrale degli Stati Uniti ha descritto l’offensiva come un’operazione su vasta scala, condotta principalmente da aerei da combattimento della portaerei USS Harry S. Truman, posizionata nel Mar Rosso. Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha dichiarato su X (ex Twitter): “Gli attacchi Houthi contro le navi e le truppe americane non saranno tollerati. E l’Iran è stato avvisato”.

L’Iran ha condannato gli attacchi, definendoli una “grave violazione della Carta delle Nazioni Unite e delle regole fondamentali del diritto internazionale”. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, ha ribadito che gli Stati Uniti non hanno alcuna autorità per dettare la politica estera iraniana e ha attaccato Washington per il suo sostegno a Israele: “Interrompete il sostegno al genocidio e al terrorismo israeliano. Smettete di uccidere il popolo yemenita”, ha scritto su X.

Nel frattempo, gli Houthi hanno annunciato la ripresa degli attacchi contro le navi israeliane nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden e nello Stretto di Bab el-Mandeb, ponendo fine a una relativa tregua iniziata con il cessate il fuoco a Gaza.

L’attacco degli Stati Uniti arriva pochi giorni dopo che Trump aveva inviato una lettera alla Guida Suprema iraniana, Ali Khamenei, per cercare di riavviare i negoziati sul nucleare. Khamenei, tuttavia, ha respinto qualsiasi possibilità di dialogo con Washington.

All’interno dell’Iran, cresce il malcontento popolare per la crisi economica, con il timore che la rabbia pubblica possa sfociare in proteste di massa. Secondo fonti statunitensi, gli attacchi israeliani dell’anno scorso contro le infrastrutture militari iraniane hanno ridotto le capacità convenzionali di Teheran, che ora sta accelerando l’arricchimento dell’uranio fino al 60%, un livello vicino alla soglia del 90% necessaria per la costruzione di un’arma nucleare.

In un apparente tentativo di migliorare i rapporti con la Russia, il segretario di Stato Marco Rubio ha informato il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, sugli attacchi statunitensi in Yemen. Mosca, infatti, ha ricevuto ingenti forniture di missili e droni dall’Iran per il suo conflitto in Ucraina, secondo funzionari statunitensi e ucraini.

L’operazione militare statunitense contro gli Houthi potrebbe segnare una nuova fase del conflitto in Medio Oriente, con il rischio di un’escalation tra Stati Uniti e Iran. Con l’Iran deciso a difendere i propri alleati e gli Houthi determinati a proseguire i loro attacchi, la regione si avvia verso un periodo di forte instabilità, mentre le ripercussioni sulla sicurezza globale e sulle rotte commerciali internazionali restano imprevedibili.

Cessate il fuoco degli Stati Uniti: un vantaggio solo per Kiev?

Il consigliere principale per la politica estera del presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la proposta degli Stati Uniti di una tregua di 30 giorni nel conflitto in Ucraina non offrirebbe alcun beneficio alla Russia, ma sarebbe invece un’opportunità per le forze ucraine di riorganizzarsi e rafforzarsi sul campo di battaglia.

Un conflitto che si protrae da tre anni

Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, il conflitto ha subito diverse fasi di escalation e stallo. Tuttavia, dalla metà del 2024, le forze russe hanno ripreso slancio e attualmente controllano circa un quinto del territorio ucraino. La guerra si è trasformata in una lunga e logorante battaglia, con pesanti perdite da entrambe le parti e un impatto devastante sulla popolazione civile.

In questo contesto, la proposta statunitense di una tregua di 30 giorni è stata presentata come un tentativo di fermare temporaneamente le ostilità e aprire un canale di dialogo per un possibile accordo di pace. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha espresso il desiderio di porre fine al conflitto, ribadendo che durante il suo primo mandato aveva adottato una politica più dura nei confronti della Russia rispetto ai suoi predecessori.

La posizione della Russia sulla tregua

Secondo Yuri Ushakov, ex ambasciatore a Washington e stretto collaboratore di Putin sulle questioni di politica estera, la proposta statunitense non è altro che un vantaggio per l’Ucraina. Ushakov ha sottolineato che l’interruzione temporanea dei combattimenti consentirebbe all’esercito ucraino di riorganizzarsi e rafforzarsi, senza offrire nulla di concreto alla Russia.

Ho espresso la nostra posizione, secondo la quale questa tregua non è altro che una pausa per l’esercito ucraino, niente di più“, ha dichiarato Ushakov alla televisione di stato russa. “Non ci offre nulla. Permette solo agli ucraini di riorganizzarsi, guadagnare forze e continuare la stessa strategia militare“.

Questa dichiarazione suggerisce che il Cremlino percepisce la tregua come una manovra strategica dell’Occidente per favorire Kiev, piuttosto che come un reale passo verso la pace. Ushakov ha aggiunto che la proposta avrebbe bisogno di essere modificata per tenere conto degli interessi russi, lasciando intendere che Mosca potrebbe essere disposta a negoziare se le condizioni fossero più favorevoli alla Russia.

Il ruolo di Trump e la diplomazia statunitense

L’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, è arrivato a Mosca giovedì per colloqui con funzionari russi. Secondo quanto riferito, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Mike Waltz, aveva già discusso la proposta di cessate il fuoco con Mosca il giorno precedente. Questo suggerisce che, nonostante le divergenze, Washington e Mosca stanno mantenendo aperto un canale di comunicazione.

Trump ha espresso pubblicamente la speranza che il Cremlino accetti la tregua, definendo la guerra in Ucraina un “bagno di sangue” e sottolineando la necessità di fermare il conflitto. Tuttavia, resta da vedere quale sarà la sua reazione di fronte alla posizione russa, che appare scettica sulla reale utilità della proposta.

Un vantaggio strategico per Mosca?

Le parole di Ushakov riflettono la convinzione che la Russia si trovi in una posizione di forza nelle trattative di pace, grazie ai progressi militari compiuti negli ultimi mesi. Secondo gli analisti, il Cremlino potrebbe essere riluttante ad accettare una pausa nei combattimenti proprio nel momento in cui le sue forze stanno avanzando sul terreno.

Inoltre, Mosca teme che la tregua possa essere utilizzata dagli alleati occidentali dell’Ucraina per inviare ulteriori aiuti militari a Kiev, rafforzando così le sue capacità difensive e prolungando il conflitto. La Russia, dunque, potrebbe considerare la proposta statunitense non come un’opportunità di pace, ma come un tentativo dell’Occidente di riequilibrare la situazione sul campo di battaglia.

Le reazioni internazionali

Le dichiarazioni di Ushakov potrebbero anche essere interpretate come un tentativo di anticipare le mosse diplomatiche dell’Occidente. Accusando gli Stati Uniti e l’Europa di voler dipingere la Russia come contraria alla pace, il Cremlino cerca di ribaltare la narrativa internazionale, presentandosi come un attore razionale che rifiuta soluzioni inefficaci.

Nel frattempo, l’Ucraina ha espresso il proprio sostegno alla proposta di cessate il fuoco, segnalando la volontà di accettare una pausa nei combattimenti. Tuttavia, resta incerto se questa posizione sia dettata da una reale apertura al dialogo o dalla necessità di ottenere un sollievo temporaneo dalle pressioni militari russe.

Gli alleati occidentali di Kiev, inclusi i membri della NATO e l’Unione Europea, stanno osservando attentamente l’evolversi della situazione. Alcuni paesi, come la Francia e la Germania, hanno già espresso il loro sostegno a una tregua temporanea, nella speranza di avviare negoziati più ampi. Tuttavia, senza l’assenso di Mosca, la proposta rischia di rimanere lettera morta.

La proposta statunitense di un cessate il fuoco di 30 giorni rappresenta un tentativo di fermare temporaneamente il conflitto in Ucraina e aprire un possibile dialogo per la pace. Tuttavia, la risposta russa è stata scettica, con il Cremlino che considera la tregua come un’opportunità per Kiev di riorganizzarsi piuttosto che un passo verso la fine della guerra.

Con le forze russe in avanzata e l’Ucraina che sostiene la proposta, la decisione finale dipenderà dalle trattative tra Mosca, Washington e gli altri attori internazionali. Se Putin dovesse rifiutare la tregua, ciò potrebbe rafforzare la percezione che la Russia punti a una vittoria militare piuttosto che a un accordo negoziato. Al contrario, se accettasse la proposta, sarebbe necessario vedere quali condizioni aggiuntive la Russia porrebbe per accettare una pausa nei combattimenti.

L’Intelligenza artificiale può salvare il pianeta?

L’intelligenza artificiale generativa (Gen AI) sta rivoluzionando diversi settori, offrendo strumenti avanzati di elaborazione dati, automazione e innovazione. Tuttavia, questa straordinaria evoluzione tecnologica comporta anche un significativo impatto ambientale, sollevando interrogativi sulla sua sostenibilità a lungo termine.

L’Impatto energetico della Gen AI

Secondo un recente studio, l’addestramento di modelli di intelligenza artificiale di grandi dimensioni richiede un enorme consumo energetico. Ad esempio, per sviluppare GPT-3, che contiene 175 miliardi di parametri, viene impiegata una quantità di energia pari a quella consumata annualmente da 130 abitazioni negli Stati Uniti. Con GPT-4, che raggiunge 1,76 trilioni di parametri, l’energia necessaria si impenna fino all’equivalente del consumo annuo di 5.000 abitazioni.

Oltre alla fase di addestramento, anche la fase di inferenza, ovvero l’elaborazione delle risposte in tempo reale, ha un notevole impatto energetico, spesso equivalente o superiore a quello richiesto per l’addestramento iniziale. Inoltre, i data center che ospitano questi modelli consumano grandi quantità di acqua per il raffreddamento delle infrastrutture: ogni venti-cinquanta interrogazioni a un modello di linguaggio avanzato possono richiedere fino a mezzo litro d’acqua.

La scarsa consapevolezza tra le aziende

Nonostante queste cifre preoccupanti, solo una minima parte delle aziende misura e considera l’impatto ambientale delle proprie applicazioni di intelligenza artificiale. Il report di Capgemini evidenzia che appena il 12% dei dirigenti monitora l’impatto ambientale della Gen AI, mentre soltanto il 20% include la sostenibilità tra i principali criteri di selezione e sviluppo di modelli AI. Al contempo, quasi la metà delle aziende riconosce che le proprie iniziative di Gen AI hanno comportato un aumento delle emissioni di gas serra.

La difficoltà di quantificare l’impatto ambientale

Uno dei maggiori ostacoli per affrontare il problema risiede nella difficoltà di misurare con precisione l’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale. Il 74% dei dirigenti aziendali afferma di incontrare difficoltà nella valutazione del consumo energetico della Gen AI, in gran parte a causa della scarsa trasparenza da parte dei fornitori di tecnologia e della mancanza di metodologie standardizzate. Questo scenario evidenzia la necessità di sviluppare linee guida chiare e condivise a livello di settore per migliorare la rendicontazione energetica e ambientale.

L’impatto fisico dell’intelligenza artificiale

Oltre al consumo energetico, l’espansione dell’infrastruttura necessaria per l’intelligenza artificiale sta generando anche un impatto fisico rilevante, con conseguenze sulla gestione del territorio e sulle comunità locali. Secondo studi condotti dal MIT e da EY, il dibattito si concentra spesso solo sul consumo di energia, trascurando l’impatto sul territorio. L’aumento della domanda di data center e infrastrutture digitali può portare a tensioni legate alla gestione dello spazio e alla necessità di un’adeguata pianificazione urbanistica per evitare impatti negativi sulle comunità locali.

Le nuove tecnologie per un’IA sostenibile

Per ridurre il consumo energetico dell’intelligenza artificiale, gli esperti stanno sviluppando strategie innovative. Doug Ross, CTO di Sogeti, ha illustrato l’approccio del “mix di esperti”, un sistema che attiva solo i neuroni specifici necessari per un determinato compito invece di utilizzare l’intera rete neurale, riducendo così il fabbisogno energetico.

Queste soluzioni stanno trovando applicazione in settori cruciali come l’energia, la logistica e la sanità. Nell’ambito della supply chain, ad esempio, l’IA sta migliorando l’efficienza attraverso previsioni più accurate, riducendo i costi di trasporto e ottimizzando la gestione dell’inventario. Nel settore sanitario, l’IA sta accelerando la diagnosi precoce e migliorando la gestione dei pazienti, consentendo ai medici di concentrarsi sui casi più complessi.

Uno dei principali dilemmi nell’ambito dell’intelligenza artificiale sostenibile è come bilanciare la crescente domanda di potenza di calcolo con l’esigenza di ridurre i consumi energetici. Ross sottolinea che le aziende stanno già investendo in modelli di linguaggio più piccoli ed efficienti (SLM) e in sistemi hyperscaler che ottimizzano le risorse computazionali. Questi modelli più contenuti garantiscono prestazioni elevate in domini specifici con un consumo energetico ridotto, permettendo alle aziende di crescere in modo più sostenibile.

L’IA nella pianificazione della sostenibilità

Un altro aspetto fondamentale riguarda l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle strategie di sostenibilità aziendale. Molte imprese tendono a cercare soluzioni rapide piuttosto che adottare una pianificazione a lungo termine. Ross avverte che un cambiamento significativo richiede strategie proiettate sui prossimi vent’anni, piuttosto che interventi immediati e sporadici.

Un approccio efficace consiste nel ridurre i tempi di ciclo nei processi aziendali, migliorando l’efficienza operativa in tutti i settori e abbassando il consumo complessivo di risorse. Questo permette alle imprese di allineare le proprie esigenze economiche con gli obiettivi di sostenibilità ambientale.

Un altro elemento chiave nel percorso verso un’IA sostenibile è la trasparenza nel reporting aziendale. La crescente integrazione dell’IA nei report ESG (Environmental, Social, Governance) impone alle imprese di garantire dati accurati e affidabili. Tuttavia, permangono preoccupazioni sulla possibile diffusione di informazioni distorte o poco attendibili.

Ross suggerisce che l’adozione di standard normativi e tecnologie innovative può aiutare a superare questi ostacoli. Le grandi aziende stanno già orientandosi verso modelli AI più efficienti, che garantiscono una maggiore sostenibilità senza compromettere la competitività economica. Il framework “FTX” (Financial, Trust, and Experience) sta emergendo come un nuovo parametro per valutare l’adozione dell’IA, promuovendo soluzioni che combinano efficienza energetica e affidabilità dei risultati.

Il dibattito sulla sostenibilità dell’intelligenza artificiale è destinato a intensificarsi nei prossimi anni. Eventi internazionali come il World Economic Forum e la UN Global Platform stanno già mettendo al centro della discussione il ruolo dell’IA nella lotta ai cambiamenti climatici. Secondo Ross, le soluzioni basate sull’intelligenza artificiale hanno un grande potenziale per migliorare l’efficienza delle risorse e supportare le comunità più vulnerabili dal punto di vista ambientale.

Le tecnologie di risparmio energetico stanno rapidamente evolvendo, e cresce la consapevolezza dell’importanza di un utilizzo responsabile dell’IA. Il futuro della Gen AI dipenderà dalla capacità delle imprese e delle istituzioni di integrare innovazione e sostenibilità, assicurando che il progresso tecnologico non avvenga a scapito dell’ambiente.

La spaccatura Nato. Una nuova era

L’attuale scenario internazionale sta assistendo a una profonda trasformazione dei rapporti di forza tra le potenze mondiali, segnando il declino dell’asse euroatlantico e il riassetto della strategia occidentale nei confronti della Russia e della Cina. La crisi della NATO, anticipata da Emmanuel Macron nel 2019 durante il primo mandato di Donald Trump, appare oggi più concreta che mai. Già allora, il presidente francese aveva denunciato l’assenza di un coordinamento strategico tra gli Stati Uniti e i loro alleati europei, una realtà che si è manifestata con drammatica evidenza nei conflitti in Medio Oriente e, più recentemente, nella guerra in Ucraina.

L’Unione Europea e la sua irrilevanza geopolitica

A certificare l’inservibilità dell’Unione Europea come attore geopolitico è la composizione degli incontri emergenziali tra gli alleati occidentali. Il summit “europeo” di Londra, seguito a quello del 17 febbraio a Parigi, ha visto la partecipazione di attori non comunitari come il Canada e la Turchia. Questo non solo mette in discussione l’efficacia della UE come piattaforma decisionale, ma evidenzia anche le profonde divisioni interne: mancavano all’appello interi blocchi di paesi, tra cui i tre stati baltici – Estonia, Lettonia e Lituania – che sarebbero probabilmente le prime vittime di un’escalation russa. Un’Unione Europea che non riesce a garantire nemmeno la sicurezza dei propri membri più esposti dimostra quanto sia diventata un’entità politicamente debole e frammentata.

Il baricentro strategico dell’Europa sembra ora poggiare su un asse improvvisato tra Francia e Regno Unito, le uniche due potenze nucleari del continente. Tuttavia, la loro capacità di deterrenza è ben lontana dal controbilanciare l’arsenale russo, il quale, a sua volta, trova un’unica vera contropartita negli Stati Uniti. Questo assetto raffazzonato mostra tutta la debolezza dell’Occidente, privo della guida americana e incapace di rispondere in modo coordinato alle sfide geopolitiche attuali.

L’America ridisegna i suoi obiettivi strategici

Gran parte di questo sconvolgimento nasce dalla volontà americana di ridisegnare il proprio ruolo geopolitico. Washington ha avviato un processo di negoziato con la Russia, suggerendo implicitamente che la pace in Ucraina possa passare attraverso un cambio di leadership a Kiev. L’ipotesi di dimissioni forzate per Volodymyr Zelensky, ventilata dallo speaker della Camera dei Rappresentanti Mike Johnson e condivisa da esponenti trumpiani come J.D. Vance, segnala un drastico cambiamento di rotta.

Questa decisione americana, interpretata come un apparente trionfo per Mosca e Pechino, è in realtà una mossa calcolata per sganciare la Russia dall’abbraccio cinese, un’alleanza che gli stessi Stati Uniti avevano contribuito a rafforzare con le loro politiche sanzionatorie. A Washington, il Cremlino non è più visto come una minaccia esistenziale: la performance deludente delle forze armate russe in Ucraina ha smentito l’idea di una Russia capace di avanzare in profondità in Europa. Mosca ha subito perdite enormi senza riuscire a conquistare obiettivi strategici cruciali come Kiev, Odessa o Kharkiv. Di conseguenza, gli Stati Uniti valutano che la Russia possa essere gestita attraverso un compromesso diplomatico, riducendo l’influenza cinese sullo scacchiere globale.

La nuova gerarchia internazionale

L’America sta quindi ridefinendo le sue priorità, tornando a una politica realista basata su equilibri di potere tra grandi potenze. L’Unione Europea, invece, si trova in una posizione di passività, incapace di decidere il proprio futuro strategico. L’esperimento di Francia e Regno Unito di creare un’alleanza più attiva è ancora embrionale e, per ora, poco credibile come alternativa all’ombrello statunitense.

L’elezione di Donald Trump nel 2016 aveva già segnato una frattura nei rapporti transatlantici, e ora il mondo sta assistendo al definitivo disincanto americano nei confronti dell’Europa. Washington non è più disposta a garantire la sicurezza europea senza un contributo significativo da parte dei suoi alleati, né a farsi carico della loro difesa contro una minaccia russa che non ritiene più prioritaria. Gli Stati Uniti, infatti, vedono gli europei come responsabili di aver scatenato due guerre mondiali e di aver vissuto per decenni sotto la protezione americana senza assumersi responsabilità dirette.

Il ruolo dell’Italia in questo scenario

In questo contesto di trasformazione, l’Italia ha l’opportunità di giocare un ruolo chiave nella ricerca di una pace negoziata in Ucraina. Già all’inizio del conflitto, Roma aveva proposto un piano di pace che, tuttavia, è stato accantonato e dimenticato nei cassetti dell’ONU. Ora, con gli Stati Uniti sempre più orientati verso una soluzione diplomatica, l’Italia potrebbe riproporre un’iniziativa di mediazione, sfruttando la sua tradizionale vocazione al dialogo tra le potenze.

Parallelamente, è necessario che il governo italiano si interroghi su quale debba essere la posizione del Paese nel nuovo ordine mondiale. L’Europa non tornerà mai più a essere il centro della geopolitica globale e gli equilibri militari saranno decisi altrove. Gli italiani devono quindi capire quali siano i loro interessi strategici e come perseguirli senza più poter contare sulla protezione automatica degli Stati Uniti.

Verso un nuovo equilibrio paneuropeo

Alla luce di queste trasformazioni, la priorità per l’Europa deve essere la costruzione di un nuovo equilibrio paneuropeo, basato su un compromesso strategico tra Stati Uniti, Russia e Cina.

L’attuale crisi geopolitica non segna solo il fallimento della NATO e dell’Unione Europea come attori unificati, ma impone agli stati europei una scelta cruciale: rimanere spettatori passivi delle decisioni prese altrove o cercare di costruire una propria autonomia strategica. La sfida è enorme, ma non procrastinabile. L’Europa non è più quella di un tempo e il mondo sta cambiando a un ritmo incalzante. Ora è il momento di decidere se voler restare al margine della storia o provare a riscriverla.

L’Europa di fronte alla sfida ucraina: una pace giusta o una guerra necessaria?

Il recente vertice di Londra ha segnato una svolta cruciale per il futuro dell’Europa e per la sua posizione nel conflitto ucraino. Un summit che ha visto la partecipazione di sedici leader europei ed extraeuropei, tra cui il primo ministro britannico Keir Starmer, il presidente francese Emmanuel Macron, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e la premier italiana Giorgia Meloni.

Dal confronto è emerso un messaggio chiaro: l’Europa è disposta ad assumersi una parte significativa degli oneri legati alla difesa e alla ricostruzione dell’Ucraina, ma resta il nodo dell’appoggio degli Stati Uniti.

Questa iniziativa, promossa in particolare da Regno Unito e Francia, si basa su quattro obiettivi fondamentali. Il primo riguarda il rafforzamento della posizione dell’Ucraina, che passa attraverso il rilancio degli aiuti militari e il mantenimento della pressione economica su Mosca. Il secondo obiettivo consiste nel raggiungimento di un cessate il fuoco che possa rappresentare il primo passo verso una pace che sia allo stesso tempo giusta e duratura. Il terzo punto si concentra sulla necessità di tutelare la sovranità dell’Ucraina, garantendo che il Paese mantenga il controllo del proprio territorio senza dover cedere parti di esso come condizione per la fine della guerra. Infine, il quarto aspetto riguarda la creazione di un sistema di garanzie di sicurezza che possa fornire a Kiev un deterrente credibile nei confronti di future aggressioni da parte della Russia.

Questa proposta ha un duplice obiettivo. Da un lato, si punta a rafforzare il ruolo politico e militare dell’Europa nel conflitto, dimostrando agli Stati Uniti che il Vecchio Continente è capace di assumere una leadership autonoma. Dall’altro, si cerca di convincere l’amministrazione americana a non abbandonare del tutto il sostegno all’Ucraina, dimostrando che l’Europa è pronta a farsi carico di una parte maggiore delle spese militari e della gestione della crisi.Tuttavia, l’idea di una “coalizione di volenterosi”, termine utilizzato per descrivere questa alleanza pro-Ucraina, solleva non poche perplessità.

L’espressione evoca infatti ricordi scomodi, in particolare l’intervento in Iraq del 2003, quando gli Stati Uniti e il Regno Unito, sotto le amministrazioni di George W. Bush e Tony Blair, decisero di agire senza un consenso unanime della comunità internazionale. Questa associazione storica fa temere che anche questa nuova iniziativa possa rischiare di spaccare l’Europa invece di rafforzarla.

Keir Starmer, consapevole di queste critiche, ha cercato di rassicurare gli alleati spiegando che il piano non intende escludere gli Stati Uniti, bensì lavorare con loro. Nonostante ciò, alcune perplessità restano, soprattutto da parte della premier italiana Giorgia Meloni, che ha espresso dubbi sulla possibilità di un coinvolgimento diretto di peacekeeper europei in Ucraina. La sua preoccupazione è che questa scelta possa essere interpretata da Mosca come una provocazione e quindi alimentare ulteriormente le tensioni, piuttosto che ridurle.

Nel frattempo, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha sottolineato la necessità di un riarmo europeo, affermando che il continente deve essere pronto a difendersi in autonomia. La guerra in Ucraina ha messo in luce le debolezze militari dell’Europa, che per troppo tempo ha delegato la propria sicurezza alla NATO e quindi agli Stati Uniti. Per rispondere a questa sfida, l’iniziativa anglo-francese prevede un graduale aumento della spesa per la difesa, con l’obiettivo di portarla a una media compresa tra il 3 e il 3,5% del PIL di ciascun Paese europeo.Regno Unito e Francia si sono già mosse in questa direzione con azioni concrete. Londra ha annunciato un prestito di 2,7 miliardi di euro destinato all’acquisto di armi per Kiev, finanziato attraverso i profitti degli asset russi congelati. A questo si aggiunge lo sblocco di un fondo pubblico da 30 miliardi di euro, inizialmente destinato a infrastrutture civili, che ora potrà essere utilizzato anche per scopi militari. Inoltre, il governo britannico ha promesso un ulteriore stanziamento di 2 miliardi di euro per rafforzare la difesa aerea ucraina, con l’invio di 5000 missili.

Un altro elemento chiave in questa partita è il ruolo degli Stati Uniti, Donald Trump, sempre più critico nei confronti dell’assistenza militare all’Ucraina, ha più volte lasciato intendere che Kiev dovrebbe negoziare direttamente con Mosca, anche a costo di fare concessioni territoriali. Il suo entourage ha continuato a esercitare pressioni su Zelensky affinché accetti un negoziato che coinvolga anche la Russia, una prospettiva che il governo ucraino considera inaccettabile. Alla luce di questa incertezza, l’Europa cerca di dimostrare che può prendersi una maggiore responsabilità nella gestione della crisi, anche per convincere Trump che un impegno americano, seppur ridimensionato, resta comunque essenziale.

Tuttavia, non è scontato che Trump accetti questo compromesso. Il rischio è che gli Stati Uniti riducano drasticamente il loro sostegno, lasciando l’Europa sola a fronteggiare la minaccia russa. Il vertice di Londra ha quindi portato alla luce una verità scomoda: l’Europa non può più permettersi di dipendere interamente dagli Stati Uniti per la propria sicurezza. La guerra in Ucraina ha accelerato il dibattito sull’autonomia strategica europea, ma al suo interno esistono profonde divisioni. Da un lato, Francia e Regno Unito spingono per una maggiore indipendenza nella gestione della sicurezza continentale, convinti che l’Europa debba dotarsi di una propria capacità di difesa.

Dall’altro, Paesi come l’Italia e la Polonia insistono sulla necessità di mantenere saldo il legame con Washington, temendo che un’Europa troppo autonoma possa indebolire la NATO. Questa spaccatura interna rappresenta una sfida cruciale per il futuro del continente. Se l’Europa vuole davvero giocare un ruolo decisivo nello scenario internazionale, dovrà dimostrare di essere capace di agire con unità e determinazione, sviluppando una politica estera e di difesa comune.

Al contrario, se continuerà a oscillare tra il desiderio di autonomia e la dipendenza dagli Stati Uniti, rischia di rimanere vulnerabile e incapace di rispondere alle minacce in modo efficace.Il summit di Londra ha segnato un passo importante nella ridefinizione del ruolo europeo nella guerra in Ucraina, ma resta da vedere se l’iniziativa anglo-francese potrà tradursi in azioni concrete o se resterà soltanto una dichiarazione d’intenti. Le prossime settimane saranno decisive per capire se l’Europa riuscirà a trasformare le promesse in realtà o se continuerà a muoversi in un limbo diplomatico, in attesa delle mosse di Washington. L’interrogativo centrale rimane aperto: l’Europa è davvero pronta a prendersi questa responsabilità o resterà ancora una volta a metà strada tra autonomia e dipendenza?

Il caso Paragon: intercettazioni, governo e libertà di stampa

Negli ultimi giorni, il dibattito politico italiano si è infiammato attorno al caso Paragon, un dossier che ha sollevato interrogativi inquietanti sulla libertà di stampa e sulla trasparenza delle istituzioni. La vicenda ha avuto origine dall’utilizzo del software spyware Graphite, prodotto dalla società Paragon Solutions, per intercettare giornalisti e attivisti italiani. Le dichiarazioni contrastanti del governo e delle forze di opposizione hanno contribuito ad alimentare il sospetto che dietro questa vicenda vi sia più di quanto sia stato finora ammesso.

La posizione del Governo

Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha negato categoricamente ogni coinvolgimento del suo dicastero nelle intercettazioni. Rispondendo alla Camera durante il question time a un’interrogazione del deputato Davide Faraone, ha affermato: “Le intercettazioni si fanno solo dietro autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Il nostro Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non ha mai stipulato nessun contratto con qualsivoglia società di qualsiasi tipo. Nessuna persona è stata mai intercettata da strutture finanziate dal Ministero della Giustizia nel 2024 e nessuno è stato intercettato dalla Polizia Penitenziaria”. Questa dichiarazione, seppur netta, non ha dissipato i dubbi, ma ha piuttosto acceso ulteriori polemiche.

L’opposizione, infatti, ha criticato la mancata trasparenza del governo, sottolineando come l’assenza di risposte chiare abbia contribuito a rafforzare i sospetti di un possibile insabbiamento. A mettere in discussione la versione ufficiale è stata anche la decisione del sottosegretario Alfredo Mantovano di classificare come segreto alcune informazioni richieste dal Parlamento, aumentando il sospetto che il governo stia cercando di nascondere qualcosa.

Le critiche dell’opposizione

Le accuse più dure sono arrivate dalla segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, che ha denunciato la mancanza di trasparenza dell’esecutivo. “Il governo Meloni sarà ricordato come il governo della fuga perenne, campioni del mondo di scaricabarile con le proprie responsabilità. Dopo l’inquietante liberazione di Almasri, in cui Giorgia Meloni si è data alla latitanza con il Parlamento, ora il governo tenta di squagliarsela anche sul caso Paragon. Sappiamo che giornalisti e attivisti italiani sono stati spiati con il spyware Graphite, utilizzato esclusivamente da organi dello Stato”, ha dichiarato Schlein, evidenziando la necessità di un’indagine approfondita.

Anche Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha espresso la sua preoccupazione, annunciando l’intenzione di chiedere accesso agli atti relativi alle spese per intercettazioni di tutte le procure della Repubblica. “Non ci fermiamo. Lo facciamo perché abbiamo combattuto quando hanno violato la nostra privacy con intercettazioni illegali e perquisizioni illegittime. E allora abbiamo promesso che saremmo andati fino in fondo. Scopriremo presto chi sta mentendo agli italiani”, ha scritto Renzi sui social, lasciando intendere che ci siano responsabilità ancora da accertare all’interno del governo.

L’intervento della Federazione della Stampa

Le preoccupazioni non sono rimaste confinate all’ambito politico. La Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) e l’Ordine Nazionale dei Giornalisti hanno annunciato la presentazione di una denuncia contro ignoti presso la Procura di Roma, con l’obiettivo di fare luce su chi abbia realmente autorizzato e condotto le intercettazioni con Graphite.

La segretaria generale della Fnsi, Alessandra Costante, ha sollevato un interrogativo cruciale: “C’è stato un solo giornalista spiato, Francesco Cancellato? Ne siamo sicuri? Noi temiamo di no, pensiamo che altri colleghi abbiano subito la stessa sorte e ci sono indizi in tal senso”. La decisione di Paragon di sospendere il contratto, nonostante il governo neghi ogni coinvolgimento, ha sollevato ulteriori sospetti sul possibile utilizzo su larga scala dello spyware.

A rincarare la dose è stato il presidente della Fnsi, Vittorio Di Trapani, che ha ribadito l’importanza di un’inchiesta giudiziaria: “Non è tollerabile che venga apposto il segreto di Stato su una circostanza di questo tipo ed è per questo che abbiamo deciso di rivolgerci alla magistratura, per sapere ciò che il governo non vuole dire nemmeno al Parlamento”. Secondo Di Trapani, la denuncia non è soltanto una battaglia per la tutela della privacy dei giornalisti, ma riguarda un principio fondamentale della democrazia: la libertà di stampa.

Le implicazioni per la libertà di stampa

L’intercettazione dei giornalisti attraverso spyware come Graphite rappresenta una grave minaccia per la libertà di stampa e il diritto all’informazione. Il Media Freedom Act, il regolamento europeo sui media, vieta l’uso di software-spia contro i cronisti, salvo in casi di eccezionale gravità. Tuttavia, Italia e Francia sono tra i Paesi che si sono opposti con maggiore determinazione all’introduzione di questo principio, sollevando interrogativi sul reale impegno del governo italiano nella tutela della libertà di stampa.

Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli, ha sottolineato che “l’intera vicenda presenta tanti lati oscuri, che non si riesce a chiarire. Non si sa chi e perché abbia spiato uno o più giornalisti, circostanza che confligge con la democrazia. Non può esserci segreto di Stato su un caso come questo”. Secondo Bartoli, la denuncia presentata alla Procura di Roma rappresenta un passo necessario per ottenere risposte che il governo non ha fornito.

Una questione ancora aperta

Il caso Paragon ha sollevato interrogativi profondi sulla trasparenza delle istituzioni italiane e sulla libertà di stampa. Mentre il governo continua a negare ogni coinvolgimento, l’opposizione e le associazioni giornalistiche chiedono chiarezza su chi abbia autorizzato e condotto le intercettazioni. La denuncia presentata alla magistratura potrebbe rappresentare un punto di svolta per comprendere la reale portata della vicenda.

Il rischio che la questione venga insabbiata è concreto, ma la determinazione di giornalisti e politici potrebbe costringere il governo a fare piena luce sul caso. La libertà di stampa è un principio fondamentale di ogni democrazia, e l’Italia non può permettersi di scendere a compromessi su un tema così cruciale. Nei prossimi mesi, il lavoro della magistratura sarà determinante per chiarire la verità su una vicenda che potrebbe avere ripercussioni ben più ampie di quanto inizialmente ipotizzato.

Papa Francesco ricoverato si prevede il pre-conclave

Negli ultimi giorni, la salute di Papa Francesco ha destato preoccupazione in tutto il mondo cattolico e oltre. Il Pontefice si trova attualmente ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma a causa di un’infezione polimicrobica delle vie respiratorie. Sebbene le sue condizioni siano complesse e abbiano richiesto una degenza ospedaliera prolungata, non sono state definite critiche. Tuttavia, questa situazione ha inevitabilmente acceso i riflettori su questioni legate alla successione papale e alla preparazione di un eventuale conclave.

La situazione clinica di Papa Francesco

Secondo i bollettini medici, il Santo Padre ha subito una modifica della terapia, con un aggiustamento degli antibiotici per contrastare l’infezione. La sua degenza è allungata molto rispetto le previsioni soprattutto per gli accertamenti medici e le cure necessarie. La Chiesa cattolica e i fedeli di tutto il mondo seguono con apprensione gli aggiornamenti sulla salute del Pontefice, consapevoli della sua fragilità fisica dovuta anche all’età avanzata e ai problemi di salute pregressi.

Il concetto di pre-conclave

Uno degli aspetti più discussi in questo contesto è stata la preparazione  del cosiddetto “pre-conclave”. Si tratta di una fase informale di preparazione che precede l’eventuale elezione di un nuovo Papa. Anche se non esiste un protocollo ufficiale che lo definisca, negli ultimi anni si è assistito a un consolidamento di questa pratica, con incontri tra cardinali e discussioni sulla direzione futura della Chiesa.

Le principali responsabilità del pre-conclave

  1. Preparazione per l’elezione del nuovo Papa: I cardinali si riuniscono in Congregazioni generali quotidiane per organizzare tutto ciò che è necessario per l’elezione del nuovo Pontefice.
  2. Gestione degli affari ordinari della Chiesa: Durante la Sede Vacante, il Sacro Collegio dei Cardinali si occupa del disbrigo degli affari ordinari e di quelli indilazionabili.
  3. Organizzazione delle esequie del Papa defunto: Una delle prime responsabilità è predisporre tutto il necessario per le esequie del Pontefice, che devono essere celebrate per nove giorni consecutivi.
  4. Nomina di commissioni speciali: Vengono nominate due commissioni di tre cardinali ciascuna per gestire aspetti logistici come la designazione del personale di servizio e l’allestimento del Conclave.
  5. Preparazione logistica: Si provvede alla distribuzione delle celle ai cardinali elettori e si stabilisce la data e l’ora dell’ingresso in Conclave.
  6. Giuramento e lettura delle norme: I cardinali prestano giuramento di osservare le prescrizioni della Costituzione Apostolica e di mantenere il segreto.
  7. Discussioni informali: Durante questo periodo, i cardinali hanno l’opportunità di conoscersi meglio e discutere informalmente sulle sfide future della Chiesa e sui possibili candidati.

Queste attività mirano a garantire una transizione ordinata e una preparazione adeguata per l’elezione del nuovo Papa, assicurando al contempo la continuità nella gestione degli affari della Chiesa durante il periodo di Sede Vacante.

Papa Francesco e il pre-conclave

Papa Francesco ha giocato un ruolo chiave nel favorire incontri tra cardinali durante i Concistori, proprio per promuovere la conoscenza reciproca e facilitare future elezioni. In diverse occasioni ha sottolineato l’importanza di una Chiesa sinodale in cui il dialogo tra le diverse componenti ecclesiali sia centrale.

Nel corso del suo pontificato, ha inoltre nominato un gran numero di cardinali, molti dei quali provenienti da regioni del mondo che in passato erano meno rappresentate nel Sacro Collegio. Questa scelta potrebbe influenzare significativamente il prossimo conclave, favorendo una visione più globale della Chiesa e una maggiore attenzione alle questioni sociali ed economiche.

Tuttavia, nonostante questi preparativi, il pre-conclave non implica necessariamente un’imminente successione papale. Si tratta piuttosto di una misura prudente, adottata per garantire che la Chiesa sia pronta a ogni scenario possibile.

Possibili scenari futuri

La salute di Papa Francesco è un elemento di forte attenzione per il Vaticano e per l’intera comunità cattolica. Sebbene il Pontefice abbia più volte ribadito la sua volontà di servire fino a quando le forze glielo permetteranno, ha anche lasciato intendere che, in caso di necessità, potrebbe seguire l’esempio di Benedetto XVI e dimettersi.

Se ciò dovesse accadere, il pre-conclave assumerebbe un ruolo ancora più cruciale. In un contesto in cui la successione non è dettata dalla morte del Papa, ma da una sua rinuncia, i cardinali avrebbero maggiore libertà di confrontarsi sulle priorità della Chiesa e sulle caratteristiche ideali del successore.

Tra i possibili candidati al papato emergono figure di spicco all’interno del Collegio Cardinalizio, alcuni dei quali sono stati particolarmente attivi negli ultimi anni. Tuttavia, fare previsioni precise è sempre difficile, poiché le dinamiche interne al Vaticano possono riservare sorprese e cambiamenti improvvisi.

Il ricovero di Papa Francesco ha sollevato interrogativi sulla sua salute e sulla stabilità del Vaticano nei prossimi anni. Sebbene il Pontefice sia ancora in grado di esercitare il suo ruolo, il dibattito sulla sua successione è inevitabile. Il pre-conclave, pur essendo un processo informale, rappresenta un passaggio fondamentale per garantire una transizione ordinata e ponderata.

L’evoluzione della situazione dipenderà da molti fattori, tra cui lo stato di salute del Papa e le decisioni che egli stesso prenderà nei prossimi mesi. Nel frattempo, la comunità cattolica resta in attesa, pregando per la sua guarigione e per il futuro della Chiesa. Qualunque sia l’esito, il ruolo di Papa Francesco nella preparazione della prossima generazione di leader ecclesiastici è già evidente e segnerà in modo significativo il corso della storia della Chiesa.

Ucraina: colloqui di pace, la via incerta attraverso la diplomazia

Il conflitto in Ucraina, che ha avuto inizio con l’offensiva della Russia quasi tre anni fa, continua a devastare il paese, alimentando una tensione geopolitica senza precedenti. Mentre il fronte militare si mantiene teso, con le forze russe impegnate a respingere gli attacchi ucraini e a lanciare controffensive, il mondo guarda con crescente attenzione agli sviluppi diplomatici. Un nuovo capitolo nella lunga saga della guerra sembra stia per essere scritto con l’annuncio di colloqui di pace che potrebbero svolgersi a breve, sotto l’egida di Stati Uniti e Russia. Tuttavia, questi colloqui, previsti per il 18 febbraio a Riad, in Arabia Saudita, sollevano una serie di interrogativi e preoccupazioni, non solo per il futuro immediato del conflitto, ma anche per le sue possibili conseguenze geopolitiche.

Il contesto militare e la risposta russa

Nel cuore di questo scenario diplomatico, la Russia ha recentemente reso noto di aver abbattuto ben 90 droni ucraini durante la notte, un numero che evidenzia l’intensificazione dei combattimenti e delle operazioni aeree. Tra gli obiettivi intercettati, decine di droni sono stati distrutti sopra il Mare d’Azov, una zona strategica per il controllo delle rotte marittime e delle risorse naturali. Ma non solo droni. Le forze russe hanno anche intercettato un missile da crociera antinave Neptune, un’ulteriore dimostrazione della continua minaccia militare proveniente dall’Ucraina, che non ha intenzione di fermare la sua offensiva. Questi sviluppi dimostrano che, mentre i colloqui di pace sembrano a portata di mano, sul campo la guerra continua a mietere vittime e a rafforzare la posizione dei rispettivi belligeranti.

L’intervento degli Stati Uniti e la figura di Donald Trump

La Russia, pur cercando di mantenere il controllo sulle proprie azioni militari, non può ignorare l’influenza degli Stati Uniti. L’intervento diplomatico di Washington, con l’amministrazione Trump in prima linea, gioca un ruolo cruciale. Secondo quanto riportato dal quotidiano russo Kommersant, le delegazioni russa e americana si incontreranno il 18 febbraio a Riad, dove, stando a fonti internazionali, la diplomazia statunitense intende avviare i preparativi per una serie di colloqui di pace che potrebbero culminare in un incontro trilaterale, includendo anche l’Ucraina.

Tuttavia, il coinvolgimento dell’Ucraina nei colloqui non è stato accettato con entusiasmo da Kiev. Fonti vicine al governo ucraino hanno riferito a Politico che la notizia dei colloqui in Arabia Saudita è stata una sorpresa, poiché le autorità ucraine non sono state informate in tempo e non sono state invitate ufficialmente a parteciparvi. Inoltre, l’ufficio del presidente Volodymyr Zelensky ha ribadito che non ci sarà alcun incontro con la parte russa finché non verrà definito un piano con gli Stati Uniti per porre fine alla guerra. In effetti, le divergenze tra Kiev e Mosca sembrano ancora insormontabili, e la partecipazione dell’Ucraina ai negoziati potrebbe essere solo una questione di tempo, sebbene i colloqui bilaterali tra gli Stati Uniti e la Russia siano il primo passo necessario.

La strategia americana: colloqui separati e successivo incontro trilaterale

Le fonti statunitensi, come riportato dalla NBC, hanno confermato che, per il momento, gli Stati Uniti preferiscono tenere colloqui separati con la Russia e con l’Ucraina, prima di procedere con un incontro trilaterale. L’intento di Washington è chiaro: “Stiamo lavorando con entrambe le parti in egual misura. Vogliamo fermare le uccisioni e procedere verso una pace duratura”, ha dichiarato uno degli alti funzionari americani. Questo approccio riflette la delicatezza della situazione, in cui ogni mossa diplomatica deve essere calibrata per non compromettere la possibilità di una pace negoziata.

Il segretario di Stato, Marco Rubio, insieme ad altri importanti esponenti dell’amministrazione Trump, come il consigliere per la Sicurezza Nazionale Michael Waltz e l’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff, sarà presente a Riad. Tuttavia, il mistero resta sul rappresentante della Russia: sebbene non ci siano conferme ufficiali, si ipotizza che possa essere il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov a guidare la delegazione russa. Altri nomi, come il consigliere presidenziale Yuri Ushakov e il direttore del Servizio di intelligence estero Serghei Naryshkin, sono stati indicati come possibili partecipanti.

Il ruolo dell’Arabia Saudita: mediazione in un contesto internazionale teso

L’Arabia Saudita gioca un ruolo interessante in questo scenario diplomatico. La scelta di Riad come sede dei colloqui di pace non è casuale. La capitale saudita si sta configurando come un attore chiave in una regione instabile, dove la sua neutralità potrebbe essere vista come un vantaggio per facilitare il dialogo tra due superpotenze mondiali, e per coinvolgere anche l’Ucraina, sebbene al momento non sia partecipe dei negoziati. La posizione dell’Arabia Saudita, in particolare dopo aver rafforzato le sue alleanze con Mosca e Washington negli ultimi anni, la rende un interlocutore privilegiato, anche se non privo di rischi.

Le reazioni internazionali e l’incognita della pace

Nonostante gli sviluppi diplomatici, la pace sembra ancora lontana. L’incertezza regna sovrana, non solo per l’atteggiamento degli Stati Uniti e della Russia, ma anche per la posizione dell’Ucraina, che rifiuta di partecipare ai colloqui senza condizioni chiare sul futuro del proprio territorio. Le richieste di Kiev sono chiare: un piano concreto per porre fine all’occupazione russa e per garantire la sicurezza dell’Ucraina. L’Unione Europea, la Cina e altri attori internazionali osservano con attenzione, cercando di capire se questi colloqui porteranno a un cessate il fuoco duraturo o se, invece, l’assenza di progressi concreti sfocerà in un ulteriore escalation del conflitto.

Salvini: nuova rottamazione delle Cartelle per 10 milioni di italiani

La Lega rilancia la questione fiscale proponendo una nuova rottamazione delle cartelle esattoriali. Il vicepremier Matteo Salvini, durante una conferenza stampa, ha illustrato i dettagli di un progetto che potrebbe riguardare circa 10 milioni di italiani, offrendo una soluzione concreta a chi si trova in difficoltà con tasse, imposte e contributi non pagati. La proposta di legge, già depositata alla Camera e al Senato, punta a una definizione agevolata dei debiti, in 120 rate, senza sanzioni e interessi.

Il concordato: uno strumento inefficace

La proposta arriva dopo una riflessione sugli strumenti fiscali precedenti, in particolare il concordato, sostenuto dal viceministro Maurizio Leo. Salvini ha evidenziato come il concordato abbia portato risultati limitati: “È stato utile ma non risolutivo”, ha affermato, sottolineando che l’adesione alla nuova rottamazione potrebbe raggiungere il 99%. Secondo Alberto Gusmeroli, presidente della Commissione Finanze della Camera, il concordato ha prodotto risultati scarsi nel 2024 e non ci si aspetta miglioramenti nel biennio 2026-2027. Di fronte a queste evidenze, la Lega ritiene necessario rivedere lo strumento.

Il presidente della Commissione Finanze del Senato, Massimo Garavaglia, ha spiegato che la proposta è stata depositata dal capogruppo Romeo e che sarà presto calendarizzata per la discussione in Commissione Finanze. L’obiettivo è portare avanti audizioni brevi ma intense per finalizzare il testo in tempi rapidi.

I dettagli della nuova rottamazione

La nuova proposta di rottamazione prevede condizioni agevolate per i contribuenti in difficoltà. I debiti fiscali fino al 31 dicembre 2023 potranno essere sanati attraverso un piano di pagamento articolato in 120 rate mensili, senza anticipo e senza l’aggiunta di sanzioni e interessi. L’adesione alla procedura dovrà avvenire entro il 30 aprile 2025, con la prima rata fissata per il 31 luglio dello stesso anno.

“Si parte dalla risoluzione di tutte le criticità emerse con le vecchie rottamazioni”, ha dichiarato Gusmeroli. La proposta mira a eliminare le problematiche che in passato hanno ostacolato molti contribuenti, come la difficoltà di versare anticipi o di rispettare scadenze stringenti. La nuova formula consentirà di pagare non solo il pregresso, ma anche le imposte correnti, evitando così il rischio di accumulare ulteriori debiti.

Il presidente della Commissione Attività produttive della Camera ha sottolineato l’importanza di non criminalizzare chi non riesce a pagare le tasse dichiarate: “Un momento di difficoltà capita a tutti. Con questa proposta, lo Stato non solo incassa il gettito arretrato, ma aiuta i contribuenti a regolarizzarsi e a generare nuove entrate per il futuro”.

L’obiettivo: stabilire un rapporto Ssano tra erario e contribuenti

Secondo Alberto Bagnai, la rottamazione si inserisce in un percorso di normalizzazione del quadro fiscale dopo la crisi generata dalla pandemia. L’obiettivo è creare un rapporto più equilibrato tra l’erario e i contribuenti, consentendo allo Stato di recuperare risorse e ai cittadini di alleggerire il peso fiscale. Questo approccio si allinea alle linee guida del programma di governo, come ricordato dal senatore Armando Siri.

Un aspetto rilevante evidenziato dal sottosegretario Claudio Durigon riguarda l’impatto della nuova misura sui pensionati che hanno optato per la cessione del quinto dello stipendio. Sempre più persone anziane si trovano a fronteggiare difficoltà fiscali, e la rottamazione potrebbe offrire loro una boccata d’ossigeno.

Flat Tax Incrementale: una possibile alternativa

Nel quadro delle strategie fiscali future, la Lega propone anche una riflessione sulla flat tax incrementale, già inserita nella delega fiscale. Questo strumento prevedrebbe una tassazione ridotta sugli incrementi di reddito annuali, favorendo chi riesce a migliorare gradualmente la propria situazione economica. La flat tax incrementale potrebbe affiancare o sostituire il concordato, ritenuto ormai inadeguato a rispondere alle esigenze dei contribuenti.

Le ricadute economiche

La proposta della Lega arriva in un momento in cui gli indicatori finanziari mostrano segnali di stabilità, ma non tutti ne beneficiano. “Gli indici di borsa possono aiutare qualcuno, ma non tutti”, ha affermato Salvini. Lo spread ai minimi contribuisce a migliorare le finanze dello Stato, ma non ha un impatto diretto sulla vita dei lavoratori precari o dei titolari di partita IVA. Per questi ultimi, una riduzione concreta del peso fiscale potrebbe rappresentare un passo avanti verso una maggiore sicurezza economica.

La rottamazione potrebbe dunque fungere da volano per una ripresa diffusa, favorendo sia i cittadini che le imprese. Creare condizioni fiscali più sostenibili, soprattutto per chi ha subito contraccolpi economici negli ultimi anni, è una delle priorità per il governo.

Critiche e aspettative

Come ogni proposta fiscale di ampia portata, anche la nuova rottamazione non è esente da critiche. Alcuni osservatori temono che l’eliminazione di sanzioni e interessi possa disincentivare il pagamento tempestivo delle imposte. Tuttavia, i promotori della misura sottolineano che il successo delle precedenti rottamazioni dimostra l’efficacia di approcci più flessibili nella gestione dei debiti fiscali.

“Non può essere una colpa trovarsi in difficoltà economica”, ha ribadito Gusmeroli. La proposta, secondo i sostenitori, rappresenta un compromesso tra il bisogno di riscuotere le entrate fiscali e l’esigenza di non gravare eccessivamente sui contribuenti in difficoltà. Salvini ha espresso ottimismo riguardo al sostegno dell’intera maggioranza, auspicando tempi rapidi per l’approvazione.

Il dibattito parlamentare nei prossimi mesi sarà cruciale per definire i dettagli della legge e valutarne l’impatto sulla sostenibilità economica del Paese. Nel frattempo, la Lega continua a lavorare affinché la proposta diventi una realtà concreta, in grado di generare benefici sia per lo Stato che per i contribuenti.