Cosa rischi se insulti Salvini? Le offese che puoi (e non puoi) dirgli

Cosa rischi ad insultare Matteo Salvini sui social? e più in generale che succede a livello legale se offendi violentemente un qualsiasi politico e quest’ultimo decide di darti una lezione? Scopriamo insieme tutti i rischi legalidi mettersi contro un politico, e dov’è il limite tra la libertà di espressione e la diffamazione online.

Inutile che fai lo gnorri

Immaginiamo che in un momento di rabbia ti siano usciti degli insulti pesanti sulla pagina Facebook di Salvini o della Boldrini. Togliamo di mezzo la più elementare forma di difesa: “Ma io non dicevo a lui!”.

Ci dispiace, ma non funziona. La diffamazione online non si verifica solamente quando si cita esplicitamente il nome e il cognome della persona. Se vi è un legame diretto, e ci sono degli elementi che permettono una chiara e logica identificazione, il risultato è lo stesso.

Per cui scrivere “Matteo Salvini, sei uno stronzo!” o commentare sotto la sua pagina Facebook o Instagram “Stronzo!” fa lo stesso. E’ ovvio a chi ti rivolgevi.

Non funziona nemmeno rimanere sul vago, in quanto i legami logici sono sempre gli stessi. Se vai sul profilo Twitter di Salvini a scrivere: “Quando i pezzi di merda si trovano in difficoltà, diventano ancora più stronzi”, sei ugualmente perseguibile. Appellarsi a citazioni, massime o discorsi filosofici generali, non ti salva. Ccà Nisciuno è Fesso. 

Opinioni e critiche sono sicure

Il vero punto di riferimento sta nel contenuto di quello che hai detto. Innanzitutto, nel momento in cui esprimi una opinione, un giudizio, una interpretazione dei fatti, anche con toni forti e accesi, con prese in giro o con un tono seccato e abbastanza volgare, non sei passibile di nulla.

In questo caso entra in gioco, per fortuna, il diritto di esprimere la propria opinione nell’art. 19 della Costituzione. Un esempio pratico: “Salvini ha venduto l’Italia ai poteri forti, e tradendo in maniera schifosa i propri elettori, si accanisce con gli immigrati anzichè affrontare i veri problemi. E’ un bullo di quartiere che in realtà non sa che cazzo fare”.

In questo caso, non sei assolutamente perseguibile.

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Insulti… ma al suo operato

Passiamo agli insulti veri e propri. Qui esiste ancora una intera categoria di ingiurie assolutamente “possibili”. Si tratta di quelle parolacce che si rifanno in maniera diretta ed evidente alla persona, ma in relazione al suo operato come politico. Ovvero al suo lavoro svolto nei confronti della comunità.

Esempio pratico: anni fa un passante urlò “Buffone!” a Silvio Berlusconi, e questo lo querelò. Il cittadino cercò di salvarsi dicendo che aveva urlato “Puffone!” in relazione alla bassa statura del leader di Forza Italia.

Al processo ovviamente questa difesa si rivelò inutile, ma la Corte di Cassazione lo salvò: buffone era un insulto riferito al suo operato come politico, e dunque rientrante nel diritto di critica.

Per cui, insulti come “Falso!” oppure “Bugiardo!”, “Doppiogiochista!” “Traditore”, sono assolutamente consentiti. Un franco tiratore che durante una votazione per un candidato del PD dovesse dare la sua preferenza ad un leghista, potrebbe essere chiamato “Traditore” e “Giuda” senza nessun problema legale.

Così come un politico che dovesse incassare dei soldi che aveva promesso di non accettare, può essere chiamato “Bugiardo!” “Ipocrita!”, in assoluta sicurezza.

Sì, sappiamo che lo state pensando e vi diamo subito la risposta. Dare del “Razzista” a Salvini si può, perchè si tratta nuovamente di un giudizio sul suo lavoro come politico, e nessuno può farvi niente.

Insulti legati ad un reato

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Qui invece, le cose cominciano a cambiare. Nel momento in cui un insulto ad un politico, si riferisce ad un fatto illecito che avrebbe commesso, la situazione è più delicata.

Se dite a Salvini: “Ladro!” lo state accusando di aver rubato del denaro. Ovvero un reato. Se gli dite: “Mafioso” o “Criminale!”, gli state dicendo che appartiene o collabora con una associazione a delinquere. In questo caso, dunque si configura in pieno il reato di diffamazione.

Potete salvarvi solo in un caso: se state dicendo la verità. E ovviamente non si deve trattare della vostra idea o di un qualcosa di “evidente” per voi. Ci deve essere una sentenza passata in giudicato.

Per cui se volete dire “La Lega è fatta di ladri, avete rubato 46 milioni di euro ai contribuenti, siete dai farabutti e truffatori!” eravate a rischio prima del luglio 2018. Mentre dopo la sentenza del tribunale di Genova, che ha condannato Bossi e Belsito per truffa ai danni dello Stato, potete ben dirlo. 

In linea generale, qualora doveste avere problemi con insulti di questo tipo, dovete sempre avere la possibilità di dimostrare la veridicità di quanto affermato, perchè in un eventuale processo, sarebbe a vostro carico l’onere di dimostrare la verità a supporto delle vostre affermazioni o insulti.

Insulti gravi e minacce

Non c’è invece proprio nulla da fare nel caso in cui gli insulti siano molto gravi, e siano completamente scollegati dall’operato del politico, ovvero offese completamente gratuite.

Per “Pezzo di merda!” “Coglione, figlio di troia!”, non c’è alcuna possibile difesa. Stessa cosa vale per le minacce: “Boldrini, brutta puttana, devi morire bruciata!” o “Salvini maledetto, ti aspettiamo a piazzale Loreto per ammazzarti come Mussolini”.

Qui siete completamente dalla parte del torto. Se avete scritto da qualche parte commenti del genere, è davvero conveniente eliminarli subito.

Se non lo fate il politico può colpirvi per due motivi. O perchè avete un passato di dure contestazioni e di attività militante ai limiti della violenza, per cui venite considerati potenzialmente pericolosi, o per darvi una lezione dimostrativa, per il vecchio detto: “Colpirne uno per educarne cento“.

E la cosa avviene davvero. Qualche mese fa, Alessandro M. di Bologna criticò aspramente la Boldrini in termini fuori dalla legge, e si ritrovò la polizia postale a casa. In quel caso si salvò con delle scuse pubbliche.

In linea generale, il politico può denunciarvi e in quel caso si attiva la polizia postale, che vi trova. Non crediate di non essere identificati cambiando nome o chiudendo l’account Facebook. Se vogliono trovarvi vi trovano.

In quel caso, la polizia postale vi persegue per il reato 595 del codice penale.

Chiunque comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.

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Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (ovvero Internet), ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.