02 Luglio 2025
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Intelligenza artificiale. Quanta energia utilizza?

L’intelligenza artificiale (IA) è passata da essere un sogno di fantascienza a una realtà diffusa e influente. Oggi, l’IA è il motore di numerosi strumenti online, come i motori di ricerca e gli assistenti vocali, e trova applicazione in vari settori, dall’analisi di immagini mediche allo sviluppo di veicoli autonomi. Tuttavia, questa rapida evoluzione dell’IA si sta scontrando con una questione critica: il suo elevato consumo energetico.

Attualmente, l’IA è sotto la lente di ingrandimento, simile a quanto accaduto con le criptovalute, per il suo considerevole bisogno di elettricità. Questa situazione ha generato due fazioni: da un lato ci sono gli entusiasti dell’IA, che lodano i progressi ottenuti grazie all’aumento della potenza di calcolo; dall’altro, i critici vedono il consumo energetico dell’IA come uno spreco e una potenziale minaccia. Queste critiche ricordano quelle rivolte al mining di criptovalute negli ultimi anni. È probabile che si assista a ulteriori tentativi di limitare lo sviluppo dell’IA attraverso restrizioni sulla sua fornitura energetica.

I critici dell’IA presentano alcuni argomenti convincenti. Per esempio, lo sviluppo di un’intelligenza artificiale sempre più avanzata richiede enormi risorse di calcolo. Ad esempio, il calcolo necessario per addestrare ChatGPT-3 di OpenAI era equivalente a quello di 800 petaflop, paragonabile alla potenza combinata dei 20 supercomputer più potenti al mondo. Inoltre, ChatGPT gestisce centinaia di milioni di richieste ogni giorno. Si stima che l’energia necessaria per gestire tutte queste richieste sia di circa 1 GWh al giorno, che corrisponde al consumo energetico giornaliero di circa 33.000 famiglie americane. È previsto che questa richiesta di energia aumenti ulteriormente in futuro.

Le preoccupazioni sul consumo energetico nell’ambito tecnologico non sono una novità. Sin dai primi giorni di Internet, l’incremento dei server, dei data center e dei dispositivi connessi ha portato a un aumento della domanda di elettricità. Gli ambientalisti hanno da tempo evidenziato gli impatti ambientali derivanti dal funzionamento continuo di queste infrastrutture ad alta intensità energetica, necessarie per garantire la disponibilità dei servizi online 24 ore su 24, 7 giorni su 7. In questo contesto, il consumo energetico dell’intelligenza artificiale può apparire eccessivo se visto senza il giusto contesto, proprio come accaduto in passato con le criptovalute e l’ascesa di Internet.

I critici tendono a vedere la rapida espansione dell’informatica basata sull’intelligenza artificiale come superflua e pericolosa. Tuttavia, se l’IA aumenta la produttività dei lavoratori – ad esempio, aiutando i programmatori a scrivere codici più velocemente, i ricercatori a trovare e leggere articoli più rapidamente, e gli impiegati a svolgere compiti ripetitivi o a redigere documenti – allora l’IA potrebbe anche portare a significativi risparmi energetici. Questi risparmi non includono gli altri benefici diretti dell’IA.

La potenza di calcolo aggiuntiva non è l’unico fattore, ma migliora le capacità dell’IA in aree come l’elaborazione del linguaggio naturale e la visione artificiale. Anche se l’uso del calcolo per risolvere problemi non assicura automaticamente il progresso, tende a produrre miglioramenti significativi. In questo senso, l’informatica è il carburante che alimenta l’innovazione nell’ambito dell’intelligenza artificiale.

Purtroppo, come accade nel caso del mining di criptovalute, le sfumature spesso si perdono nei dibattiti pubblici, che possono diventare rapidamente emotivi. Con le crescenti preoccupazioni sul cambiamento climatico, è probabile che l’idea di imporre restrizioni sull’uso dell’elettricità guadagni popolarità come strumento per gli attivisti che si oppongono a determinate industrie. Questo approccio ricorda l'”Operazione Choke Point”, mirata a limitare il consumo energetico.

Abbiamo già assistito a funzionari che prendono di mira settori considerati problematici, esercitando pressioni sulle banche e sui sistemi di pagamento che forniscono loro servizi finanziari. Industrie come i venditori di armi da fuoco, i prestatori su stipendio e le compagnie di combustibili fossili sono diventate bersagli. Queste pressioni provengono da politici e attivisti che cercano di modificare il comportamento di queste industrie, isolandole dalle principali istituzioni finanziarie, anche in assenza di prove di illegalità.

Ora, con il dibattito sull’opportunità di limitare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, sembra inevitabile che campagne di pressione simili emergano in questo settore. Come le banche sono state spinte a limitare le loro controparti per ragioni politiche, le compagnie elettriche potrebbero presto affrontare pressioni simili riguardo ai loro clienti che consumano più energia.

Sebbene le preoccupazioni degli attivisti non siano completamente infondate – esistono rischi reali associati all’IA che devono essere considerati e gestiti – l’imposizione di restrizioni generali sull’uso dell’elettricità non è l’approccio giusto. Basare i diritti di utilizzo dell’energia su considerazioni politiche è pericoloso. Fortunatamente, fino ad ora, l’accesso all’elettricità negli Stati Uniti è rimasto un diritto incontestato.

Invece di scegliere vincitori e vinti, i politici dovrebbero concentrarsi sul fornire elettricità affidabile e accessibile a tutti i clienti che rispettano la legge e pagano le bollette. Settori come le criptovalute e l’IA miglioreranno naturalmente la loro efficienza energetica nel tempo, poiché questa è già una priorità per loro. Dovrebbero avere lo spazio necessario per svilupparsi.

Non dovremmo cedere ai tentativi di limitare l’approvvigionamento energetico delle tecnologie emergenti solo perché alcune industrie sono diventate oggetto di dibattiti politici. Con politiche sagge e favorevoli all’innovazione, è possibile soddisfare le nostre esigenze energetiche e raggiungere gli obiettivi ambientali contemporaneamente.

Estrema sinistra ed estrema destra unite nell’antisemitismo

L’estrema sinistra e l’estrema destra unite nell’odio contro gli ebrei. Per molti questo potrebbe sembrare assurdo, ma in realtà non è così e le ragioni sono radicate in un passato non troppo lontano.

Nel panorama politico del nostro continente, un particolare segmento dell’estrema sinistra ha manifestato sentimenti negativi nei confronti degli ebrei e di Israele, oscillando tra irritazione e aperto disprezzo. L’antisemitismo nella estrema sinistra nel tempo è un fenomeno complesso e controverso, che ha assunto diverse forme e motivazioni a seconda dei contesti storici e politici. In generale, possiamo riassumere che l’antisemitismo di sinistra sia stato influenzato da tre fattori principali: l’antigiudaismo economico, la critica al sionismo e la solidarietà con la causa palestinese.

Conferme di questa analisi abbondano in Francia, dove si assiste al ritorno di un antisemitismo evidentemente mai sopito. E’ fin dal 1950 che nell’ultrasinistra esiste un antisionismo e antisemitismo, caratterizzato da un mix di revisionismo storico, che si sforza subdolamente di minimizzare la Shoah, e di aperto negazionismo propagandato nel dopoguerra da Paul Rassinier, un ex deportato, che dipingeva gli ebrei come veri e propri “manipolatori della memoria collettiva”. Queste correnti di pensiero trovano fondamento in un’interpretazione distorta del marxismo, dove viene completamente dimenticata la condanna all’antisemitismo e si considera la democrazia e l’antifascismo forme di manipolazione borghese.

Questo atteggiamento che si è via via intensificato, ed è sfociato sempre in un antisemitismo marcato e violento.

L’odio contro l’ebreo si ritrova ovviamente nell’estrema destra, tradizionalmente associata a posizioni antisemite, che ultimamente rinvigorisce le proprie posizioni contro gli ebrei, trovando, secondo le frange più attive, nuova legittimazione nell’ultimo conflitto Israele-Palestina, tendenza che ha portato a un aumento degli episodi di intolleranza in tutto il mondo, come dimostrato dall’attacco alla sezione ebraica del cimitero di Vienna, dove sono comparse svastiche sui muri, e dai tentativi di vandalismo contro le pietre d’inciampo a Roma.

L’escalation dell’ostilità verso gli ebrei è un fenomeno che vede la convergenza di storici nemici politici. La coesione e l’identità del popolo ebraico, radicate nella religione e nella storia, intensificano l’animosità dei loro oppositori. Sebbene la condotta di Israele nei confronti dei palestinesi durante i conflitti armati sia oggetto di legittima critica, questa non giustifica l’odio antisemita.

La complessità delle radici dell’antisemitismo esula dallo scopo di questo articolo, ma è significativo osservare come tale odio si sia trasformato in un collante per elementi politici e sociali idealmente agli antipodi. L’avversione verso gli ebrei sembra dare nuova forza e nuovi stimoli alle frange più violente per sfogare la loro rabbia verso un nemico che incarna un obiettivo più circoscritto, più facile da gestire e da condannare.

L’estremismo attivo, negli ultimi anni, si è spento anche a causa della facilità di comunicazione in rete, dove tutti possono buttare benzina sul fuoco senza particolare fatica. Un nuovo rigurgito antisemita sembra essere ora uno spunto per riportare nelle piazze elementi dormienti di un odio irrazionale e indiscriminato.

Se ce ne fosse bisogno abbiamo la conferma che l’estremismo in ogni sua forma, è nocivo e privo di una reale distinzione tra “buono” e “cattivo”, sembrerebbe ovvio, ma ora abbiamo una nuova conferma.

Perché l’economia tedesca è in difficoltà

Il personale ferroviario, i camionisti e gli agricoltori minacciano uno sciopero in tutta la Germania da lunedì, in proteste a livello nazionale per rivendicazioni che vanno dalle retribuzioni e condizioni ai tagli ai sussidi agricoli e all’aumento dei pedaggi stradali.

Questi scioperi sono un segno della profonda crisi che sta attraversando la Germania, un tempo potenza economica d’Europa. Il paese è alle prese con un potente mix di problemi strutturali più profondi e a breve termine che, insieme a un governo diviso e apparentemente inefficace, hanno spinto gli economisti a parlare di “uomo malato d’Europa”.

Perché l’economia tedesca soffre?

Le radicali riforme del lavoro alla fine degli anni ’90, seguite dall’aumento della domanda in Cina e nei mercati in via di sviluppo, hanno contribuito a creare milioni di posti di lavoro e a stimolare una forte crescita economica in Germania per più di due decenni.

Ora, però, il famoso modello economico del Paese sembra vacillare. Il FMI prevede che la Germania sarà l’unica economia del G7 ad essersi ridotta nel 2023.

In parte, i problemi sono circostanziali e quindi, si spera, temporanei: un’economia cinese più debole, per esempio, e l’impatto della guerra della Russia contro l’Ucraina. La domanda per i beni prodotti principalmente dal settore delle esportazioni tedesco – macchinari, automobili, strumenti, prodotti chimici – fluttua a seconda dello stato dell’economia nel suo complesso.

Ma l’attuale recessione ha anche messo in luce problemi a lungo termine che incidono sull’efficienza economica del Paese. Gli economisti sottolineano il rapido invecchiamento della popolazione del paese, la mancanza di grandi investimenti recenti nelle infrastrutture e le elevate aliquote fiscali sulle società.

La burocrazia tedesca è un ostacolo

Affrontare rapidi cambiamenti economici, sociali e geopolitici richiede generalmente apertura, adattabilità e un rapido processo decisionale da parte delle istituzioni statali. Queste caratteristiche, però, non sono le tipiche della burocrazia tedesca.

La digitalizzazione è in ritardo rispetto a gran parte del resto d’Europa. La Germania fa ancora molto affidamento sul contante, che lo scorso anno ha rappresentato circa il 40% dei pagamenti nei punti vendita contro l’8% in Svezia. La connettività a banda larga veloce sta migliorando, ma è ancora frammentaria.

I permessi di costruzione, le licenze di esercizio e le registrazioni delle società richiedono tutti tempi di elaborazione molto più lunghi rispetto alla media dell’UE. Tutto ciò ha un impatto strutturale sulla produttività, così come un’amministrazione spesso criticata come eccessivamente lenta, eccessivamente legalistica, inutilmente cauta e bisognosa di riforme di ampia portata.

Il governo è in difficoltà

A più della metà del suo mandato quadriennale, l’82% degli elettori tedeschi è poco o per nulla soddisfatto della performance della coalizione divisa e tormentata di Olaf Scholz, composta dal SPD di centrosinistra, dai Verdi e dal FDP neoliberista.

La coalizione ha ereditato molti degli attuali problemi del Paese e ha promesso importanti riforme per risolverli, ma il Covid, il sostegno all’Ucraina e la crisi energetica hanno messo a dura prova la sua promessa di modernizzarsi senza danneggiare i singoli settori.

Le sfide da affrontare

La Germania ha davanti a sé sfide enormi. Deve affrontare la recessione, modernizzare la sua economia e riformare la sua burocrazia. Se non riuscirà a farlo, rischia di perdere il suo ruolo di potenza economica d’Europa.

Chi sciopera e perché?

L’ufficio nazionale di revisione dei conti tedesco ha descritto la rete ferroviaria interamente di proprietà statale, la Deutsche Bahn, come in crisi permanente, con debiti per 30 miliardi di euro e livelli di puntualità ai livelli più bassi degli ultimi otto anni.

Secondo i sindacati, la colpa è di decenni di investimenti insufficienti. Il sindacato dei macchinisti (GDL) ha chiesto “scioperi illimitati” a partire dall’8 gennaio, causando potenzialmente gravi disagi, soprattutto a causa della sua richiesta di una settimana di 35 ore, anziché di 38 ore.

Nonostante la parziale inversione di marcia del governo giovedì, gli agricoltori stanno portando avanti la loro protesta contro i piani di riduzione dei sussidi per il diesel e delle agevolazioni fiscali per i veicoli agricoli come parte dei tagli di 900 milioni di euro previsti al sostegno del settore agricolo.

Gli agricoltori affermano che i tagli previsti metteranno a rischio i loro mezzi di sussistenza e la competitività dell’agricoltura tedesca, e hanno avvertito che dall’8 gennaio saranno “presenti ovunque come il Paese non ha mai sperimentato prima”.

Gli autotrasportatori sono in rivolta per l’aumento dei pedaggi, mentre alcuni medici – tra cui, dal 9 gennaio, gli specialisti – potrebbero decidere di chiudere gli ambulatori a sostegno delle richieste della professione medica per un maggiore sostegno statale per un sistema sovraccarico.

Nel corso dell’anno sono previste tornate di contrattazione collettiva nei settori della vendita al dettaglio, dell’edilizia, del trasporto aereo, dell’industria chimica, dei metalli e dell’elettricità. In un’economia vacillante e mentre la crisi del costo della vita continua, tutto potrebbe rivelarsi un ulteriore punto critico per azioni di sciopero.

Israele occupa illegalmente con i suoi coloni? Si o no?

Articolo di: Alessandro Trizio – Mirko Crosetto – Manuela Pallavicini

Siamo convinti che la cosa migliore sia dare informazione completa e scevra da interpretazioni personali. Lo studio che proponiamo mette a confronto due tesi, una contraria allo Stato di Israele e l’altra a favore. Ognuno definisce chi ha ragione secondo la propria convinzione, noi vogliamo proporvi semplicemente le due tesi, ben spiegate e senza modifiche da parte nostra. Sta ad ognuno poi decidere quale sia la realtà.

Opinione Contro

Israele è un Paese colonizzatore fuorilegge

I coloni sono cittadini israeliani che vivono su terreni privati palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est. La stragrande maggioranza degli insediamenti sono stati costruiti interamente o parzialmente su terreni privati palestinesi.

Più di 700.000 coloni – il 10% dei quasi 7 milioni di abitanti di Israele – vivono ora in 150 insediamenti e 128 avamposti che punteggiano la Cisgiordania occupata e Gerusalemme Est.

Un insediamento è autorizzato dal governo israeliano mentre un avamposto viene costruito senza l’autorizzazione del governo. Gli avamposti possono variare da una piccola baracca di poche persone a una comunità fino a 400 persone.

Alcuni coloni si trasferiscono nei territori occupati per motivi religiosi, mentre altri sono attratti dal costo della vita relativamente più basso e dagli incentivi finanziari offerti dal governo. Gli ebrei ultraortodossi costituiscono un terzo di tutti i coloni.

Secondo il Pew Research Center, numerosi ebrei israeliani che vivono in Cisgiordania affermano che la costruzione di insediamenti migliora la sicurezza del paese. La tesi è che gli insediamenti fungono da cuscinetto per la sicurezza nazionale di Israele poiché limitano la circolazione dei palestinesi e minano la vitalità di uno Stato palestinese. Tuttavia, alcuni nella sinistra israeliana sostengono che l’espansione degli insediamenti danneggia la soluzione dei due Stati e quindi le prospettive di pace di Israele.

Quando furono costruiti i primi insediamenti?

I primi insediamenti coloni israeliani iniziarono a formarsi subito dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, quando Israele occupò la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, le alture del Golan e la penisola del Sinai. I primi coloni erano per lo più ebrei religiosi che credevano che Dio avesse dato loro la terra di Israele. Si stabilirono in luoghi come Hebron, Nablus e Gerusalemme Est.

Il primo insediamento israeliano in Cisgiordania fu Ma’ale Adumim, fondato nel 1967 da un gruppo di ebrei religiosi. Nel 1968, il rabbino Moshe Levinger e un gruppo di seguaci si stabilirono a Hebron, in violazione della legge marziale israeliana. Questo evento segnò l’inizio di un’ondata di colonizzazione israeliana in Cisgiordania. Nel corso degli anni, il numero di insediamenti israeliani in Cisgiordania è cresciuto rapidamente.

vista dalla sala culturale Maale Adumim
Vista dalla sala culturale Maale Adumim

La comunità internazionale, inclusa l’ONU, considera gli insediamenti israeliani illegali ai sensi del diritto internazionale.

Kfar Etzion, uno degli insediamenti più antichi, ospita circa 1.000 persone mentre il più grande – Modi’in Illit – conta circa 82.000 coloni, la maggior parte dei quali ebrei ultraortodossi.

I vari governi israeliani hanno perseguito questa politica che ha portato ad un aumento della popolazione di coloni nei territori occupati.

Circa il 40% del territorio occupato della Cisgiordania è ora controllato dagli insediamenti. Questi insediamenti – insieme a una vasta rete di posti di blocco per i palestinesi – separano di fatto le parti palestinesi della Cisgiordania l’una dall’altra, rendendo quasi impossibile la prospettiva di un futuro stato contiguo.

Il primo arrivo di cittadini ebrei in Palestina risale agli inizi del XX secolo, quando iniziarono ad arrivare in Europa persone che dovevano affrontare discriminazioni, persecuzioni religiose e pogrom. A quei tempi la Palestina, che era ancora sotto il controllo coloniale britannico, era prevalentemente araba con una piccola minoranza ebraica.

Tel Aviv, la città più grande d’Israele, fu costruita come insediamento nel sobborgo della città araba di Giaffa nel 1909. L’idea di costruire un insediamento ebreo a Tel Aviv fu proposta da un gruppo di ebrei russi che avevano emigrato in Palestina alla fine del XIX secolo

Rifugiati palestinesi durante l’esodo del 1948.

La migrazione di massa degli ebrei in Palestina scatenò una rivolta araba. Ma nella violenza che ne seguì, le milizie sioniste ben armate effettuarono la pulizia etnica di 750.000 palestinesi nel 1948. I palestinesi chiamano la loro espulsione la Nakba, che in arabo significa catastrofe.

I coloni sono sostenuti dal governo?

Il governo israeliano ha apertamente finanziato e costruito insediamenti affinché gli ebrei potessero viverci.

Le autorità israeliane danno ai coloni in Cisgiordania circa 20 milioni di shekel (5 milioni di dollari) all’anno per monitorare, segnalare e limitare le costruzioni palestinesi nell’Area C, che costituisce oltre il 60% della Cisgiordania. Il denaro viene utilizzato, tra le altre cose, per assumere ispettori e acquistare droni, immagini aeree e veicoli.

Ultimamente le autorità israeliane hanno chiesto di raddoppiare tale importo nel bilancio statale, portandolo a 40 milioni di shekel (10 milioni di dollari).

Negli ultimi anni, l’esercito israeliano ha gestito una hotline chiamata War Room C, affinché i coloni possano chiamare e denunciare la costruzione palestinese nell’Area C.

Diverse leggi israeliane consentono ai coloni di impossessarsi della terra palestinese

Israele ha dichiarato che circa il 26% del territorio della Cisgiordania è “terreno statale”, sul quale possono essere costruiti insediamenti.

Israele ha utilizzato mezzi legali per espropriare proprietà palestinesi per esigenze pubbliche come strade, insediamenti e parchi.

Dopo la firma degli accordi di Oslo del 1993 con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), il governo israeliano ha ufficialmente smesso di costruire nuovi insediamenti, ma quelli esistenti hanno continuato a crescere.

La popolazione degli insediamenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est è cresciuta da circa 250.000 abitanti nel 1993 a quasi 700.000 nel settembre del 2023.

Il primo ministro Netanyahu ha sostenuto l’espansione degli insediamenti da quando è salito al potere nel 1996.

Ci sono anche organizzazioni “non governative” israeliane che lavorano per sfrattare i palestinesi dalle loro terre sfruttando le scappatoie nelle leggi fondiarie.

Le autorità israeliane inoltre sequestrano e demoliscono regolarmente proprietà palestinesi con la scusa della mancanza di permessi di costruzione e documenti fondiari rilasciati da Israele.

Ma diversi gruppi internazionali per i diritti umani sostengono che in realtà ottenere un permesso di costruzione israeliano è quasi impossibile.

Gli insediamenti israeliani sono legali secondo il diritto internazionale?

No. Tutti gli insediamenti e gli avamposti sono considerati illegali secondo le leggi internazionali in quanto violano la Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta a una potenza occupante di trasferire la propria popolazione nell’area che occupa.

Gli insediamenti sono enclavi della sovranità israeliana che hanno frammentato la Cisgiordania occupata, e qualsiasi futuro stato palestinese assomiglierebbe a una serie di minuscoli ex Bantustan sudafricani, o township per soli neri, non collegati tra loro.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite

Le Nazioni Unite con 10 Risoluzioni li hanno condannati. Nel 2016, una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affermava che gli accordi “non avevano validità legale”.

Ma gli Stati Uniti, il più stretto alleato di Israele, hanno fornito copertura diplomatica nel corso degli anni. Washington ha costantemente usato il suo potere di veto alle Nazioni Unite per proteggere Israele dalla censura diplomatica.

Più di 9.000 coloni si ritirarono da Gaza nel 2005, quando Israele smantellò gli insediamenti come parte di un piano di “disimpegno” dell’ex primo ministro Ariel Sharon.

Come fa Israele a mantenere il controllo della Cisgiordania?

Israele ha costruito un muro o barriera di separazione che si estende per più di 700 km attraverso la Cisgiordania, limitando il movimento di oltre 3 milioni di palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est. Ma Israele dice che il muro serve per motivi di sicurezza.

Gli agricoltori palestinesi devono richiedere i permessi per accedere alla propria terra. Questi permessi devono essere rinnovati più volte e possono anche essere negati o revocati senza spiegazione.

Ad esempio, circa 270 dei 291 ettari totali che appartengono al villaggio palestinese di Wadi Fukin vicino a Betlemme sono designati come Area C, che è sotto il controllo israeliano. Circa il 60% della Cisgiordania occupata rientra nell’Area C.

Oltre al muro di separazione, in tutta la Cisgiordania sono stati posizionati oltre 700 ostacoli stradali, inclusi 140 posti di blocco. Circa 70.000 palestinesi con permesso di lavoro israeliano attraversano questi posti di blocco nei loro spostamenti quotidiani. I palestinesi non possono spostarsi liberamente tra la Cisgiordania occupata, Gerusalemme Est e Gaza, e per farlo hanno bisogno di permessi. Gruppi per i diritti umani come Human Rights Watch e B’Tselem sono giunti alla conclusione che le politiche e le leggi israeliane utilizzate per dominare il popolo palestinese possono essere descritte come “apartheid”.

Opinione Pro

Perché Israele non è uno stato coloniale

Mentre Israele continua a difendersi dal gruppo terroristico Hamas, in tutto il mondo si sta svolgendo una guerra di informazione. Uno degli slogan più comunemente usati sostiene che Israele è una “impresa coloniale di coloni”. Accusando Israele di colonizzare in territori palestinesi, Hamas e i suoi sostenitori stanno manipolando la causa della giustizia razziale per portare avanti i propri obiettivi terroristici – il tutto sperando che nessuno si accorga che Israele è stata la patria del popolo ebraico fin dall’età del bronzo.

La verità è che il popolo ebraico è originario della terra di Israele e lì ottenne per la prima volta l’autodeterminazione 3.000 anni fa.

Gerusalemme e il Tempio

I romani espulsero la maggior parte degli ebrei nel 70 d.C., ma il popolo ebraico è sempre stato presente nella terra d’Israele. Una parte della popolazione ebraica rimase in Israele nel corso degli anni, e coloro che vissero nella diaspora desideravano ardentemente tornare nella patria ebraica e nella città santa ebraica di Gerusalemme, entrambe menzionate più volte nelle preghiere ebraiche quotidiane.

Questo legame storico e religioso del popolo ebraico con la terra di Israele è indiscutibile: anche la parola “ebreo” deriva dalla Giudea, l’antico nome di Israele.

Mentre gli ebrei di tutto il mondo affrontavano crescenti persecuzioni tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, iniziarono a trasferirsi in numero maggiore in quello che oggi è lo Stato di Israele. Dalla fondazione di Israele, poco dopo l’Olocausto, gli ebrei si sono trasferiti nella zona da tutto il mondo, alla ricerca di un luogo da chiamare casa in cui poter vivere liberamente e in sicurezza come ebrei.

Allo stesso tempo, i leader ebrei e israeliani hanno costantemente riconosciuto la presenza degli arabi palestinesi e hanno sostenuto gli sforzi volti a spartire il territorio tra uno stato ebraico e uno arabo, dal 1937 a oggi. Il tentativo più noto di dividere la terra arrivò sotto forma del Piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947, che fu accettato dalla popolazione ebraica locale ma rifiutato dai vicini arabi, che intrapresero una guerra per eliminare lo Stato ebraico.

Più recentemente, i successivi primi ministri israeliani si sono offerti di concedere più del 90% della Cisgiordania e di tutta Gaza per creare uno stato palestinese accanto a Israele. I leader palestinesi, tuttavia, hanno costantemente rifiutato gli sforzi volti a realizzare una soluzione a due Stati, come fecero nel 1947, e continuano a farlo fino ad oggi.

Il “colonialismo dei coloni” si riferisce al tentativo da parte di una potenza imperiale di sostituire la popolazione nativa di una terra con una nuova società di coloni. Non può descrivere una realtà in cui un gruppo nazionale, agendo per proprio conto e non per ordine di una potenza esterna, è tornato nella sua patria storica per raggiungere l’autodeterminazione e allo stesso tempo sostenere la creazione di uno stato nazionale per un altro gruppo nazionale accanto a lui. La creazione del proprio Stato.

Si estende per quasi quattromila anni. La prova per questo collegamento è la Bibbia ebraica. Il Libro della Genesi, il primo dei cinque libri della Bibbia, racconta la storia di Abramo, il rapporto di alleanza con l’unico Dio e il passaggio da Ur (nell’attuale Iraq) a Canaan, la regione corrispondente all’incirca a Israele.

La Bibbia Ebraica

Il Libro dei Numeri, il quarto libro della Bibbia, contiene le seguenti parole: “Il Signore parlò a Mosè, dicendo: manda degli uomini ad esplorare il paese di Canaan, che io do al popolo d’Israele”. Ciò avvenne durante un viaggio lungo quarant’anni degli Israeliti alla ricerca non semplicemente di un rifugio, ma della Terra Promessa – la terra che oggi conosciamo come Israele.

E questi sono solo due dei tanti riferimenti a questa terra e alla sua centralità nella storia ebraica e nell’identità nazionale. Prove continue si possono trovare in qualsiasi libro di preghiere ebraico in uso nell’arco di secoli in qualsiasi parte del mondo. I riferimenti nella liturgia a Sion (nome sinonimo di Gerusalemme) e alla terra d’Israele sono infiniti.

È scritto nel libro di Isaia: “Per amore di Sion non starò in silenzio; per amore di Gerusalemme, non starò fermo…”. Oltre ad esprimere questo desiderio attraverso la preghiera, ci sono sempre stati ebrei che hanno vissuto in terra d’Israele, e soprattutto a Gerusalemme, anche se spesso ci sono state minacce alla loro incolumità fisica.

Infatti, a partire dal XIX secolo, gli ebrei costituiscono la maggioranza della popolazione della città. Ad esempio nel 1892 gli ebrei rappresentavano il 61,9% della popolazione di Gerusalemme. Il legame storico e religioso con Gerusalemme (e Israele) è particolarmente importante perché alcuni arabi cercano di riscrivere la storia e affermano che gli ebrei sono “occupanti stranieri” o “colonialisti” senza alcun legame effettivo con la terra.

Tali tentativi di negare la legittimità di Israele sono palesemente falsi e devono essere smascherati per le bugie che sono. Inoltre ignorano completamente il fatto “scomodo” che quando Gerusalemme era sotto il dominio musulmano, cioè ottomano e, più tardi, giordano, era sempre una zona arretrata.

Non è mai stato un centro politico, religioso o economico. Ad esempio, quando Gerusalemme fu in mano giordana dal 1948 al 1967, praticamente nessun leader arabo la visitò, e nessuno della casa regnante dei Saud in Arabia Saudita venne a pregare nella moschea di Al-Aksa a Gerusalemme est.

Israele sta effettuando la pulizia etnica dei palestinesi? La risposta è no

La verità è che la definizione di pulizia etnica è l’espulsione, l’imprigionamento o l’uccisione di una minoranza etnica da parte di una maggioranza dominante al fine di raggiungere l’omogeneità etnica. Israele è una società vivace e diversificata, con considerevoli comunità minoritarie non ebraiche che costituiscono quasi un quarto della popolazione totale del paese.

Convivenza tra arabi ed ebrei

Durante la Guerra d’Indipendenza di Israele (1948-49), alcuni palestinesi lasciarono volontariamente le loro case mentre altri furono allontanati con la forza dalle forze ebraiche o per volere degli eserciti arabi che prevedevano di sconfiggere e sfollare rapidamente gli ebrei. Sebbene gli abusi durante la lotta per l’indipendenza siano stati documentati, non c’è mai stata una politica israeliana o una direttiva ad alto livello per scacciare la popolazione palestinese. In effetti, le centinaia di migliaia di palestinesi rimasti in Israele divennero cittadini del nuovo Stato.

Recentemente, molti indicano gli sgomberi proposti nei quartieri di Gerusalemme Est come Sheikh Jarrah come prova del fatto che Israele sta effettuando la pulizia etnica dei palestinesi. Queste complesse controversie sulla terra si sono fatte strada per anni nei sistemi giudiziari israeliani e non sono azioni spontanee del governo.

Israele, come tutti i paesi, ha commesso la sua parte di errori, tuttavia, la narrazione secondo cui Israele stia effettuando la pulizia etnica della popolazione palestinese è completamente falsa. In effetti, la popolazione araba sia in Cisgiordania che in Israele è aumentata ogni anno dalla fondazione dello Stato, e cresce a un tasso costante dell’1% ogni anno.

Conclusioni della Redazione

Come avete potuto leggere le due spiegazioni sono molto simili e contrapposte. Gli argomenti sono gli stessi ma ovviamente ogni parte la vede in modo diametralmente opposto.

Possiamo estrapolare sicuramente una quasi certa illegittimità degli insediamenti coloniali, più che altro sul metodo più che sulla possibilità che cittadini israeliani vivano in zone non strettamente legate allo Stato di Israele, altrimenti saremmo al problema opposto.

Certamente una “occupazione” territoriale esiste ed è palese, anche se esiste un continuo attacco da parte delle frange estremiste palestinesi verso i cittadini israeliani.

I partiti politici, sia da parte israeliana che palestinese utilizzano per loro scopi di potere le reazioni d’impulso di tutti. Installare violenza invece che pace e concordia fa in modo che i gruppi di potere più forti possano sussistere e continuare a governare liberamente.

La situazione è davvero complessa, ma certamente rimarrà così fino a che i popoli non si parleranno senza intermediari. Solo allora, forse, la pace avrà una possibilità.

Argentina. Milei lancia la tassa con il nome di un oppositore politico

Javier Milei, il neopresidente dell’Argentina, ha proposto l’emissione di un bond perpetuo per saldare un debito di 16 miliardi di dollari derivante dalla nazionalizzazione della Yacimientos Petrolíferos Fiscales (YPF), la compagnia energetica nazionale.

Questa somma è dovuta a seguito di una causa persa a New York per errori legali commessi nell’operazione su YPF. L’Argentina deve iniziare a pagare entro il 10 gennaio, con 6,2 miliardi di dollari destinati a Burford Capital, il fondo che ha gestito le richieste di risarcimento dal 2015. Nonostante la richiesta di un rinvio di 30 giorni, Buenos Aires ha un margine di soli due settimane per rispettare la scadenza, una situazione che Milei ammette di non poter onorare.

I bond perpetui, noti anche come consols bond o perp, sono obbligazioni senza scadenza che teoricamente offrono cedole fisse per un periodo infinito. Il vantaggio principale è un flusso costante di pagamenti, mentre lo svantaggio è l’impossibilità di estinguere completamente il titolo. Questi bond presentano rischi come la fluttuazione dei tassi di interesse e la difficoltà di rivendita.

Per finanziare l’emissione del bond, Milei ha proposto l’introduzione di una tassa denominata “Kicillof tax”, in riferimento ad Axel Kicillof, governatore di Buenos Aires e ministro dell’Economia durante l’acquisizione del 2013. L’obiettivo è ricordare agli argentini il costo dell’errore di Kicillof. Tuttavia, non ci sono ancora commenti ufficiali su come o se la proposta di Milei verrà attuata.

Oltre a questa scadenza, Milei deve affrontare altre urgenze finanziarie, tra cui il ripagamento dei creditori coinvolti nella ristrutturazione di un bond da 65 miliardi di dollari nel 2020 e la rinegoziazione di un accordo da 44 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale. Milei attribuisce il fallimento del vecchio accordo alla violazione degli obiettivi del Fondo e sta lavorando per riformare il programma.

Tra le altre misure annunciate da Milei ci sono la convocazione di un referendum in caso di blocco del Congresso alle sue misure di austerità e l’emissione di banconote da 20.000 e 50.000 pesos, equivalenti a circa 22 e 56 euro, rispettivamente. Questo rappresenta un significativo aumento rispetto al taglio attuale delle banconote, che è inadeguato per le transazioni in contanti in un periodo di super-inflazione.

Scoperta di Kaspersky: vulnerabilità nascosta negli iPhone

Il team di ricerca e analisi globale di Kaspersky, noto come GReAT, ha recentemente rivelato una scoperta sorprendente riguardante i dispositivi iPhone di Apple. Durante il 37° Chaos Communication Congress ad Amburgo, i ricercatori hanno illustrato come una caratteristica hardware precedentemente ignota abbia giocato un ruolo cruciale nell’ambito della cosiddetta “Operation Triangulation”.

Gli esperti di Kaspersky hanno identificato una vulnerabilità nel System on a Chip (SoC) degli iPhone, che si è rivelata determinante negli attacchi noti come Operation Triangulation. Questa falla permetteva agli hacker di eludere le protezioni della memoria a livello hardware su dispositivi che operano con versioni di iOS fino alla 16.6. La vulnerabilità, non documentata pubblicamente, si basa sul principio della “security through obscurity” e si presume fosse destinata a operazioni di test o debug.

Dopo un attacco iniziale tramite iMessage senza necessità di clic (0-click) e un’escalation dei privilegi, gli aggressori hanno sfruttato questa funzione hardware per bypassare le misure di sicurezza e manipolare le aree di memoria protette. Questo passaggio era essenziale per ottenere il controllo totale del dispositivo. Apple ha successivamente corretto il problema, identificato come CVE-2023-38606.

La ricerca di Kaspersky ha evidenziato che la rilevazione e l’analisi di questa caratteristica rappresentavano una sfida significativa, data la mancanza di documentazione pubblica. Il team GReAT ha condotto un’approfondita attività di reverse engineering, esaminando minuziosamente l’integrazione hardware e software degli iPhone. Un focus particolare è stato posto sugli indirizzi Memory-Mapped I/O (MMIO), cruciali per la comunicazione tra la CPU e i dispositivi periferici. Gli indirizzi MMIO sconosciuti, utilizzati dagli aggressori per eludere la protezione della memoria del kernel, non erano stati identificati in nessun intervallo all’interno della struttura dei dispositivi.

Boris Larin, Principal Security Researcher di GReAT, ha sottolineato che questa non è una vulnerabilità ordinaria. La natura chiusa dell’ecosistema iOS ha reso il processo di scoperta particolarmente arduo, richiedendo una comprensione completa delle architetture hardware e software. Larin ha aggiunto che questa scoperta dimostra come anche le protezioni avanzate basate sull’hardware possano essere superate da aggressori sofisticati, specialmente quando esistono caratteristiche hardware che permettono di bypassare tali protezioni.

“Operation Triangulation” è una campagna di Advanced Persistent Threat (APT) che colpisce i dispositivi iOS, scoperta da Kaspersky all’inizio dell’estate. Questa campagna sofisticata utilizza exploit 0-click distribuiti tramite iMessage, permettendo agli aggressori di ottenere il controllo completo dei dispositivi bersaglio e accedere ai dati degli utenti. Apple ha rilasciato aggiornamenti di sicurezza per risolvere quattro vulnerabilità zero-day identificate da Kaspersky: CVE-2023-32434, CVE-2023-32435, CVE-2023-38606 e CVE-2023-41990, che influenzano una vasta gamma di prodotti Apple, inclusi iPhone, iPod, iPad, dispositivi MacOS, Apple TV e Apple Watch. Kaspersky ha anche informato Apple dello sfruttamento della dotazione hardware, contribuendo alla risoluzione del problema da parte dell’azienda.

Montesquieu. Il suo pensiero politico

Montesquieu è stato uno dei più influenti filosofi politici del XVIII secolo, noto soprattutto per la sua teoria della separazione dei poteri. Questa teoria sostiene che il potere politico deve essere diviso in tre rami: legislativo, esecutivo e giudiziario, per evitare la tirannia e garantire la libertà dei cittadini. Montesquieu si ispirò al modello costituzionale inglese, ma la sua idea ebbe una grande risonanza anche in Europa e nel mondo.

L’importanza di Montesquieu per la politica europea è evidente se si considerano le costituzioni di molti paesi europei, che adottano il principio della separazione dei poteri come base del loro ordinamento democratico. Ad esempio, la Costituzione francese del 1958, la Costituzione italiana del 1948 e la Costituzione tedesca del 1949 sono tutte influenzate dalla teoria di Montesquieu. Inoltre, la stessa Unione Europea si basa su un sistema di equilibrio tra le istituzioni europee, che rappresentano i diversi interessi e livelli di governo.

La visione politica di Montesquieu

Montesquieu è riconosciuto come uno dei pionieri dell’antropologia, insieme a figure storiche come Erodoto e Tacito, ed è stato tra i primi a utilizzare metodi comparativi per analizzare le forme politiche nelle società umane. Georges Balandier, un noto antropologo politico francese, ha definito Montesquieu come l’iniziatore di un progetto scientifico che per un certo periodo ha assunto il ruolo di antropologia culturale e sociale. Secondo l’antropologo sociale DF Pocock, “Lo spirito delle leggi” di Montesquieu rappresenta il primo tentativo sistematico di esplorare la varietà delle società umane, di classificarle e confrontarle, e di analizzare come le istituzioni interagiscono all’interno di queste società. David W. Carrithers ha sottolineato che persino Émile Durkheim ha riconosciuto l’importanza di Montesquieu nel fondare la scienza sociale, grazie alla sua comprensione dell’interrelazione dei fenomeni sociali.

I principi delle forme di governo

L’approccio antropologico politico di Montesquieu ha portato alla sua influente teoria secondo cui diverse forme di governo sono sostenute da principi specifici: la virtù nelle repubbliche, l’onore nelle monarchie e la paura nei despotismi. Queste idee hanno avuto un impatto significativo: i fondatori americani si sono ispirati alle sue teorie sulla separazione dei poteri nell’ambito del governo inglese, mentre Caterina la Grande, nella stesura delle sue Nakaz (Istruzioni) per l’Assemblea legislativa russa, ha attinto ampiamente da “Lo spirito delle leggi” di Montesquieu, sebbene abbia scartato o modificato le parti non in linea con la monarchia burocratica assolutista della Russia.

Nel suo lavoro più influente, Montesquieu ha suddiviso la società francese in tre classi (o trias politica, un termine da lui coniato): la monarchia, l’aristocrazia e il popolo comune. Ha identificato due tipi di potere governativo: sovrano e amministrativo. I poteri amministrativi comprendevano l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario, che secondo Montesquieu dovevano essere separati e indipendenti l’uno dall’altro per evitare che l’influenza di uno superasse quella degli altri. Questa idea era rivoluzionaria in quanto si distaccava dalla struttura dei tre Stati della monarchia francese (clero, aristocrazia e popolo rappresentato dagli Stati Generali), eliminando l’ultima traccia di una struttura feudale.

La separazione dei poteri

La teoria della separazione dei poteri di Montesquieu, esposta in “Lo spirito delle leggi”, sostiene che ogni potere dovrebbe esercitare solo le proprie funzioni specifiche. Egli afferma che la libertà è compromessa quando il potere legislativo e quello esecutivo sono uniti nella stessa persona o organo, o quando l’autorità giudiziaria non è separata dalle autorità legislativa ed esecutiva.

Montesquieu sostiene che il potere esecutivo dovrebbe essere nelle mani di un monarca, poiché le azioni immediate sono meglio gestite da un singolo individuo piuttosto che da un gruppo. Al contrario, le funzioni che dipendono dall’autorità legislativa sono spesso meglio gestite da più persone piuttosto che da una sola.

Montesquieu identifica tre principali forme di governo, ognuna sostenuta da un principio sociale specifico:
– le monarchie (governi liberi guidati da una figura ereditaria) basate sull’onore;
– le repubbliche (governi liberi guidati da leader eletti dal popolo) basate sulla virtù;
– i dispotismi (non liberi), guidati da despoti che si affidano alla paura. I governi liberi dipendono da accordi costituzionali che stabiliscono controlli ed equilibri.

Montesquieu dedica un capitolo di “Lo spirito delle leggi” alla costituzione inglese e alla sua capacità di sostenere la libertà, e un altro alla realtà della politica inglese. Per quanto riguarda la Francia, egli osserva che le potenze intermedie, la nobiltà e i parlamenti, indeboliti da Luigi XIV, accolsero con favore il rafforzamento del potere parlamentare nel 1715.

Montesquieu e la schiavitù

Montesquieu si esprime anche sulla schiavitù, sostenendo che è intrinsecamente sbagliata perché tutti gli esseri umani nascono uguali. Tuttavia, egli suggerisce che la schiavitù potrebbe essere giustificata in climi estremamente caldi, dove i lavoratori potrebbero essere meno inclini a lavorare volontariamente. Presenta anche un elenco satirico di argomenti a favore della schiavitù, utilizzandoli ironicamente senza ulteriori commenti.

John Maynard Keynes, rivolgendosi ai lettori francesi della sua “Teoria Generale”, ha descritto Montesquieu come il vero equivalente francese di Adam Smith, lodandolo per la sua schiettezza, lucidità e buon senso, qualità essenziali per un economista.

La teoria antropologica

Montesquieu, nel suo “Lo spirito delle leggi” e nelle “Lettere persiane”, ha introdotto un’innovativa teoria antropologica che collega il clima alla natura umana e alla società. Questa teoria, che suggerisce un’influenza significativa del clima sul comportamento umano e sull’organizzazione sociale, è stata anche sostenuta da Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon, un noto naturalista francese.

Montesquieu, ponendo enfasi sull’impatto delle condizioni ambientali come determinanti fondamentali della vita, ha anticipato l’interesse dell’antropologia moderna per l’effetto delle condizioni materiali, come le risorse energetiche, i sistemi di produzione e le tecnologie, sullo sviluppo di sistemi socio-culturali complessi.

Secondo Montesquieu, alcuni climi sono più propizi di altri, con il clima temperato della Francia considerato ideale. Egli riteneva che le persone nei paesi caldi fossero eccessivamente irascibili, mentre quelle nei paesi freddi fossero apatiche o rigide. Pertanto, il clima dell’Europa centrale era visto come ottimale. Questa visione potrebbe essere stata influenzata dalle “Storie” di Erodoto, che contrapponeva il clima ideale della Grecia ai climi estremi della Scizia e dell’Egitto.

Questa convinzione era diffusa all’epoca e si ritrova anche nei testi medici dell’epoca di Erodoto, come nel “Sulle arie, acque, luoghi” del corpus ippocratico. Un’opinione simile è espressa anche in “Germania” di Tacito, uno degli autori preferiti di Montesquieu.

Philip M. Parker, nel suo libro “Physioeconomics” (MIT Press, 2000), sostiene la teoria di Montesquieu, affermando che molte variazioni economiche tra i paesi possono essere spiegate dagli effetti fisiologici dei diversi climi.

Dal punto di vista sociologico, Louis Althusser, analizzando la rivoluzionaria metodologia di Montesquieu, ha sottolineato l’importanza dell’inclusione di fattori materiali, come il clima, nell’analisi delle dinamiche sociali e delle forme politiche. Alcuni esempi di fattori climatici e geografici che hanno contribuito allo sviluppo di sistemi sociali più complessi includono quelli che hanno favorito l’agricoltura e la domesticazione di piante e animali.

Montesquieu e l’economia

L’eminente accademica francese Céline Spector considera Montesquieu come il pioniere della scienza dell’economia politica. Lo storico Paolo Prodi infonde nella sua dissertazione elementi distintivi di Montesquieu, attinenti alla “repubblica internazionale del denaro”. Quest’ultima si identifica non come una semplice rete di mercanti itineranti e mercati, bensì come un’entità immateriale e potente, influente sui principati emergenti e le monarchie tra il XVI e il XVII secolo, caratteristica dell’ultima fase del medioevo e dell’incipiente età moderna.

Per elucidare il ruolo di Montesquieu riguardo ai concetti di “mercato” e “economia politica”, Prodi evoca l’incisiva espressione all’apertura del libro XX de “Lo spirito delle leggi” – “ovunque vi sono costumi miti v’è commercio e ovunque v’è commercio vi sono costumi miti” – e la sua osservazione sulla supremazia inglese rispetto all’antico impero romano, attribuita al maggiore impatto dell’economia rispetto alla politica, secondo la teoria del doux commerce. Montesquieu sosteneva: «Altre nazioni hanno relegato gli interessi commerciali a quelli politici; questa ha costantemente anteposto gli interessi politici a quelli commerciali. È la nazione che meglio al mondo ha saputo combinare queste tre grandi entità: la religione, il commercio e la libertà

Comunemente si omette di menzionare, nel concetto diffuso della divisione dei poteri di Montesquieu, la sua enfasi sulla necessità di una separazione tra il potere economico e quello politico. Montesquieu avvertiva: «Concentrare le ricchezze in uno stato governato da un solo ente equivale a unire tutto il denaro da un lato e il potere dall’altro; ciò significa, da una parte, la capacità di possedere tutto senza alcun potere e dall’altra, il potere senza alcuna capacità di acquisto. In un tale governo, soltanto il principe può detenere o accumulare un tesoro e, laddove ne esiste uno eccessivo, diventa inevitabilmente il tesoro del principe stesso.»

La perspicacia di Montesquieu nel focalizzarsi sul fenomeno della territorializzazione delle ricchezze al centro della sua riflessione sulla modernità commerciante si rivela un aspetto cruciale che lo rende ancora oggi una figura di rilievo negli studi sull’origine dell’economia politica.


L’Iran aggiunge missili da crociera strategici alla sua flotta navale

 La Marina della Repubblica Islamica dell’Iran (NEDAJA) ha aggiunto due missili da crociera prodotti in Iran alla sua flotta, questo nell’obiettivo di aumentare le capacità di combattimento della forza nel contrastare le minacce esterne.

I due missili da crociera strategici, identificati come Talaiyeh e Nasir, sono stati aggiunti alla flotta NEDAJA domenica durante una cerimonia tenutasi nella città portuale di Konarak, nella provincia sud-orientale del Sistan e del Baluchestan. 

Cos’è un missile Talaiyeh

Un missile Talaiyeh è un tipo di missile da crociera iraniano, che può essere usato sia per attacchi a terra che contro navi. Il nome Talaiyeh significa “pioniere” in persiano. Il missile è stato presentato per la prima volta nel 2020, insieme ad un altro missile da crociera chiamato Abu Mahdi, in onore del comandante iraniano ucciso in un raid statunitense.

Il missile Talaiyeh ha una gittata di circa 700 km e una velocità di Mach 0.8. Può trasportare una testata di 500 kg. Il missile è dotato di un sistema di navigazione inerziale e di un radar attivo per la guida terminale. Il missile è lanciato da una rampa mobile o da una piattaforma navale.

Il missile Talaiyeh è considerato una versione migliorata del missile Hoveizeh, a sua volta derivato dal missile russo Kh-55. Il missile Talaiyeh ha una forma più aerodinamica e un motore a turbogetto più potente. Il missile è stato testato con successo nel 2020, colpendo un bersaglio a 600 km di distanza.

Cos’è il missile Nasir?

Il missile Nasir è un missile da crociera navale iraniano, che può colpire bersagli navali o terrestri a una distanza di circa 90 km. Il missile ha una forma cilindrica con quattro alette ripiegabili e una testata di 130 kg. Il missile è guidato da un radar attivo e può essere lanciato da navi, elicotteri o sottomarini. Il missile è stato presentato nel 2017 e testato con successo durante un’esercitazione navale chiamata “Welayat-95”.

Il missile Nasir potrebbe essere una copia del missile cinese C-704, a sua volta derivato dal missile francese Exocet. Il missile Nasir fa parte della famiglia di missili da crociera iraniani, che comprende anche i missili Noor, Qader, Ghadir e Meshkat.

La cerimonia nel Mar di Oman

Il comandante dell’esercito iraniano, il maggiore generale Seyyed Abdolrahim Mousavi, ha partecipato alla cerimonia nella base della Marina, che si trova sul Mar di Oman e ospita la terza zona Nabovvat di NEDAJA.

La Marina ha ricevuto altre nuove attrezzature durante la cerimonia a Konarak, tra cui il primo elicottero dell’intelligence, un nuovo sistema missilistico superficie-superficie, droni vaganti e un sistema per il rilevamento e il tracciamento dei subacquei. 

Belgrado. Migliaia di manifestanti chiedono annullamento elezioni

Migliaia di persone si sono radunate alla vigilia di Natale nel centro di Belgrado in una protesta antigovernativa per chiedere l’annullamento delle elezioni parlamentari e locali di una settimana fa che gli osservatori internazionali avevano giudicato irregolari.

Secondo i risultati preliminari della Commissione elettorale statale, il Partito progressista serbo (SNS), ha ottenuto il 46,72% dei voti nelle elezioni parlamentari anticipate dello scorso fine settimana.

Lunedì una missione di monitoraggio internazionale ha affermato che il SNS ha ottenuto un vantaggio ingiusto attraverso la parzialità dei media, l’influenza impropria del presidente Aleksandar Vucic e le irregolarità di voto come l’acquisto di voti.

Vucic ha detto che le elezioni sono state regolari.

La polizia ha sparato spray al peperoncino dopo che la folla aveva tentato di fare irruzione nel municipio di Belgrado, dove ha sede la commissione elettorale locale. Alcuni manifestanti sono saliti sull’edificio e hanno rotto le finestre. Alcuni hanno lanciato sassi alle finestre, rompendo i vetri.

“Vucic ladro”, hanno cantato i manifestanti.

In un comunicato il ministero dell’Interno ha invitato i manifestanti ad “astenersi dall’irrompere nel municipio”. “Reagendo con calma cerchiamo di non ferire i manifestanti”, ha detto Vucic nel suo discorso in prima serata.

L’alleanza di opposizione di centrosinistra è arrivata seconda alle elezioni con il 23,56% dei voti, e il Partito socialista serbo al terzo posto con il 6,56%.

Srdjan Milivojevic e Vladimir Obradovic della coalizione Serbia contro la violenza hanno cercato di aprire la porta del municipio ma non sono riusciti ad entrare, mentre la folla gridava “entra, entra” e “non arrenderti”.

Intorno alle 22:00 la polizia antisommossa ha allontanato i manifestanti dal municipio.

Un’altra deputata di Serbia contro la violenza, Marinika Tepic, è in sciopero della fame dalle elezioni per chiederne l’annullamento.

Foto: @Lukyluke311 – X

Chi sono gli Houthi dello Yemen

Gli Houthi, noti anche come Ansar Allah (Partigiani di Dio) o Gioventù credente, sono un gruppo armato prevalentemente sciita zaidita dello Yemen, formatosi agli inizi del 1990 e diventato attivo nel XXI secolo.

Il movimento nacque nel 1992 come “Gioventù credente”, fondato da membri della famiglia Houthi nel Governatorato di Sa’da per promuovere la rinascita zaidita. Dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003, iniziarono a esprimere slogan anti-statunitensi e anti-israeliani, portando a scontri con il governo yemenita. La rivolta iniziò nel 2004 e proseguì fino a un cessate il fuoco nel 2010. Successivamente, gli Houthi parteciparono alla rivolta yemenita del 2011, ma respinsero le offerte di dialogo del Consiglio di cooperazione del Golfo.

Gli Houthi sono noti per le loro tecniche di contrasto ai sostenitori governativi, che vanno dalla disobbedienza civile a azioni violente come il tentativo di colpo di stato del 2015. Dal 2011 hanno esteso il loro controllo su diverse regioni dello Yemen, inclusa una parte della capitale, San’a. Il governo yemenita li ha accusati di avere legami con l’Iran, mentre gli Houthi hanno accusato il governo di alleanze con Al-Qaeda e l’Arabia Saudita.

Dal punto di vista ideologico, gli Houthi appartengono allo sciismo zaidita, una branca dell’Islam presente solo in Yemen, vicina agli Imamiti (maggioranza in Iraq, Libano e Iran) e con posizioni giuridiche e liturgiche simili a quelle sunnite. Rivendicano la difesa della loro comunità contro discriminazioni e trattamenti ingiusti, in particolare nella loro regione settentrionale più povera, mentre il governo li ha accusati di fomentare sentimenti anti-statunitensi e di cercare di rovesciare il regime per instaurare una legge islamica sciita zaidita.

Chi sono gli sciiti zaiditi?

Lo sciita zaidita, o Zaidismo, è una branca dell’Islam sciita che prende il nome da Zayd ibn Ali, un pronipote dell’Imam Husayn, nipote del Profeta Maometto. I Zaiditi sono principalmente concentrati nello Yemen, dove rappresentano una significativa minoranza della popolazione musulmana.

Il Zaidismo si distingue da altre correnti dello sciismo per alcune sue caratteristiche teologiche e giuridiche:

  1. Imamato: I Zaiditi credono che l’Imam, o leader spirituale e politico, debba essere un discendente diretto di Ali e Fatima, figlia del Profeta Maometto. Tuttavia, a differenza degli Imamiti (o Duodecimani, la principale corrente sciita), i Zaiditi non credono in una successione di Imam infallibili e predeterminati. Invece, sostengono che qualsiasi discendente qualificato di Ali e Fatima che si ribelli contro l’ingiustizia e l’oppressione può essere riconosciuto come Imam.
  2. Giurisprudenza: Nella giurisprudenza, i Zaiditi sono più vicini ai sunniti rispetto ad altre correnti sciite. Ad esempio, la loro interpretazione della legge islamica (Sharia) e delle pratiche religiose ha molte somiglianze con la scuola giuridica sunnita Hanafi.
  3. Teologia: In termini di teologia, i Zaiditi adottano una posizione moderata. Non praticano la taqiyya (dissimulazione della fede), una pratica accettata in alcune altre correnti sciite, e hanno una visione meno esclusiva dell’Imamato rispetto agli Imamiti.

Nello Yemen, il movimento Houthi, che è emerso come un importante attore politico e militare, è radicato nella comunità Zaidita. Tuttavia, è importante notare che non tutti gli Zaiditi sostengono gli Houthi, e il movimento ha anche attratto seguaci al di fuori della comunità Zaidita.

Supporto Esterno e Accuse

  1. Supporto Iraniano e Nordcoreano: Gli Houthi sono stati accusati di ricevere supporto dall’Iran e dalla Corea del Nord. L’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh e altri hanno riferito di un sostegno iraniano, principalmente in termini di armamenti e addestramento, sebbene l’Iran neghi questa associazione. Si è scoperto che la Corea del Nord ha fornito armi agli Houthi tramite la Siria.

Violazioni dei Diritti Umani

  1. Uso di Bambini Soldato e Scudi Umani: Gli Houthi sono stati accusati di reclutare bambini soldato e di usare scudi umani, pratiche che violano il diritto internazionale umanitario. Secondo Human Rights Watch e UNICEF, i bambini costituiscono fino a un terzo dei combattenti in Yemen.
  2. Sequestro di Ostaggi: Il gruppo è stato anche coinvolto in sequestri di ostaggi, spesso per estorcere denaro o per scambi con forze avversarie.
  3. Diversione degli Aiuti Internazionali: Il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite ha accusato gli Houthi di deviare gli aiuti alimentari, minando gli sforzi di soccorso umanitario in Yemen.
  4. Abuso di Donne e Ragazze: Investigatori finanziati dall’ONU hanno scoperto che gli Houthi hanno arruolato decine di ragazze adolescenti in ruoli come informanti, infermiere e guardie, con alcuni casi di violenza sessuale e matrimoni forzati.

Governance nei Territori Controllati

  1. Amministrazione e Giustizia Locale: Gli Houthi hanno stabilito corti e prigioni nelle aree da loro controllate, imponendo le proprie leggi ai residenti locali. Tuttavia, alcuni rapporti suggeriscono che gli Houthi abbiano contribuito a fornire sicurezza in aree trascurate dal governo yemenita e a risolvere conflitti tra tribù.

La storia degli Houthi in breve

Originariamente, gli Houthi erano un movimento teologico moderato fondato nel 1992 da Mohammed al-Houthi o suo fratello Hussein al-Houthi. Il loro primo gruppo, “the Believing Youth” (BY), promuoveva una rinascita Zaidi a Saada attraverso club scolastici e campi estivi.

Mappa Houthi Yemen

La formazione degli Houthi è stata vista come una reazione all’intervento straniero, con un focus sul rafforzamento del Zaydismo contro le influenze saudite e una critica all’alleanza del governo yemenita con gli USA. Hussein al-Houthi, ucciso nel 2004, è stato associato alla radicalizzazione di alcuni Zaiditi dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003. Gli Houthi hanno attirato l’attenzione del governo yemenita con slogan antiamericani e antiebraici, portando all’arresto di 800 sostenitori nel 2004.

Dopo la morte di Hussein al-Houthi, l’insurrezione Houthi continuò, resistendo sia al governo yemenita che all’esercito saudita. Gli Houthi hanno poi partecipato alla rivoluzione yemenita del 2011 e alla Conferenza di dialogo nazionale, ma hanno respinto l’accordo del Consiglio di cooperazione del Golfo. Hanno esteso il loro controllo su più territori, incluso il governatorato di Sanaa, e sono stati contestati da Al-Qaeda.

Nel 2015, gli Houthi hanno sequestrato il palazzo presidenziale a Sanaa, prendendo il controllo del governo yemenita. Hanno subito un attacco suicida da parte dello Stato Islamico e sono stati oggetto di un attacco aereo da parte di una coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Nonostante le sfide, sono diventati uno dei movimenti più stabili e organizzati nello Yemen.

La loro alleanza con l’ex presidente Saleh si è rotta nel 2017, culminando nella sua morte per mano degli Houthi. Nel 2021, gli Stati Uniti hanno designato gli Houthi come organizzazione terroristica, ma questa decisione è stata capovolta dopo l’insediamento di Joe Biden come presidente. Gli Houthi hanno continuato le loro attività militari, inclusi attacchi contro gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, e nel 2023 hanno lanciato missili balistici contro Israele, intercettati dal sistema di difesa missilistico israeliano Arrow.

L’ideologia del movimento Houthi

Nel panorama politico dello Yemen, il movimento Houthi si distingue per la sua complessa miscela di ideologie che fondono principi religiosi, nazionalisti yemeniti e populisti, in un modello che ricorda Hezbollah. Fonti esterne al movimento evidenziano come le posizioni politiche degli Houthi siano spesso percepite come ambigue e contraddittorie, con slogan che non sempre riflettono fedelmente i loro reali obiettivi.

Bernard Haykel, un rinomato ricercatore, sottolinea come Hussein al-Houthi, il fondatore del movimento, abbia tratto ispirazione da una vasta gamma di tradizioni religiose e correnti ideologiche. Questa ecletticità rende arduo classificare lui e i suoi seguaci in categorie predefinite. Gli Houthi si sono autodefiniti come forza di resistenza nazionale, impegnati nella difesa degli yemeniti contro aggressioni e influenze esterne, battendosi contro la corruzione, il caos e l’estremismo, e rappresentando gli interessi delle tribù emarginate e della setta Zayidi.

Secondo Haykel, il movimento Houthi si fonda su due principi religioso-ideologici fondamentali. Il primo è la “Via Coranica”, che sostiene l’infallibilità del Corano e la sua capacità di guidare il miglioramento della società musulmana. Il secondo principio è la convinzione nel diritto divino incondizionato degli Ahl al-Bayt, i discendenti del Profeta, a governare. Questa credenza trova le sue radici nel Jaroudismo, una corrente fondamentalista dello Zaydismo.

Gli Houthi hanno inoltre capitalizzato sul malcontento popolare legato alla corruzione e al taglio dei sussidi governativi. Un report di Newsweek del febbraio 2015 descrive il movimento come combattente per obiettivi condivisi da molti yemeniti: responsabilità governativa, fine della corruzione, servizi pubblici efficienti, prezzi equi del carburante, opportunità lavorative per i cittadini comuni e la riduzione dell’influenza occidentale.

Nel formare alleanze, gli Houthi hanno dimostrato un approccio opportunistico, stringendo patti talvolta anche con nazioni che in seguito hanno dichiarato nemiche, come gli Stati Uniti. Questa strategia riflette la complessità e la mutevolezza del contesto politico in cui il movimento opera.

I capi del movimento Houthi

NomeRuoloNote
Hussein Badreddin al-HouthiEx leaderUcciso nel 2004
Abdul-Malik Badreddin al-HouthiLeader
Yahia Badreddin al-HouthiLeader senior
Abdul-Karim Badreddin al-HouthiComandante di alto rango
Badr Eddin al-HouthiLeader spiritualeMorto nel 2010
Abdullah al-RuzamiEx comandante militare
Abu Ali Abdullah al-Hakem al-HouthiComandante militare
Saleh HabraLeader politico
Fares Mana’aGovernatore di Sa’dah nominato dagli HouthiEx capo del comitato presidenziale di Saleh

Sviluppi Militari e Conflitti del Movimento Houthi dal 2015 al 2019

  • Fine 2015: Il movimento Houthi annuncia su Al-Masirah TV la produzione locale del missile balistico a corto raggio Qaher-1.
  • 19 Maggio 2017: L’Arabia Saudita intercetta un missile balistico lanciato dagli Houthi. Il missile era diretto verso un’area deserta a sud di Riad, la capitale e città più popolosa dell’Arabia Saudita.
  • Durante il Conflitto: Le milizie Houthi hanno catturato dozzine di carri armati e un’ampia quantità di armi pesanti appartenenti alle forze armate yemenite.
  • Giugno 2019: La coalizione guidata dall’Arabia Saudita riferisce che, fino a quel momento, gli Houthi avevano lanciato 226 missili balistici nel corso dell’insurrezione.
  • 14 Settembre 2019 – Attacco Abqaiq-Khurais: Gli impianti di lavorazione del petrolio Saudi Aramco ad Abqaiq e Khurais, nell’Arabia Saudita orientale, vengono attaccati. Il movimento Houthi rivendica la responsabilità dell’attacco. Tuttavia, gli Stati Uniti attribuiscono la responsabilità all’Iran. Il presidente iraniano Hassan Rouhani dichiara che gli attacchi sono una risposta legittima alle aggressioni subite dallo Yemen negli anni precedenti.

Questi eventi sottolineano la crescente tensione e la complessità del conflitto nello Yemen, coinvolgendo direttamente attori regionali come l’Arabia Saudita e l’Iran, e mettendo in luce le capacità militari e strategiche del movimento Houthi.

Capacità navali degli Houthi: una minaccia crescente nei Mari dello Yemen

Durante il conflitto civile in Yemen, gli Houthi hanno sviluppato tattiche navali avanzate per contrastare le flotte nemiche. Inizialmente, le loro azioni contro le navi erano rudimentali, basate sull’uso di granate a propulsione razzo. Tuttavia, la situazione è cambiata drasticamente dopo il 2015, quando la marina yemenita subì gravi perdite durante la battaglia per Aden, lasciando gli Houthi con un arsenale limitato e poche imbarcazioni.

L’Iran ha giocato un ruolo cruciale nel potenziare le capacità navali degli Houthi, fornendo missili aggiuntivi e supporto logistico. La nave dei servizi segreti iraniana Saviz, ancorata al largo delle coste dell’Eritrea, ha svolto un ruolo chiave nell’assistenza agli Houthi, fino al suo danneggiamento in un attacco israeliano nel 2021.

Gli Houthi hanno trasformato motovedette donate dagli Emirati Arabi Uniti in ordigni esplosivi improvvisati, utilizzandoli in attacchi contro navi nemiche, come dimostrato dall’assalto alla fregata saudita Al Madinah nel 2017. Hanno inoltre sviluppato diversi tipi di mine navali e ricevuto missili a lungo raggio dall’Iran, aumentando significativamente la loro minaccia nel Mar Rosso.

Il successo degli Houthi nell’uso di missili antinave è stato evidente nell’attacco al catamarano HSV-2 Swift degli Emirati Arabi Uniti nel 2016, che ha subito danni così gravi da essere dismesso. Questo evento ha portato gli Stati Uniti a dispiegare ulteriori forze navali nella regione.

La capacità degli Houthi di minacciare le navi nel Mar Rosso è notevolmente aumentata, grazie all’arsenale di missili balistici antinave e razzi. Questo potenziale bellico pone una seria minaccia alle marine degli Emirati Arabi Uniti, dell’Arabia Saudita e degli Stati Uniti in eventuali futuri scontri marittimi.

Inoltre, gli Houthi hanno mostrato la capacità di utilizzare droni marini esplosivi e hanno iniziato l’addestramento di sommozzatori da combattimento, aumentando ulteriormente la loro efficacia in mare. Questo sviluppo rappresenta un cambiamento significativo nella dinamica del conflitto nello Yemen, con implicazioni che vanno ben oltre i confini regionali.

Situazione in continua evoluzione

La situazione in Yemen è una delle più gravi crisi umanitarie del mondo, causata da un conflitto civile che dura da otto anni e che coinvolge diverse parti, tra cui i ribelli Houthi. Il conflitto ha provocato milioni di sfollati, epidemie di colera, carenza di medicine e minacce di carestia. Inoltre, il conflitto ha avuto ripercussioni sulla sicurezza regionale e internazionale, con attacchi ai trasporti marittimi nel Mar Rosso e tensioni tra Iran e Arabia Saudita.

La recente escalation dopo gli attacchi degli Houthi a una nave da guerra saudita nel Mar Rosso, in risposta all’offensiva israeliana contro Hamas nella Striscia di Gaza dimostra come la situazione in Yemen sia legata ad altri conflitti nel Medio Oriente e come sia difficile trovare una soluzione politica e pacifica. Nonostante alcuni tentativi di mediazione delle Nazioni Unite e di altri attori internazionali, i negoziati di pace sono falliti o sono stati interrotti da nuove violenze. Inoltre, la presenza di interessi divergenti e contrapposti tra le varie fazioni in Yemen, come il Consiglio di Transizione del Sud che chiede l’indipendenza dello Yemen meridionale, rende ancora più complessa la ricerca di un accordo.

La situazione in Yemen è molto grave e richiede un maggiore impegno da parte della comunità internazionale per fermare le sofferenze della popolazione civile e per promuovere una soluzione politica inclusiva e duratura.