07 Novembre 2025
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Come ripulire la tua reputazione sui social network

Ripulire la propria reputazione sui social network è una delle principali esigenze di privati, liberi professionisti e aziende nel momento in cui hanno un problema di reputazione online.

Ma allo stesso tempo è forse la parte più difficile, proprio per le caratteristiche dei social e per la rapidissima velocità con cui le informazioni vengono condivise.

Per questo esistono dei piani strategici estremamente accurati che possono letteralmente salvare la reputazione e il tuo lavoro tramite le giuste azioni.

Queste sono le basi fondamentali per ripulire la reputazione sui social networke sono applicabili in quasi tutte le circostanze.

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Muoviti rapidamente e prendi il controllo della situazione

La peggior cosa che puoi fare è quella di non fare assolutamente nulla.

Se hai un problema di reputazione sui social network, potresti essere tentato dall’idea di stare completamente fermo, non fare niente, e aspettare che il problema passi da solo.

Ma questa non è assolutamente la strategia più adeguata, in quanto le persone tendono ad infierire contro chi non reagisce e soprattutto, se anche presto si distraggono e passano da altri argomenti, il risultato delle loro azioni e i danni che sono stati provocati non spariranno semplicemente perché tu non hai fatto niente.

Ecco perché bisogna assolutamente agire e nel più breve tempo possibile.

Poniti le domande giuste e rispondi sinceramente a te stesso

Nel momento in cui la tua reputazione sui social network è stata colpita devi porti delle domande fondamentali che ti aiutano a stabilire un piano di azione.

  • Cosa ha causato il problema?
  • È un problema reale che si è effettivamente verificato o è solo una errata percezione o una falsità delle persone?
  • Come si può impedire che il problema prosegua?
  • Qual è la migliore reazione che potremmo avere per calmare gli animi? Cosa possiamo fare la prossima volta che accadrà?

Usa l’umorismo (se è il caso)

Non prenderla necessariamente troppo sul serio. Fra le domande da porsi c’è anche quella, importante, di capire qual è il danno che può essere provocato.

Se la crisi reputazionale sui social consiste sostanzialmente in un errore in buona fede con conseguenze negative prossime allo zero, non è necessario lanciarsi in accorate scuse.

A volte basta un po’ di sarcasmo per minimizzare, per sdrammatizzare e ottenere la rapida chiusura del problema.

Interrompi i contenuti sui social già programmati

Purtroppo abbiamo visto diversi esperti suggerire ai loro clienti di inondare i social network con una grande quantità di nuovo contenuto.

Ma questo non fa altro che dare la possibilità a quelli che stanno criticando di continuare nella loro azione e semmai di peggiorare le loro offese.

Bisogna fare esattamente l’opposto: annullare tutti i contenuti che sono stati organizzati e che sono predisposti per la pubblicazione e ripensarli nell’ottica di una risoluzione della crisi.

Scopri come la tua azienda o attività può passare dalle critiche ai riconoscimenti sui social network. Chiedi un consiglio gratuito

Prenditi le tue responsabilità

Prendersi le proprie responsabilità è uno dei metodi migliori per ripulire la reputazione dai social network.

Sei è compiuto un errore, sei è stato pubblicato qualcosa che non doveva andare online, se sono stati fatti degli errori aziendali, non basta cancellare il contenuto e sperare che le persone non se ne accorgano.

Prendersi invece la responsabilità, far capire che si sono informate le persone e le autorità secondo la legge, avere un approccio onesto e risolutivo, è uno degli strumenti migliori per risolvere delle situazioni che altrimenti sarebbero disperate.

Sposta le discussioni dal pubblico al privato

Immaginiamo di essere sommersi da commenti di clienti arrabbiati.

L’ultima cosa da fare è mettersi a litigare con loro pubblicamente perché questo danneggia irrimediabilmente il brand.

Il fatto di avere ragione non basta.

Emerge comunque l’immagine di un’azienda litigiosa e in difficoltà. La strategia in questo caso è semplicemente quella di appoggiarsi ai messaggi diretti.

Una volta che ci si trova in uno spazio privato, si possono ascoltare le lamentele della persona con maggiore concentrazione e rispondere in maniera assolutamente diplomatica.

Non bisogna mai scadere nell’offensivo, ma anzi bisogna gestire la situazione con uno spirito estremamente costruttivo.

Non solo scuse ma spiegazioni

Poniamo il caso che ci sia una crisi reputazionale in cui hai offeso delle persone: in questo caso utilizzare lo humour non è la migliore strategia.

Anziché cercare di scusarsi, è necessario aggiungerci una spiegazione. Far capire che si sta indagando su un errore, che si stanno sviluppando delle buone pratiche per evitare che il problema si ripeta e punire i responsabili è molto meglio rispetto ad una generica richiesta di “essere perdonati”.

Essere autentici e trasparenti, molto spesso, può risolvere situazioni veramente intricate.

Crea un piano per la gestione della reputazione sui social network

Una volta che è stata data una prima risposta, è importante avere un piano per risolvere del tutto il problema.

Inoltre è fondamentale avere le idee chiare su come sviluppare una reputazione sui social network completamente positiva che possa ribaltare del tutto la situazione, che possa aumentare i risultati commerciali e che possa prevenire o minimizzare i problemi.

Problemi di reputazione sui social. Lasciaci intervenire:

cancelliamo le critiche e le diffamazioni

Cosa NON fare assolutamente

Ecco invece alcune cose che non devono essere assolutamente fatte, e che purtroppo si vedono molto spesso online.

Essere maligni

Utilizzare le notizie negative per innalzare la propria immagine è deleterio.

Evitate di utilizzare una notizia negativa, una tragedia o le difficoltà altrui per ripristinare la vostra reputazione. Questo non fa altro che creare nuova tensione e farti passare per avvoltoio.

Seguire i troll

Un vecchio trucco dice “Don’t feed the troll”. Ricordate che internet è pieno di persone sui social media che hanno veramente tempo da perdere.

Molti di loro si divertono semplicemente a sfottere e a “trollare” i siti web e le aziende, per cui non incoraggiate questa pratica ingaggiando delle estenuanti liti e lotte con chi non aspettava altro.

Minacciare chi ti critica

Non vi è dubbio che si possa ricorrere ai legali, nel momento in cui si viene palesemente offesi.

Ma non è il caso di minacciare le persone pubblicamente: la gestione della propria reputazione sui social,specie durante una crisi, non deve diventare un abbaiare aggressive minacce di ritorsioni con la legge.

Gestite sempre con uno spirito costruttivo le conversazioni e troncate quelle inutili, e riservate le azioni legali agli uffici giudiziari, senza che questo diventi una guerra pubblica.

Come rimuovere le pagine di spam da un sito WordPress

Il tuo sito WordPress contiene delle pagine di spam?

Rimuovere le pagine di spam dal proprio sito WordPress è una vera e propria emergenza che bisogna risolvere nel più breve tempo possibile. Si tratta di un attacco da parte dei pirati informatici in piena regola, che sfruttano il tuo sito e il tuo lavoro per ottenere dei vantaggi immeritati.

In questa guida spiegheremo che cos’è lo spam page, come può affliggere il tuo sito e come rimuovere lo spam dal tuo sito WordPress nel più breve tempo possibile

Il tuo sito Worpdress è stato attaccato dallo Spam? chiedi un intervento ai nostri tecnici. Agiamo in poche ore

Cos’è e come funziona lo spam sui siti WordPress

Immaginiamo un pirata informatico che crea un sito pornografico, di gioco d’azzardo o di qualsiasi altra attività poco pulita.

Il pirata, ha bisogno che il suo sito venga posizionato sui motori di ricerca e per farlo cerca di attaccare dei siti ad alta affidabilità, per inserire all’insaputa del proprietario dei link al proprio portale.

In questo modo, sfruttando il valore del link in entrata, l’hacker aumenta il posizionamento della propria piattaforma in maniera disonesta.

I siti più desiderabili per i pirati informatici e i primi a subire questo tipo di attacchi sono quelli ben strutturati, con dei domini registrati da molti anni, o con domini pregiati tipo .gov o .edu, o ancora che hanno tante keyword posizionate e che vengono aggiornati spesso.

Come fanno gli hacker ad aggiungere pagine di spam?

Le pagine di Spam vengono posizionate sul sito sfruttando le vulnerabilità del codice, i bug nel CMS, usando account di amministrazione compromessi o credenziali FTP deboli.

Nel momento in cui individui delle pagine di spam sul tuo sito è importante determinare come queste pagine sono state posizionate. Può trattarsi di un malware o di vulnerabilità di sicurezza, per cui una revisione finale del sito intero è assolutamente fondamentale.

Se vuoi sapere come recuperare un sito WordPress completamente hackerato, puoi seguire la guida dedicata di Alground.

Come determinare se il tuo sito WordPress è infetto dallo spam

Di norma il proprietario del sito non si accorge che sono state inserite delle pagine di spam durante la normale attività del proprio portale. Solitamente, dopo parecchio tempo, si inizia a vedere il proprio sito posizionato su Google per delle Keyword e dei contenuti completamente irragionevoli e incoerenti con quanto è stato pubblicato, e si inizia a sospettare qualcosa.

Continuando a cercare, si individuano delle pagine e dei contenuti completamente estranei alla redazione e al webmaster, che sono dei veri e propri “intrusi” rispetto al resto del sito.

Le pagine di spam, possono presentarsi sia come pagine autonome sia come paragrafi inseriti all’interno di articoli o post più lunghi.

Rimuovere pagine di spam dal sito WordPress. Cosa cercare

La rimozione delle pagine di spam su WordPressrichiede innanzitutto un’analisi di tutti i file disponibili pubblicamente sul server. Dal momento che potrebbe essere stato attaccato anche il database, dovrai eseguire un controllo completo.

Bisogna cercare dei contenuti specifici che di solito vengono coinvolti dallo spam come:

Il tuo sito Worpdress contiene malware o ne hai il sospetto? 

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  • Vendita di farmaci
  • Download di musica e suonerie
  • Download di film
  • Gioco d’azzardo e casinò online
  • Prodotti per la perdita del peso
  • Pornografia

Controlla i file del CMS

Per individuare delle pagine di spam bisogna cercare anzitutto delle directory sconosciute nel proprio Content Management System.

Si devono cercare anche sotto cartelle nascoste: cercate di individuare i file non rilevanti con la vostra attività e rimuoveteli. Spesso sono nascosti sotto nomi credibili come “Stats” o “Admin”. Oppure possono non avere un senso particolare e presentarsi come una serie di numeri e di caratteri.

Si può trattare di file HTML o possono essere file oscurati intenzionalmente per nasconderne la funzione.

Controlla il database

Le pagine di Spam che sono state inserite all’interno del database sono solitamente abbastanza facili da rimuovere. Si possono individuare come pagine o post estranei, che nessuno dei tuoi collaboratori ha aggiunto e la loro cancellazione è immediata.

Di solito vengono pubblicate da un account di amministrazione compromesso, per cui rimuovendo l’account stesso è abbastanza facile risolvere il problema.

Ovviamente bisogna controllare tutte le tabelle e, per sicurezza, rinominarle dopo la pulizia.

Rimuovere lo spam WordPress dal file .Htaccess

Qui andiamo sul difficile.

La maggior parte dei siti è dotato di un file .htaccess che indica ai server quali pagine devono essere restituite a fronte delle richieste dei visitatori.

Se hai delle pagine di spam all’interno del tuo sito, potrebbe essere stato inserito del codice all’interno del file .htaccess che altera di fatto il comportamento del tuo portale.

In questo caso il file .htaccess contiene delle istruzioni che dicono ai motori di ricerca di puntare a determinate pagine di spam piuttosto che alla normale Directory del sito.

Rimuovere queste direttive all’interno del file può essere piuttosto faticoso in quanto richiede una profonda conoscenza del codice di programmazione del file .htaccess.

E’ necessario avere una buona padronanza delle espressioni regolari e delle direttive .htaccess. Un esempio di codice malevolo è

RewriteRule . - [E=REWRITEBASE:/]
RewriteRule ^b(\d+)[-/].*[-/]p(\d+)-.*$ index\.php?id=$1-$2&%{QUERY_STRING} [L]
RewriteRule ^b(\d+)[-/]p(\d+)[-/].*$ index\.php?id=$1-$2&%{QUERY_STRING} [L]
RewriteRule ^p(\d+)[-/].*[-/]b(\d+)[-/].*$ index\.php?id=$2-$1&%{QUERY_STRING} [L]
RewriteRule ^p(\d+)[-/]b(\d+)[-/].*$ index\.php?id=$2-$1&%{QUERY_STRING} [L]

Far reindicizzare il sito WordPress dai motori di ricerca

Hai perso posizioni su Google con il tuo sito WordPress? Recuperiamo insieme la prima pagina. Contattaci

Rimuovere le pagine di spam dal tuo sito non è abbastanza.

I motori di ricerca hanno visualizzato e registrato queste pagine per giorni, a volte settimane, a seconda di quante volte il crawler è passato sul tuo sito.

Per cui, dopo aver pulito le pagine di spam dal sito, dovrai lavorare con il Google Search Console per aggiustare la situazione.

Sarà necessario aggiungere una Sitemap al sito, inviarla attraverso il Search Console e verificare che gli indirizzi URL corrispondenti alle pagine di spam rispondano al codice 404 (non trovato).

Dopodiché puoi reinviare il tuo sito per una nuova indicizzazione.

Ovviamente ci vorranno alcuni giorni per recuperare la situazione, e bisogna costantemente verificare che Google abbia compreso le istruzioni.

Facebook cancella utenti inattivi dai gruppi. Una bufala, ecco perchè

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Facebook cancellerà dai gruppi tutti gli utenti inattivi, che non hanno commentato nè lasciato una qualsiasi reazione negli ultimi tempi.

E’ una colossale bufala che sta girando in questi giorni sul social network: gli admin si preoccupano, e lanciano post nei loro gruppi chiedendo a tutti gli interessati di dare un segno di vita per non essere cancellati. Si tratta ovviamente di una fake news bella e buona, ma vediamo come e perchè è nata.

Il reale aggiornamento

Tutto è partito da un reale aggiornamento delle regole di Facebook: prima i fondatori o amministratori dei gruppi, potevano aggiungere gli utenti che erano presenti nella loro lista degli amici, senza nessun problema. Le persone così si ritrovavano catapultate in massa nei più assurdi e disparati gruppi senza poter fare nulla.

Il tuo gruppo Facebook è sotto attacco hacker o noti movimenti strani? Chiedi ai nostri esperti un’analisi di sicurezza gratuita

L’unica soluzione per loro era lasciare il gruppo, e selezionare l’opzione “Impedisci di essere nuovamente aggiunto“. Che, tuttavia, è abbastanza nascosta e difficile da raggiungere.

Negli ultimi tempi, Facebook aveva inserito un piccolo strumento: gli admin potevano ancora aggiungere in massa gli amici, ma era possibile allegare un invito per motivare anche minimamente la partecipazione al gruppo.

Da adesso, le regole si sono fatte più stringenti: gli admin possono solamente “invitare” gli amici in massa, ma questi devono volontariamente confermare la volontà di aderire al gruppo.

La bufala della cancellazione

E tutto questo è perfettamente reale. Quello che è completamente inventato è invece il concetto per cui Facebook toglierebbe dai gruppi gli utenti già iscritti ma non attivi. Questo non ha alcuna conferma ufficiale.

In realtà si è vociferato di una operazione per “allenare” gli algoritmi di Facebook, ovvero capire meglio la partecipazione ai gruppi, ma è solamente una teoria. Il social network quindi non ha alcuna intenzione di avviare una operazione del genere.

Certo, per gli admin dei gruppi è comunque uno spunto di riflessione: capire quanti utenti sono davvero attivi e reattivi può essere utile. Tuttavia, non è necessario lanciare post disperati, o ultimatum ai propri utenti.

Come visualizzare gli utenti attivi del tuo gruppo Facebook

Nel pannello di amministrazione, esiste la voce “Dati statistici sul gruppo” e “Dettagli sulla interazione“. Qui troveremo un grafico che ci indica i membri attivi, ovvero quelli che hanno visualizzato, pubblicato, commentato o aggiunto una reazione nell’arco degli ultimi 28 giorni.

Nei dati statistici di Facebook, possiamo vedere gli utenti realmente attivi aggiornati agli ultimi 28 giorni

Per non cadere nelle bufale e fare la figura dei creduloni con i propri utenti, basta cercare conferma di qualsiasi novità nel blog ufficiale di Facebook.

E-commerce a norma di legge: tutti i requisiti legali e GDPR

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Mettere a norma un e-commerce è una operazione fondamentale. Sia per essere in regola e non avere problemi con eventuali multe a livello nazionale o europeo, ma anche per evitare problemi con i propri clienti e per dare una impressione di affidabilità ai propri consumatori.

In questa guida, Alground spiega nel dettaglio come mettere a norma un portale di e-commerce, con indicazioni precise di tutto quello che bisogna considerare e aggiungere al proprio sito.

E-commerce a norma di legge: i dati aziendali

Una delle prime cose da indicare sono i dati dell’azienda. È bene quindi segnalare:

  • La ragione sociale
  • La sede legale
  • Tutti i propri contatti mail e telefonici
  • La partita IVA
  • Il luogo dove risiedono i server che ospitano il sito web.

Sono informazioni che devono essere accessibili dalla Home page e da ogni pagina interna. Consigliamo quindi di posizionarli nell’header o, tradizionalmente, nel footer.

Per dare un’impressione di professionalità, sconsigliamo di inserire i numeri di cellulare, ma cercate di dotarvi di un numero fisso o meglio ancora di un numero verde 800.

Vuoi una mano ad indicare con esattezza i dati aziendali per essere a norma? chiedi ai nostri esperti!

Politica di spedizione e consegna

Una politica di spedizioni e consegne chiara e definita è assolutamente fondamentale. In questo modo, i clienti sanno cosa aspettarsi quando consegni i loro prodotti.

Sarà necessario specificare i tempi di consegna previsti, nonché il numero di tentativi che di solito il corriere fa per la consegna. Alcuni commercianti utilizzano sconti e promozioni sulla spedizione per incoraggiare una spesa media più elevata:ad esempio una spedizione gratuita per ordini superiori ai €30.

Rendere trasparenti le informazioni di spedizione sulle pagine e nei termini e condizioni evita l’insorgere di problemi con i clienti scontenti o particolarmente pignoli.

Questo significa infatti che i clienti hanno maggiori probabilità di comprendere i termini di spedizione che offri e in caso di controversie potrei dimostrare di essere a norma nella trasparenza della comunicazione di questi termini.

Politica di reso e rimborsi

I rimborsi su una parte importante del rapporto di fiducia con i clienti ed è fondamentale permettere il rimborso di un prodotto per cui il cliente è scontento.

È consigliabile essere piuttosto liberali nella politica di rimborso e tutti gli acquisti possono essere annullati entro i 14 giorni previsti dalla legge, e senza alcuna spiegazione. Per cui devono essere accettati per forza.

Tuttavia, puoi chiedere al cliente di pagare il costo di spedizione del reso e hai il diritto di aspettarti che la merce ti venga restituita in condizioni ottimali o perlomeno commerciabili.

Accettare che i rimborsi siano una parte naturale dell’azienda e rispondere prontamente alle richieste di rimborso, aiuterà ad avere clienti più contenti e che ordinano più spesso.

Segnala la tua pratica di rimborso in modo visibile sul sito e sicuramente nei tuoi termini e condizioni, in modo che gli acquirenti possono raggiungerla facilmente.

Dal momento in cui i clienti possono leggere e accettare questi termini e condizioni con facilità prima del loro acquisto, puoi dimostrare che abbiano avuto la possibilità fare un acquisto consapevole , e sarai avvantaggiato in caso di contestazione.

Lascia che i nostri consulenti compilino per te delle politiche di spedizione sicure. Chiedici un consiglio

Termini e condizioni di vendita

I termini e le condizioni con cui tuoi prodotti vengono venduti sono fondamentali per una serena attività.

Ci sono tante clausole che possono essere indicate in questa pagina, sia in virtù di necessità legali o per proteggere il commerciante nel processo di vendita. Questo è un elenco di alcuni elementi fondamentali che non dovrebbero mai essere dimenticati nei termini e condizioni di un e-commerce.

Informazioni sui prodotti
Le normative sui contratti con i consumatori stabiliscono che le informazioni sui prodotti devono essere chiare. I dettagli di contatto, la tua identità aziendale, la categoria di prodotti che vendi e il modo con cui puoi essere contattato da clienti deve essere cristallino.

Limitazioni di responsabilità
La responsabilità su quello che vendi deve essere limitata per evitare richieste future sull’utilizzo dei prodotti che potrebbero essere assolutamente irragionevoli.

Alcune limitazioni di responsabilità sono abbastanza ovvie, ad esempio nei prodotti deve essere indicata la garanzia oltre la quale non ci si può più rivolgere al venditore. Altre responsabilità che potrebbero essere collegate ai propri prodotti, specie se in teoria possono arrecare danno delle persone devono essere valutate da un esperto caso per caso.

E’ però assolutamente fondamentale che le limitazioni di responsabilità siano ben fatte per evitare cause legali future.

Chi paga per i rimborsi e i ritorni?
Restituire un prodotto è qualcosa di molto comune nell’e-commerce ed è molto utile che venga chiarito in anticipo come funziona il tuo processo di reso e chi dovrà sostenere i costi della spedizione di ritorno. Specificare questo nei termini e condizioni è un ottimo passo.

Scelta della giurisdizione.
In base a quali leggi sarà interpretato il contratto di vendita? l’e-commerce non può riferirsi solamente all’Italia, ma potrebbe vendere in tutta Europa o addirittura in tutto il mondo.

Chiarire quindi quali sono le leggi a cui è soggetto l’e-commerce è fondamentale per sapersi orientare in caso di problemi legali.

Termini di consegna
E’ utile indicare i termini di consegna o fare riferimento direttamente alla politica di spedizione se ne è disponibile una. Quando i clienti accettano i termini della consegna puoi risolvere innumerevoli problemi di supporto e richieste di rimborso semplicemente facendo riferimento ai termini e i processi stabiliti in questa pagina.

Termini e condizioni sono di norma abbastanza difficili da elaborare. Nei casi più semplici ci sono dei modelli precompilati, ma per progetti più complessi è meglio realizzare delle pagine personalizzate a cura di un esperto.

Protezione dei dati degli utenti

La protezione dei dati è un area della legge dove l’Europa si è molto spesa ultimamente. Se intendi raccogliere informazioni personali sui visitatori del tuo sito web, devi essere autorizzato ai sensi della legge e gestire i tuoi dati con molta delicatezza.

Di norma, per fare un esempio, non sei autorizzato a migrare le informazioni raccolte dai tuoi clienti o visitatori del tuo sito web fuori dall’Unione Europea e puoi conservare queste informazioni solamente per esigenze strettamente correlate all’erogazione del servizio.

Se un cliente chiede che le sue informazioni vengano rimosse dai tuoi archivi o che vengano modificate sei obbligato per legge a farlo.

La normativa europea GDPR

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La normativa recente è molto dura. Sotto questo aspetto è fondamentale anche la GDPR. Si tratta dell’ultima normativa europea: prevede che esista un titolare del trattamento dei dati, un responsabile del trattamento dei dati e addirittura ulteriori sotto responsabili.

Ci deve essere un documento aziendale che indica esattamente le procedure con cui tutti i dati vengono trattati e addirittura devono essere previsti dei metodi per reagire ad una perdita di informazioni.

Per quanto riguarda il sito internet deve comparire un banner in cui gli utenti devono dare il permesso al trattamento dei loro dati, divisi per categoria, devono dare consensualmente la loro autorizzazione la quale deve essere modificabile o ritrattabile in ogni momento.

L’adeguamento GDPR del sito di e-commerce è uno dei temi più caldi degli ultimi tempi.

Protezione della privacy dei tuoi clienti

La privacy online è un grosso problema in quanto molti siti di e-commerce raccolgono e conservano informazioni personali sui clienti. Alcuni dati personali che probabilmente otterrai saranno nome, indirizzo, email del cliente e addirittura la loro carta di credito o altri tipi di informazioni finanziarie.

In qualità di proprietario del sito è tua responsabilità garantire che queste informazioni di identificazione siano protette, quindi devi fornire una politica sulla privacy chiara e pubblicarla sul tuo sito web in maniera facilmente raggiungibile.

Devi indicare esattamente quali dati verranno raccolti, con chi condividerai le informazioni e come memorizzerai i dati.

Conformità con la pubblicità online

I proprietari dei siti di e-commerce devono conoscere le leggi applicabili per la pubblicità online. Una delle principali forme di promozione per un piccolo proprietario di e-commerce è la posta elettronica con cui tiene informati i propri clienti.

Quindi i proprietari devono familiarizzare con le leggi vigenti per evitare che il contenuto della mail sia classificato come posta indesiderata o spam. Ogni messaggio inviato dall’e-commerce, infatti, deve includere anche le informazioni per la disiscrizione e l’indirizzo email dell’azienda.

Tasse e imposte

L’e-commerce genera fatturato e quindi una tassazione. L’e-commerce dovrebbe avere integrati dei sistemi per la generazione di note di acquisto e di fatture che possano dimostrare gli acquisti e tutte le transazioni devono essere registrate, in accordo con il tuo commercialista.

Esistono diversi plugin per le più comuni piattaforme che generano una piccola contabilità e aiutano a creare i documenti fondamentali da presentare allo stato.

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Conformità PCI ai dati finanziari

Nel momento in cui gli utenti fanno i pagamenti on-line e ti danno i loro soldi, condividono inevitabilmente con te i loro dati finanziari. Per cui devi essere conforme alle regole PCI, acronimo di Payment Card Industry, ed è uno standard da seguire nel momento in cui memorizzi, elabori e trasmetti i dati delle carte di credito.

Il PCI è un’organizzazione fondata da alcune istituzioni finanziarie fra cui MasterCard e Visa, che è responsabile dello sviluppo e dell’implementazione di standard di sicurezza per la protezione dei dati dell’account.

Esistono numerose iniziative di sicurezza come l’utilizzo di un firewall sul sito, misure di autenticazione più forti e sistemi di rilevamento delle intrusioni in rete. Lo standard PCI è suddiviso in 6 punti cardine, con una serie di requisiti da soddisfare in ogni fase.

Diffamazione online. Cos’è, come funziona, cosa si rischia

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La diffamazione online è un tema particolarmente delicato che riguarda tutto il mondo delle informazioni.

Dal punto di vista della giurisprudenza, si tratta di un argomento davvero importante, in quanto è necessario garantire che le persone siano protette da informazioni sbagliate o vere e proprie calunnie nei loro confronti.

Inoltre, molto spesso, le vittime di diffamazione non hanno un accesso ai mezzi di informazione tale da poter segnalare il problema in maniera adeguata ed è estremamente difficile per loro ottenere una rettifica.

Quand’anche si ottenesse la rettifica stessa non è assolutamente certo, anzi quasi mai accade, che vengano cancellati o annullati gli effetti della diffusione di quella informazione.

Il legislatore, quindi, deve assolutamente intervenire in questo senso, tramite delle norme precise. Anche perché un sito o un grande portale che pubblica un’informazione sbagliata è in grado di raggiungere una quantità di persone che recepiscono quel dato e lo considerano come vero enormemente superiore a quanto può fare la vittima, che, non avendo la stessa forza comunicativa, si trova straordinariamente svantaggiata nel diffondere una eventuale smentita.

E’ poi da considerare che molto spesso la diffamazione viene eseguita di proposito. I media che sono palesemente legati ad una parte politica sanno che un’informazione contro il proprio avversario non diminuirà la reputazione nei confronti dei loro lettori, ma al contrario li renderà più fedeli, per cui delle notizie distorte o false che colpiscono gli avversari sono perfettamente accettate e anzi ricercate senza tanti scrupoli.

Esiste quindi, in linea generale, una fortissima asimmetria tra il calunniatore o il diffamatore e il calunniato o diffamato che ha la necessità di difendersi.

Cos’è la diffamazione? definizione

In internet il problema viene percepito in maniera ancora più immediata per cui la legge deve intervenire in maniera abbastanza dura. Ai sensi dell’articolo 595 cp, la diffamazione avviene quando si comunica con più persone e questa informazione lede la reputazione altrui. Un reato che viene punito con la reclusione fino ad un anno o con una multa fino a €1032.

Pene e sanzioni

Se l’offesa è relativa alla attribuzione di un fatto ben determinato, la pena della reclusione arriva fino ai 2 anni e la multa fino a €2065. Nel caso in cui l’offesa fosse recata attraverso il mezzo stampa o con una qualsiasi forma di pubblicità, ovvero ci sia di mezzo un atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni, oppure la multa non è inferiore a €516.

L’articolo 596 bis cp, diffamazione a mezzo stampa, dispone inoltre, che se il reato viene commesso attraverso il mezzo della stampa lo stesso trattamento sanzionatorio, diminuito in misura non eccedente un terzo, viene applicato anche al direttore o vice direttore responsabile, così come anche all’editore e allo stampatore, in quanto questi sono soggetti tenuti ad esercitare un controllo sul contenuto che viene pubblicato e dunque condividono una responsabilità in caso di diffamazione.

Cosa si intende per reputazione?

Il bene giuridico che viene tutelato in questo caso è la reputazione. La Suprema Corte di Cassazione ha precisato che l’oggetto della tutela deve essere la salvaguardia dell’integrità morale della persona indicata anche come stima diffusa nell’ambiente sociale o ambiente professionale.

In altre parole, si tratta dell’opinione che gli altri hanno del suo onore e del suo decoro. Sotto questo aspetto vi sono altre definizioni abbastanza interessanti. La reputazione può essere definita anche come stima che una persona è riuscita a conquistarsi presso le altre persone, ma anche come rispetto sociale minimo di cui ogni persona ha diritto, a prescindere dalla buona o cattiva fama che derivi dalla sua condotta.

Chi è responsabile di diffamazione?

Il soggetto attivo è l’autore dello scritto dal contenuto diffamatorio. Inoltre anche il direttore del periodico è responsabile nel momento in cui, sapendo perfettamente del potenziale offensivo delle parole utilizzate in un articolo, abbia ugualmente autorizzato la pubblicazione ai sensi dell’articolo 57 bis CP.

Le disposizioni si applicano nel caso di stampa non periodica, all’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, e lo stampatore, se l’editore non è indicato o non è imputabile.

Nel reato di diffamazione, anche online, non è necessario dimostrare, come si dice, l’Animus diffamandi. Ovvero non è necessario che si dimostri che la persona aveva la specifica intenzione di diffamare un’altra. Basta semplicemente il fatto, che parla da solo.

La diffamazione avviene solo se cito nome e cognome esplicito?

Quanto al soggetto della diffamazione esso, di norma, deve essere indicato chiaramente. Ma non solo. Molto spesso gli autori delle diffamazioni cercavano di difendersi asserendo che le informazioni non erano indicate contro una persona specifica, nome cognome, ma solamente in maniera generica.

Sei stato diffamato? la tua reputazione è a rischio? chiedici aiuto, interveniamo in 24h

In realtà la giurisprudenza ha smentito questa forma di difesa. Il soggetto, nel momento in cui ci sono dei riferimenti inequivoci a fatti e circostanze che possono essere a lui attribuiti in maniera precisa, è comunque considerata direttamente offesa, anche se non è stata indicata nominalmente con precisione. Ovvero, se la sua individuazione è agevole e certa, la diffamazione c’è comunque.

La diffamazione riguarda solo le persone fisiche?

Il reato può anche riguardare persone defunte e in questo caso gli eredi sono legittimati a procedere. La diffamazione invece non vale se viene pronunciata o scritta nei confronti di una categoria di persone, anche se limitata dallo scarso numero. Ad esempio offendere la categoria dei macellai non può portare ad una denuncia cumulativa da parte dei macellai della propria città.

Inoltre possono essere considerate vittime non solamente le persone fisiche ma anche quelle giuridiche, quindi le società, le assicurazioni e le fondazioni.

La diffamazione è un reato cosiddetto istantaneo, che avviene quindi immediatamente nel momento in cui c’è una comunicazione con più persone che lede la reputazione di una persona non presente.

La distanza è irrilevante. Se l’informazione viene scambiata con persone a grande distanza ma questi ne vengono completamente a conoscenza, la diffamazione si verifica ugualmente. La Suprema Corte di Cassazione ha infatti confermato che il reato di diffamazione si consuma nel momento in cui viene ricevuto il messaggio diffamatorio da parte di terzi, in quanto non è un reato fisico ma avviene sul piano psicologico.

Quando vi è diritto di cronaca e quando diffamazione?

Ovviamente una parte importante nel giudicare la diffamazione online è l’esercizio del diritto di cronaca, che è sancito dalla costituzione e che protegge coloro che diffondono le informazioni.

Secondo la Cassazione il diritto di cronaca viene esercitato in maniera legittima nel momento in cui vengano rispettate alcune condizioni precise.

Innanzitutto la verità delle notizie. Se una notizia è vera in maniera oggettiva, o in maniera putativa, in quanto viene ad esempio da un organismo statale che per definizione dovrebbe dire la verità, la diffamazione non sussiste.

Il secondo requisito è la cosiddetta “continenza“, ovvero la mancanza di termini palesemente irritanti e offensivi e un tono generalmente irrispettoso.

Il terzo, molto importante, è la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione. In questa sede il giornalista ha un’importanza fondamentale in quanto ha il compito di verificare che le fonti siano attendibili e che le notizie che comunica siano corrispondenti a una verità sostanziale dei fatti narrati.

Anche quando i fatti vengono dichiarati da altri e questi vengono riportati testualmente, e queste dichiarazioni hanno un contenuto che lede la reputazione altrui, il problema sussiste lo stesso. Mentre invece se il giornalista, svolgendo un lavoro di osservatore imparziale, riporta delle dichiarazioni di carattere offensivo pronunciate dal proprio intervistato nei confronti di altri ma questo presenti i profili di interesse pubblico che prevalgono sulla posizione soggettiva del singolo intervistato, questo giustifica il diritto di cronaca.

Quando parliamo di verità oggettiva della notizia infatti vi sono due accezioni. Possiamo considerarlo come la verità di un fatto che viene raccontato da una notizia, ma anche come informazione che viene riportata che abbia un interesse pubblico.

Un esempio pratico: se un politico ruba dei soldi, la notizia ha tutto il diritto di essere diffusa. Se un suo avversario lo accusa di avere rubato dei soldi, questo, indipendentemente se corrisponda a verità, è comunque un fatto di interesse pubblico. E dunque ha diritto ad essere pubblicato, e il presunto ladro potrà citare in giudizio il suo avversario politico, non il giornalista che ha riportato la sua posizione.

Per diffamazione si intende solo pubblicare notizie false?

Il giornalista rischia non solo nel momento in cui diffonde una notizia falsa o non verificata nella sua interezza, ma anche quando vi è una parziale e colpevole negligenza. Una “mezza verità“, ovvero un racconto incompleto che distorca il risultato finale, viene equiparato alla scrittura di una notizia falsa.

Il giornalista inoltre non può ricorrere a metodi di comunicazione che facciano capire significati fra le righe. Ad esempio virgolettare delle parole per far comprendere che il loro senso è diverso da quello puramente letterale.

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Altresì vietato realizzare degli “accostamenti suggestionanti”, ovvero accostare dei concetti che mettono in cattiva luce una determinata persona.

Non è nemmeno possibile fare insinuazioni attraverso delle frasi specifiche come ad esempio: “Non si può escludere che…” in assenza di seri indizi e non ci si può appellare al fatto di avere utilizzato esclusivamente periodi ipotetici.

Anche i toni enormemente scandalizzati, specie nella titolazione, vengono registrati come atteggiamento diffamatorio.

La diffamazione online è diversa da quella cartacea?

Il legislatore, nonostante l’evidente diffusione di servizi telematici ed informatici e la loro preponderanza nella società moderna, non ha ritenuto di modificare o integrare la normativa dei reati contro l’onore.

Infatti sia la dottrina che la giurisprudenza sono ormai pienamente in accordo che il concetto di stampa include ogni tipo di prodotto e di piattaforma idonea. Alla diffusione delle informazioni inoltre, con la dicitura “altri mezzi di pubblicità” vengono inclusi tutti i mezzi divulgativi e quindi evidentemente anche internet.

Il reato di diffamazione online si consuma anche se la comunicazione di un dato falso e la percezione da parte di altre persone non sono contemporanee e contestuali ma asincrone nel tempo. Per cui l’utilizzo di internet rientra perfettamente nell’articolo 595 comma 3 del Codice Penale, quello di “offesa recata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”.

I direttori di giornali online e blog hanno qualche responsabilità?

In internet un problema di primaria importanza è quello relativo alla individuazione dei soggetti responsabili di una diffamazione e dell’illecito. Storicamente il principio costituzionale è che la responsabilità penale è ovviamente personale, per cui il primo responsabile, è colui che ha svolto in prima persona la diffamazione.

Tuttavia esistono delle figure intermedie che avrebbero dovuto vigilare e che potrebbero essere state negligenti. Si parla di “Culpa in vigilando“, che viene di solito riferita ai gestori dei siti internet sui quali vengono perpetrate le violazioni. Con gli articoli 57 e 57 bis del codice penale, ad esempio, i gestori di un sito internet sono stati equiparati ai responsabili editoriali di un classico mezzo stampa, per cui anche questi hanno l’obbligo di verificare la legittimità di tutto il materiale che viene pubblicato sul proprio server, compreso quello che è stato scritto da terzi.

Secondo questo tipo di approccio, nel momento in cui viene svolto un illecito per diffamazione on line, il gestore del sito sarebbe corresponsabile per aver mancato nella vigilanza.

Tuttavia questa teoria è stata notevolmente contestata, in quanto il mezzo di comunicazione telematico è decisamente peculiare. Internet non può essere equiparato al 100% alla stampa tradizionale, per cui questo aspetto della diffamazione online è stato mano mano cambiato e la responsabilità penale dei gestori di siti internet, al giorno d’oggi, tende ad essere diminuita.

In particolare non vengono più considerati come “corresponsabili” nell’aver commesso l’illecito, ma al massimo possono essere considerati come “concorrenti” nel reato ex articolo 110 del Codice Penale. Il codice penale, al giorno d’oggi, parla infatti preferibilmente di “omesso impedimento” dell’evento.

Un caso concreto di omesso impedimento di un reato commesso da altri, è quello della sentenza del tribunale di Aosta del maggio del 2006, in cui il gestore di un blog venne equiparato come responsabilità a quella del direttore responsabile di un prodotto cartaceo.

Se la diffamazione è avvenuta all’estero?

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Le informazioni e le immagini che vengono pubblicate su internet sono potenzialmente raggiungibili da qualsiasi parte del mondo e dunque l’individuazione del luogo dove è stato consumato il reato è piuttosto problematica.

È chiaro che se il delitto viene consumato su un server situati in Italia, è relativamente facile individuare la territorialità del reato e dunque la giurisdizione. Anche se il server viene situato all’estero ma l’agente che perpetra il reato opera in Italia, la situazione è sostanzialmente invariata.

Ma quando chi commette diffamazione online opera all’estero assieme al suo server, la situazione si complica. Secondo una prima interpretazione di una parte della giurisprudenza, quando la diffusione della diffamazione è avvenuta all’estero anche la consumazione della stessa deve essere avvenuta all’estero, o perlomeno si deve ritenere tale.

Per cui ad esempio un messaggio che viene diffuso su un sito internet dall’estero, anche se è leggibile in Italia, è da considerarsi come un delitto avvenuto fuori dai confini nazionali.

Ma la Cassazione, già nel 2000, ha smentito questa interpretazione. Si tratta infatti non di un evento puramente fisico, ma soprattutto psicologico, perché va a toccare la percezione della reputazione di un terzo. E in questo caso il reato non si consuma nel momento in cui viene diffuso il messaggio offensivo ma specificatamente nel momento in cui viene percepito da terzi, escludendo il diffamatore e il diffamato.

E specie in internet, questo è ancora più comprensibile e vero. In un primo momento avviene l’inserimento sul web di scritti o contenuti denigratori da parte del diffamatore, ma solo successivamente, anche se a distanza di pochi minuti, avviene la fruizione da parte di altri utenti.

Per cui il reato si considera commesso nel territorio italiano quando anche solo una parte dell’azione e della percezione diffamatoria sia avvenuta nel nostro paese. Si tratta della cosiddetta “teoria dell’ubiquità”, per cui una diffamazione iniziata all’estero, ma che si conclude con la percezione nel nostro paese, viene punita secondo le leggi dello Stato italiano.

Come raccolgo prove legalmente valide di una diffamazione online?

Un altro elemento molto importante nella diffamazione on line è quello di capire come possono essere raccolte le prove con valore processuale di uno scritto o immagine o filmato diffamatorio.

Dal momento che la pagina web incriminata potrebbe essere stata benissimo cancellata il problema sussiste. Le informazioni sul web, per loro natura, sono particolarmente volatili e anche se vengono cancellate il danno prodotto rimane.

Bisogna quindi fornire un contenuto e una data di pubblicazione certa. Per questo motivo le prove legalmente valide sono quelle che creano una copia della pagina web, per bloccarne il contenuto in un preciso momento temporale

Il documento informatico è considerato valido nel momento in cui viene raccolto in conformità con delle tecniche precise. Anzitutto la copia conforme della pagina web può essere eseguita da un notaio o da un consigliere o segretario comunale che possa registrare la pagina web e nominare la copia autentica.

In particolare il notaio dovrà eseguire una copia precisa di tutte le informazioni che sono state visualizzate, indicare quale browser è stato utilizzato, quale ora è stata registrata ed eventuali certificati di sicurezza che sono attivi sull’indirizzo URL della pagina.

Tutti i file devono avere una firma digitale, in modo da essere associati in maniera univoca, e il materiale nella sua complessità deve essere raccolto, ad esempio tramite formato zip, con una ultima firma digitale complessiva.

Ovviamente nel caso della copia cartacea potrà essere registrato solo il contenuto statico: in questo caso bisognerà precisare il sito internet, il browser utilizzato e la data e l’ora in cui la copia viene prodotta.

Nel caso in cui la diffamazione non venga registrata con delle modalità richieste dalla giurisprudenza, la copia potrà avere un valore indicativo ma la sua efficacia di prova in un eventuale processo sarà minima.

Come devono essere pubblicate smentite e correzioni?

Un testo particolarmente completo per disciplinare la diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di diffusione, quindi internet, risale al lontano 2004. Questo testo cercava di stabilire delle nuove soluzioni per equilibrare la manifestazione libera del pensiero e del diritto di cronaca con la difesa della reputazione e delle identità della singola persona.

In questo documento, tutte le disposizioni sulla stampa cartacea vengono allargate anche ai siti internet. Inoltre vengono stabilite delle regole con cui eseguire delle smentite o delle correzioni. Ad esempio tutte le trasmissioni radiofoniche o televisive devono annunciare una smentita o una rettifica nella stessa fascia oraria in cui è stata diffusa la prima notizia, mentre i siti informatici devono utilizzare delle caratteristiche grafiche simili entro 48 ore dalla richiesta.

Inoltre il giornale deve pubblicare la rettifica senza aggiungere commenti della redazione, ma tal quale proveniente dalla parte lesa.

Cosa rischi se insulti Salvini? Le offese che puoi (e non puoi) dirgli

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Cosa rischi ad insultare Matteo Salvini sui social? e più in generale che succede a livello legale se offendi violentemente un qualsiasi politico e quest’ultimo decide di darti una lezione? Scopriamo insieme tutti i rischi legalidi mettersi contro un politico, e dov’è il limite tra la libertà di espressione e la diffamazione online.

Inutile che fai lo gnorri

Immaginiamo che in un momento di rabbia ti siano usciti degli insulti pesanti sulla pagina Facebook di Salvini o della Boldrini. Togliamo di mezzo la più elementare forma di difesa: “Ma io non dicevo a lui!”.

Ci dispiace, ma non funziona. La diffamazione online non si verifica solamente quando si cita esplicitamente il nome e il cognome della persona. Se vi è un legame diretto, e ci sono degli elementi che permettono una chiara e logica identificazione, il risultato è lo stesso.

Per cui scrivere “Matteo Salvini, sei uno stronzo!” o commentare sotto la sua pagina Facebook o Instagram “Stronzo!” fa lo stesso. E’ ovvio a chi ti rivolgevi.

Non funziona nemmeno rimanere sul vago, in quanto i legami logici sono sempre gli stessi. Se vai sul profilo Twitter di Salvini a scrivere: “Quando i pezzi di merda si trovano in difficoltà, diventano ancora più stronzi”, sei ugualmente perseguibile. Appellarsi a citazioni, massime o discorsi filosofici generali, non ti salva. Ccà Nisciuno è Fesso. 

Opinioni e critiche sono sicure

Il vero punto di riferimento sta nel contenuto di quello che hai detto. Innanzitutto, nel momento in cui esprimi una opinione, un giudizio, una interpretazione dei fatti, anche con toni forti e accesi, con prese in giro o con un tono seccato e abbastanza volgare, non sei passibile di nulla.

In questo caso entra in gioco, per fortuna, il diritto di esprimere la propria opinione nell’art. 19 della Costituzione. Un esempio pratico: “Salvini ha venduto l’Italia ai poteri forti, e tradendo in maniera schifosa i propri elettori, si accanisce con gli immigrati anzichè affrontare i veri problemi. E’ un bullo di quartiere che in realtà non sa che cazzo fare”.

In questo caso, non sei assolutamente perseguibile.

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Insulti… ma al suo operato

Passiamo agli insulti veri e propri. Qui esiste ancora una intera categoria di ingiurie assolutamente “possibili”. Si tratta di quelle parolacce che si rifanno in maniera diretta ed evidente alla persona, ma in relazione al suo operato come politico. Ovvero al suo lavoro svolto nei confronti della comunità.

Esempio pratico: anni fa un passante urlò “Buffone!” a Silvio Berlusconi, e questo lo querelò. Il cittadino cercò di salvarsi dicendo che aveva urlato “Puffone!” in relazione alla bassa statura del leader di Forza Italia.

Al processo ovviamente questa difesa si rivelò inutile, ma la Corte di Cassazione lo salvò: buffone era un insulto riferito al suo operato come politico, e dunque rientrante nel diritto di critica.

Per cui, insulti come “Falso!” oppure “Bugiardo!”, “Doppiogiochista!” “Traditore”, sono assolutamente consentiti. Un franco tiratore che durante una votazione per un candidato del PD dovesse dare la sua preferenza ad un leghista, potrebbe essere chiamato “Traditore” e “Giuda” senza nessun problema legale.

Così come un politico che dovesse incassare dei soldi che aveva promesso di non accettare, può essere chiamato “Bugiardo!” “Ipocrita!”, in assoluta sicurezza.

Sì, sappiamo che lo state pensando e vi diamo subito la risposta. Dare del “Razzista” a Salvini si può, perchè si tratta nuovamente di un giudizio sul suo lavoro come politico, e nessuno può farvi niente.

Insulti legati ad un reato

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Qui invece, le cose cominciano a cambiare. Nel momento in cui un insulto ad un politico, si riferisce ad un fatto illecito che avrebbe commesso, la situazione è più delicata.

Se dite a Salvini: “Ladro!” lo state accusando di aver rubato del denaro. Ovvero un reato. Se gli dite: “Mafioso” o “Criminale!”, gli state dicendo che appartiene o collabora con una associazione a delinquere. In questo caso, dunque si configura in pieno il reato di diffamazione.

Potete salvarvi solo in un caso: se state dicendo la verità. E ovviamente non si deve trattare della vostra idea o di un qualcosa di “evidente” per voi. Ci deve essere una sentenza passata in giudicato.

Per cui se volete dire “La Lega è fatta di ladri, avete rubato 46 milioni di euro ai contribuenti, siete dai farabutti e truffatori!” eravate a rischio prima del luglio 2018. Mentre dopo la sentenza del tribunale di Genova, che ha condannato Bossi e Belsito per truffa ai danni dello Stato, potete ben dirlo. 

In linea generale, qualora doveste avere problemi con insulti di questo tipo, dovete sempre avere la possibilità di dimostrare la veridicità di quanto affermato, perchè in un eventuale processo, sarebbe a vostro carico l’onere di dimostrare la verità a supporto delle vostre affermazioni o insulti.

Insulti gravi e minacce

Non c’è invece proprio nulla da fare nel caso in cui gli insulti siano molto gravi, e siano completamente scollegati dall’operato del politico, ovvero offese completamente gratuite.

Per “Pezzo di merda!” “Coglione, figlio di troia!”, non c’è alcuna possibile difesa. Stessa cosa vale per le minacce: “Boldrini, brutta puttana, devi morire bruciata!” o “Salvini maledetto, ti aspettiamo a piazzale Loreto per ammazzarti come Mussolini”.

Qui siete completamente dalla parte del torto. Se avete scritto da qualche parte commenti del genere, è davvero conveniente eliminarli subito.

Se non lo fate il politico può colpirvi per due motivi. O perchè avete un passato di dure contestazioni e di attività militante ai limiti della violenza, per cui venite considerati potenzialmente pericolosi, o per darvi una lezione dimostrativa, per il vecchio detto: “Colpirne uno per educarne cento“.

E la cosa avviene davvero. Qualche mese fa, Alessandro M. di Bologna criticò aspramente la Boldrini in termini fuori dalla legge, e si ritrovò la polizia postale a casa. In quel caso si salvò con delle scuse pubbliche.

In linea generale, il politico può denunciarvi e in quel caso si attiva la polizia postale, che vi trova. Non crediate di non essere identificati cambiando nome o chiudendo l’account Facebook. Se vogliono trovarvi vi trovano.

In quel caso, la polizia postale vi persegue per il reato 595 del codice penale.

Chiunque comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.

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Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (ovvero Internet), ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

Un bug di Twitter ha reso leggibili i tweet privati ​​degli utenti Android per 4 anni

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Twitter ha ammesso che il social network ha reso leggibili per sbaglio al pubblico i tweet protetti da utenti che usavano Android per più di 4 anni – una sorta di “errore” di privacy che normalmente ti aspetti da Facebook.

Quando ti iscrivi a Twitter, tutti i tuoi Tweet sono pubblici per impostazione predefinita, consentendo a chiunque di visualizzare e interagire con i tuoi contenuti. Twitter però ti dà anche il controllo delle tue informazioni, permettendoti di scegliere se vuoi mantenere i tuoi tweet protetti.

HAI UN PROBLEMA CON LA PRIVACY O LA REPUTAZIONE PERSONALE O DELLA TUA AZIENDA? CONTATTACI

In un post sul suo Centro assistenza, Twitter ha rivelato un bug sulla privacy risalente al 3 novembre 2014, utilizzabile verso l’app Twitter per Android, che permetteva di disabilitare l’impostazione “Proteggi i tuoi tweet” ad insaputa degli utenti, rendendo visibili i loro tweet privati al pubblico.

Il bug è stato trovato solo per quegli utenti Android che hanno apportato modifiche alle impostazioni del proprio account Twitter, come cambiare il proprio indirizzo email o numero di telefono associato al proprio account, utilizzando l’app Android tra il 3 novembre 2014 e il 14 gennaio 2019.

Pare che il 14 gennaio 2019, Twitter abbia rilasciato un aggiornamento per l’applicazione Android per correggere l’errore di programmazione.

Sebbene Twitter non abbia specificato esattamente quanti utenti Android siano stati interessati da questo problema, 4 anni sono lunghi ed è probabile che la maggior parte degli utenti abbia modificato le impostazioni del proprio account almeno una volta in quel periodo.

Twitter ha detto che la società ha avvisato gli utenti che sa essere stati colpiti dal bug della privacy.

Ma dal momento che Twitter “non può confermare di aver trovato tutti gli account che potrebbero esserne stati influenzati”, se si utilizza Twitter tramite app Android e i tuoi tweet sono protetti, è sicuramente una buona idea accedere alle impostazioni di “Privacy e sicurezza” della tua app e ricontrollare le impostazioni per assicurarsi che “Proteggi i tuoi tweet” sia abilitato.

Gli utenti desktop e iOS possono tirare un sospiro di sollievo, poiché non sono stati influenzati dal bug.

La rivelazione del bug di Twitter è arrivata nel momento in cui il social network è già sotto inchiesta dell’Unione europea per violazione delle nuove regole generali sulla regolamentazione della protezione dei dati (GDPR).

La nuova legge conferisce ai cittadini europei il diritto di richiedere i propri dati personali alle aziende, ma quando Twitter ha respinto la richiesta di un ricercatore per i dati relativi al proprio servizio URL breve, l’Irish Data Protection Commission (DPC) ha avviato un’indagine.

Sembra che il DPC sia anche a conoscenza dell’ultimo bug sulla privacy nell’app Twitter per Android e, secondo Bloomberg , la commissione sta attualmente esaminando la questione.

ES File Explorer ha un server Web nascosto. Dati a rischio di 500 milioni di utenti

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Quando si cerca un file explorer per Android, ES File Explorer è senza dubbio una delle applicazioni più popolari. Purtroppo è stato scoperto che ES File Explorer ha un server Web nascosto in esecuzione in background e che i dati degli utenti siano accessibili a chiunque disponga di uno script semplice.

Robert Baptiste, un ricercatore di sicurezza francese, famoso per aver scoperto vulnerabilità in siti Web e app, ha analizzato l’app per l’esplorazione di file.

Ha dimostrato anche attraverso un video, come è possibile carpire dei dati scrivendo un semplice script. È riuscito a esportare immagini, nomi di app installate sul dispositivo Android, video e persino i file installati sulla scheda di memoria montata

Tuttavia, per estrarre i dati, l’autore dell’attacco deve trovarsi sulla stessa rete del tuo dispositivo, il che significa che non è una vulnerabilità che potrebbe essere sfruttata da chiunque su Internet. Però, la porta aperta potrebbe essere sfruttata da qualsiasi app dannosa che disponga delle autorizzazioni di rete richieste.

ES File Explorer non ha ancora risposto sulla vulnerabilità. È preoccupante notare che l’app ha più di 500 milioni di download su Google Play Store.

Con sempre più app Android che di nascosto cercano di carpire dati, è responsabilità del Play Store assicurarsi che i dati degli utenti rimangano al sicuro, soprattutto dalle app che potrebbero accedere ai file memorizzati sul dispositivo.

Decine di certificati HTTPS .gov scadono, pagine web offline a causa dello shutdown del governo di Trump

Secondo i servizi Internet biz Netcraft, oltre 80 certificati TLS utilizzati sui siti web .gov (siti dello Stato Usa) sono scaduti e non sono stati rinnovati.

Ciò ha causato l’impossibilità di accedere a un gruppo di siti .gov protetti da HTTPS . Nel frattempo, alcuni siti, come NIST.gov , sono stati ridimensionati a causa del blocco dei finanziamenti.

Non tutti questi certificati TLS sono scaduti da quando l’impasse sul budget è diventato attivo il 22 dicembre 2018. Ad esempio, un sito Web del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha un certificato TLS dal registrar web Go Daddy che è scaduto il 17 dicembre 2018.

Ma altri siti web hanno certificati scaduti più recentemente come il sito web del test Rocket della NASA , che è scaduto il 5 gennaio 2019. Il sito web di Lawrence Berkeley Lab è scaduto l’8 gennaio 2019.

A causa dei certificati scaduti, i visitatori potrebbero avere difficoltà ad accedere ai siti Web interessati o essere avvisati dai messaggi di allerta del browser.

In teoria, osserva Netcraft, il supporto per HTTP Strict Transport Security ( HSTS ) nei browser moderni dovrebbe impedire agli utenti di visitare siti web con certificati non validi. Ma poiché molti siti web governativi non implementano correttamente l’HSTS, i visitatori di questi siti mal configurati saranno comunque in grado di bypassare gli avvisi, aumentando la possibilità di attacchi man-in-the-middle.

La parziale chiusura del governo nasce dall’insistenza del presidente Trump dopo che il Congresso ha approvato un budget nazionale che include  5,7 miliardi di dollari per il muro di confine che in precedenza doveva essere pagato dal Messico. I democratici ora sotto il controllo della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti hanno respinto il piano di Trump, e al momento non c’è alcun evidente interesse per un compromesso. Di conseguenza, si prevede che circa 400.000 dipendenti del governo federale continueranno a lavorare senza retribuzione, e altri 400.000 sono a casa, non retribuiti, in quanto ritenuti non essenziali.

Molte le agenzie governative che limitano le operazioni, compresi i dipartimenti dell’agricoltura, del commercio, della salute, la sicurezza nazionale, l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano, l’interno, la giustizia, i trasporti e il tesoro, per non parlare dell’agenzia di protezione ambientale.

Il mese scorso si è attivato il congelamento dei finanziamenti e il DHS ha emanato le linee guida per l’interruzione del lavoro dichiarando che solo 2008 dei 3.531 dipendenti della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA) di recente costituzione sarebbero rimasti attivi in ​​assenza di finanziamenti. Ciò significa che molti lavori di sicurezza IT saranno lasciati incompiuti. Mentre uno staff rimane attivo presso il NIST per mantenere il database delle vulnerabilità nazionali e i server in esecuzione, la maggior parte dei dipendenti è stata rimandata a casa e il sito web è stato ridotto, ostacolando in qualche modo la ricerca sulla sicurezza.

L’FBI Agents Association, un gruppo che rappresenta quasi 13.000 agenti speciali dell’FBI in servizio attivo, ha inviato una petizione alla Casa Bianca e ai leader del Congresso per avvertire dell’impatto della chiusura dell’agenzia nazionale di polizia. Sebbene alcuni agenti continuino a lavorare, anche se non retribuiti, migliaia di colleghi impiegati rimangono a casa, le loro risorse e indagini sono quindi bloccate.

Il problema pare che non si risolverà molto presto ed aggraverà la situazione molto delicata della sicurezza nazionale Usa.

Il motivo per cui Facebook fa quel che vuole. Sei un vigliacco

I social network hanno capito perfettamente come imbrigliare, illudere e schiavizzare gli utenti di internet. Facendo leva su tante cose, fra cui l’essere vigliacchi e prendersela con i più piccoli, specie quando riguarda la privacy.

Prendiamo una persona che si iscrive a Facebook. Nel corso degli anni cosa è successo? Hanno cambiato improvvisamente tutte le mail registrate con l’indirizzo @facebook, e nessuno si è sognato di lamentarsi. Perchè tanto con chi ti lamenti? telefoni a Palo Alto biascicando inglese maccheronico per farti rispondere da una indiana che devi usare il modulo?

Hanno modificato le regole di privacy a loro completo piacimento, ad esempio hanno deciso di punto in bianco che tutto quello che posti tecnicamente può essere venduto e distribuito a chi pare a loro, ma addirittura è legalmente di loro proprietà intellettuale. E i paladini della giustizia e dei diritti degli autori, tutti muti: se provi a copiare la canzone di un cantautore, o riprodurre delle foto d’autore su un blog ti arrivano minacce, mail, denunce e citazioni.

La cosa più irritante e paradossale è quando si scopre che i dati privati sono stati rivenduti a qualcuno. L’ultimo esempio, quello di Cambridge Analytica. Se si andava a leggere i post sull’argomento, o nelle discussioni, trovavi il solito fatalista che diceva: “Se li tengano i miei dati, ci possono fare quello che vogliono!”. Tanto a lui non importa.

Poi se arriva l’azienda del milanese o del bresciano che fa la stessa cosa, o magari il tuo numero viene girato alle agenzie che ti vogliono piazzare Fastweb, si scatenano i registri delle opposizioni, i giureconsulti, le interrogazioni, le telefonate al responsabile del trattamento dei dati, le mail in copia al Garante della Privacy.

Per non parlare dell’utilizzo della propria casella di posta elettronica. LinkedIN, per citare anche un altro social, ha palesemente fatto e disfatto con le mail, con i contatti, quelli che gli pareva. E’ entrato nelle mail, ha rubato gli indirizzi, ha collegato i nominativi. E la cosa si sa: chi legge minimamente giornali online di tecnologia ogni tanto se ne accorge. E nessuno che si permetta di dire qualcosa, che cambi la password. Lo zero cosmico. Poi magari una piccola web agency che lancia il softwerino per raccogliere mail e ti invia un po’ di spam, diventa il diavolo.

Non solo mail di risposta, ma denunce varie. E’ stato attivo, e probabilmente lo è ancora, un giustiziere pazzo che nei vecchissimi newsgroup di Google, prendeva ogni mail in arrivo, estraeva il nome dell’azienda e del mittente e sputtanava online il suo riferimento, chiamandolo spammer. Un mezzo maniaco che guadagnerà due lire con cause e causette con il Garante, e figurati se si è mosso per i social network.

La verità, molto spesso, è che i social network possono fare e disfare quello che vogliono, perchè sono gli utenti ad essere dei vigliacchi. Esattamente come i politici, che approfittano consapevolmente del fatto che siamo bravi ad abbaiare con i più deboli, ma ci facciamo allegramente fregare dai grossi. Anzi, li difendiamo pure. Ecco svelato l’arcano.